“La gente delle dieci” di Stephen King

(Sperling & Kupfer, 1994)

Scritto nel 1992 e pubblicato per la prima volta l’anno seguente col titolo originale “The Ten O’Clock People“, questo “La gente delle dieci” – pubblicato in Italia nella raccolta “Incubi e deliri” del 1994 – è uno dei miei racconti preferiti firmati dal Re Stephen King che considero, assieme a Raymond Carver, uno dei maestri indiscussi del racconto contemporaneo – con titoli come “Il corpo”, “La rendenzione del carcere di Shawshank” o “L’allievo” solo per citarne alcuni – eredi dell’inarrivabile Anton Čechov.

Siamo agli inizi degli anni Novanta e il mondo intero è ormai consapevole dei gravi rischi e della difficilmente controllabile assuefazione di una delle dipendenze più diffuse e micidiali: il tabagismo. Così sono arrivati i ferrei divieti di fumare in luoghi pubblici chiusi, e i fumatori – più o meno incalliti – si ritrovano all’aperto nei pressi del loro posto di lavoro per assecondare il loro vizio.

Fra questi c’è Brandon Pearson, che da anni lavora per la First Mercantile Bank of Boston, uno dei più importanti istituti di credito della città, che alle dieci di ogni mattina lavorativa scende nella piazza davanti al grattacielo della sua banca per fumarsi una sigaretta assieme ad alcuni colleghi più o meno conosciuti di vista.

Una mattina però, mentre sta per finire la sua sigaretta, con la coda dell’occhio nota entrare nell’edificio un uomo, ma guardando meglio Brandon si accorge che si tratta di un essere umano dai piedi al collo, ma la sua testa è qualcosa di orripilante e deforme, con una bocca triangolare piena di denti aguzzi, due piccoli buchi neri al posto degli occhi e una pelle sempre in movimento che rigurgita pus.

Proprio quando Brandon sta per urlare dal terrore, un collega che come lui stava fumando lo raggiunge e bloccandogli il braccio gli impedisce di strillare. Con voce calma e perentoria gli intima di non far capire di aver visto quell’uomo …pipistrello, altrimenti per lui sarebbe la fine.

Quando finalmente Brandon riesce a calmarsi l’uomo, che si chiama Dudley Rhinemann detto “Duke”, gli rivela che anche lui ha visto benissimo quell’essere, che tutti vedono invece come un essere umano qualsiasi. Ce ne sono molti altri, e tutti i ruoli strategici e nevralgici della società. Loro due li possono vedere a causa del fumo e della chimica che questo ha creato nel loro cervello. Ma tutti gli altri no e per questo bisogna stare molto attenti. Se uno degli uomini pipistrello dovesse accorgersi di essere “visto” per lo sfortunato essere umano sarebbe la fine, una atroce e terribile fine.

Ma una reazione è possibile: Duke fa parte di un gruppo clandestino…

Le cronache riportano che il Re abbia scritto questo racconto in soli tre giorni dopo aver visto fumare alcune persone fuori da alcuni grandi edifici commerciali a Boston. Ma è impossible non pensare anche al cult assoluto “Essi vivono” diretto dal maestro John Carpenter nel 1988 e ispirato al breve racconto “8 O’Clock in the Morning” scritto da Ray Nelson nel 1963.

Il racconto di Nelson è molto scarno e sintetico rispetto al film di Carpenter che invece possiede molti richiami allo scritto di King. Ma il Re inserisce un elemento particolare e personale: la dipendenza.

Lui che è stato un vero tossicodipendente e alcolista, come ha onestamente raccontato nel suo splendido “On Writing – Autobiografia di un mestiere” – fra i “manuali” per chi ama scrivere più belli e utili della storia – ci narra le dinamiche di un uomo che, nonostante conosca molto bene i gravi e devastanti effetti delle sigarette, proprio non riesce a rinunciarci e così scende a compromessi col tabacco limitandolo il più possibile.

Ma questo compromesso, oltre che letale per la sua salute, ha un terrificante effetto collaterale…

Da leggere: il Re è sempre il Re.

“Racconti umoristici” di Anton Čechov

(edizioni e/o, 2011)

L’influenza di Anton Pavlovič Čechov sulla cultura planetaria è ancora oggi così immensa che è difficile da misurare. Nato a Taganrog – città portuale della Russia meridionale – il 29 gennaio del 1860, Anton non ha un’infanzia facile fra un padre violento – ma fervente religioso -, una situazione economica precaria e le origini di servi della gleba della sua famiglia.

Diplomatosi, nel 1879 vince una borsa di studio per iscriversi alla facoltà di Medicina e si trasferisce a Mosca dove frequenta i circoli studenteschi e respira l’aria fertile della cultura e dell’avanguardia russa contemporanea. Nel 1880 pubblica il suo primo racconto (“La lettera del possidente del Don Stepan Vladimirovič al dotto vicino dottor Fridrich“) ed inizia così ufficialmente la carriera di uno dei più grandi autori planetari che spazierà fra la letteratura ed il teatro.

Se i suoi drammi, a distanza di 120 anni dalla sua morte – avvenuta il 15 luglio del 1904 – sono ancora rappresentati nei teatri di tutto il mondo, i suoi scritti e soprattutto i suoi immortali racconti sono ancora una delle colonne portanti della cultura contemporanea.

Questo volume ne raccoglie diciassette, alcuni di quelli più ironici e umoristici. Forse non saranno i più famosi o i più belli in assoluto, ma ci ricordano senza dubbio cosa vuol dire saper scrivere con ironia pungente e umorismo tagliente. Se proprio mi incatenate e mi costringete a sceglierne uno vi dico: “Il punto esclamativo (Racconto di Natale)” una delle vette della letteratura mondiale.

Vette che nel formato del racconto probabilmente non sono state raggiunte da nessun altro autore. Forse solo il grande Raymond Carver le ha sfiorate coi suoi bellissimi racconti molti decenni dopo. Non è un caso quindi che fra i miei preferiti ci sia “L’incarico”, in cui Carver ci narra la morte del maestro Čechov attraverso gli occhi di un modesto cameriere, contenuto nella splendida raccolta “Da dove sto chiamando“.

Come tutte le opere del grande autore russo: da leggere ad intervalli regolari.

“Da dove sto chiamando” di Raymond Carver

(1999, Minimum Fax)

Raymond Carver per me è il racconto, mezzo passo indietro al genio assoluto che è Anton Čechov.

Questa raccolta, che contiene 37 titoli, rappresenta l’apoteosi dello scrivere racconti brevi. Meglio di mille altri romanzi contemporanei, Carver ci racconta la “commedia umana”, prendendo spunto da piccoli o grandi episodi nelle vite di persone, le più disparate fra loro.

Entriamo nell’intimo e nell’anima dei protagonisti come se fosse la cosa più naturale del mondo, e assistiamo a piccoli eventi, almeno in apparenza, che segnano però le loro esistenze. C’è davvero l’imbarazzo della scelta, ma il mio preferito è “L’incarico”, dove Carver ripercorre gli ultimi istanti di vita del suo maestro spirituale Anton Čechov attraverso gli occhi di un umile servitore.

Assolutamente da leggere, come tutti gli altri racconti.

E pensare che se fosse stato italiano, reo di avere usato il formato racconto, probabilmente nessuno lo avrebbe pubblicato…