“Picnic ad Hanging Rock” di Peter Weir

(Australia, 1975)

La scrittrice australiana Joan Lindsay (1896-1984) pubblica nel 1967 il suo romanzo più famoso “Il lungo pomeriggio della morte” che racconta la misteriosa scomparsa di tre studentesse e un’insegnante durante una gita ad Hanging Rock (singolare formazione vulcanica nei pressi della città di Melbourne) il giorno di San Valentino del 1900.

Su richiesta – alquanto saggia… – dell’editore, la Lindsay toglie dalla bozza finale il capitolo 18 in cui si dipana la scomparsa delle donne (pubblicato postumo nel 1987, su espresse disposizioni della stessa scrittrice). Così il romanzo esce “mozzato” del finale, insolito elemento che, assieme all’atmosfera di oppressione e angoscia che si respira in ogni pagina, ne decreta un certo successo. La Lindsay inventa di sana pianta la drammatica vicenda, e anche l’articolo di giornale che inserisce alla fine del suo libro è un falso.

Sono solo due i riferimenti ad eventi realmente accaduti: nel 1867 su Hanging Rock scomparvero tre ragazzini che non vennero mai più ritrovati (e ancora oggi è visibile il piccolo monumento, proprio nei pressi della montagna, che ricorda la tragica vicenda) e nel giorno di San Valentino del 1922 la scrittrice si sposò con Daryl Lindsay, dal quale poi prese il cognome.

Nel 1975 il promettente regista australiano Peter Weir decide di adattare per lo schermo il romanzo. Al centro del film c’è ovviamente Hanging Rock che con le sue pietre – che spesso sembrano volti arcigni – i suoi cunicoli e le sue grotte ci opprime e inquieta sin dai primi fotogrammi.

Il 14 febbraio del 1900 tutte le studentesse – tranne una… – dell’aristocratico Appleyard College non troppo distante da Melbourne, vanno in gita ad Hanging Rock. Dopo pranzo, mentre tutte le altre riposano alle falde della montagna, Miranda, Marion, Irma e Edith decidono di fare una piccola passeggiata sulla roccia.

Sempre più influenzate dal caldo e del bush australiano, le quattro si sdraiano e dormono in uno spiazzo fra i dirupi. Al loro risveglio Miranda, Marion e Irma iniziano a proseguire il cammino scomparendo dietro una roccia, mentre Edith, in stato di choc torna correndo dal gruppo.

A notte fonda la scolaresca torna al collegio dove l’attende una disperata Mrs. Appleyard (una bravissima Rachel Roberts) Preside e proprietaria dell’istituto. Tutte le ragazza sono sconvolte, così come l’insegnante Mlle. de Poitiers visto che, nonostante le ricerche, Miranda Marion e Irma sono scomparse nel nulla, così come l’altra accompagnatrice Miss. McCraw, insegnante di matematica.

La situazione diventa ancora più angosciante quando, otto giorni dopo, viene ritrovata fra i cunicoli di Hanging Rock Irma: viva ma priva di sensi…

Weir firma un’appassionante pellicola drammatica che ancora oggi ci inchioda davanti allo schermo fino alla fine. Il successo di questo film consacrerà il regista a livello internazionale aprendogli la porta a dirigere altri grandi film come “Gli anni spezzati”, “Un anno vissuto pericolosamente”, “Witness – Il testimone”, “L’attimo fuggente” o “Truman Show”.

Per la chicca: per decenni, nel nostro Paese, questo film è stato considerato erroneamente ispirato a fatti realmente accaduti. Questo perché, buona parte della critica italiota contemporanea alla sua uscita nelle nostre sale (1977) si è semplicemente limitata a vedere il film, senza approfondire.

Il dvd propone la versione in alta definizione rimasterizzata, con il doppiaggio originale fatto nel 1977. Nella sezione extra sono presenti le scene eliminate da Weir nella versione “Directors’ Cut”; il “Making Of” e il documentario “1900-A Recollection” con interviste a Weir e al cast artistico. C’è anche una sfiziosissima alla bravissima – e sfortunata – Rachel Roberts che parla del suo personaggio. E quando l’intervistatrice le chiede se solo un’attrice inglese avrebbe potuto interpretare il ruolo austero e severo di Mrs. Appleyard, lei piccata risponde: “Prima di tutto io non sono un’attrice inglese: io sono gallese!”.

“Io sono un campione” di Lindsay Anderson

(UK, 1963)

Tratto dal romanzo “This Sporting Life” di David Storey – che scrive anche lo script – “Io sono un campione” è uno dei film più rappresentativi di quel Free Cinema inglese – di cui lo stesso Anderson fu uno dei fondatori – che ha segnato la cinematografia mondiale fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, e di cui il grande Ken Loach è fra gli ultimi rappresentati.

Girato con un budget davvero basso e in pochissime settimane, questo film ci parla in maniera toccante e al tempo stesso cruda di Frank Machin (un grande Richard Harris che riceverà la candidatura all’Oscar come miglior attore protagonista, e che molti anni dopo vestirà i panni di Albus Silente nei primi due film della serie) un giovane minatore irrequieto.

Con una serie di flashback concatenati ripercorriamo gli ultimi mesi cruciali della vita di Frank. Oltre al suo duro mestiere, Machin non ha quasi nulla, a parte la giovane vedova Mrs. Margaret Hammond (una bravissima Rachel Roberts anche lei candidata all’Oscar come miglior attrice protagonista per la sua interpretazione) con due bambini a carico, presso la quale affitta la camera in cui vive.

La donna passa la propria indigente esistenza nel ricordo del marito scoparso in un incidente sul lavoro, cosa che provoca la gelosia di Frank che però si sente un “misero” minatore esattamente come il morto, incapace di offrirle davvero di più.

Ma una sera Machin incappa per caso in quell’occasione che potrebbe cambiargli la vita: il rugby. La squadra della sua città, infatti, è presieduta dal ricco industriale Gerald Weaver, che è disposto a fare follie col proprio portafoglio pur di ingaggiare un campione della palla ovale.

Frank riesce a fare un provino ed entrare nella rosa della squadra, e al suo esordio, giocando senza scrupoli, lascierà il segno tanto che Weaver, pur di ingaggiarlo, gli darà mille sterline.

Finalmente i suoi sogni più profondi sembrano avverarsi, e Frank torna a casa da Margaret convinto di fare finalmente colpo. Ma le persone non sono tutte uguali, e ognuno di noi ha sogni, paure e dolori molto differenti.

La sete di vita e di successo acceca Frank, che non riesce a più vedere gli altri per come sono nella realtà. Cosa che pagherà duramente sul campo e fuori…

Splendida pellicola in bianco e nero – con delle scene di rugby ancora davvero avvincenti – che ci lascia l’amaro in bocca, proprio come quello del fango del campo.