“Schindler’s List” di Steven Spielberg

(USA, 1993)

“…Basta fare finta di niente” è la risposta che dava Primo Levi a chi gli chiedeva come alcuni esseri umani siano potuti arrivare a fare indisturbati cose così terrificanti come quelle che fecero i nazi-fascisti nell’Olocausto.

E per evitare che questo possa ripetersi c’è solo un grande e doloroso metodo: ricordare.

Oggi “Giornata della Memoria” delle vittime della Shoah, come e più che negli altri giorni dell’anno, è un dovere rivivere quella che è stata forse la vergogna più grande della nostra specie. E per farlo il film diretto da Spielberg può aiutarci come poche altre pellicole.

La sua potenza narrativa è talmente forte che anche il grande Stanley Kubrick, che per decenni ha avuto in testa l‘idea di realizzare un suo film sulla Shoah, appena visto abbandonò il progetto: trovava impossibile aggiungere qualcosa all’Olocausto raccontato da Spielberg.

Senza passato non c’è futuro.

“Room 237” di Rodney Ascher

(USA, 2012)

Scegliere un solo film fra i capolavori di Stanley Kubrick è quasi impossibile, ma questo documentario di Ascher da la possibilità, attraverso lo studio di “Shining”, di omaggiare tutta l’opera del grande cineasta.

Ascher ricostruisce come, prima di girare il film ispirato al romanzo di Stephen King, Kubrick abbia avuto insistenti contatti con il mondo della pubblicità, soprattutto quella subliminale, che alla fine degli anni Settanta faceva da padrona.

Grazie a questo sistema, Kubrick ha riempito il film di riferimenti a due grandi recenti drammi dell’umanità: l’Olocausto e la strage dei nativi americani da parte dei coloni. Ma non basta. Nel film ci sarebbero numerosi accenni anche ad un altro grandi evento: l’allunaggio.

C’è una teoria – che per molti è più di una semplice ipotesi – che considera un falso storico l’atterraggio dell’Apollo 11 sul suolo lunare, e che considera il realizzatore di tutte le finte immagini dell’evento, per conto della Nasa e del Governo statunitense, lo stesso Kubrick.

Ma perché il titolo “Room 237”? Nel romanzo di King la stanza in cui Danny non dovrebbe mai entrare è la 217, ma nel film è la 237. Ufficialmente la motivazione della produzione è stata sempre legata ad una richiesta esplicita da parte dei gestori dell’albergo che fungeva da location, che volevano evitare che quella stanza diventasse un tabù per gli ospiti dopo l’uscita del film.

Ma se sommiamo il fatto realmente documentato che nel grande impianto alberghiero la stanza 217 non è mai esistita, e che le miglia che separano la Terra dalla Luna sono circa 237.000, che otteniamo?

“L’uomo del banco dei pegni” di Sidney Lumet

(USA, 1964)

Sol Nazerman (un indimenticabile Rod Steiger) gestisce un banco dei pegni in uno dei quartieri più popolari di New York: Harlem.

Per la sua indole fredda e distaccata riesce ad approfittarsi al meglio dei disperati che entrano nel suo negozio. Sol, infatti, non prova più niente. Da quando, unico della sua famiglia, è tornato dai campi di sterminio nazisti, le sue emozioni sono letteralmente sparite.

Solo Jesus, il giovane commesso portoricano che lo aiuta nella sua attività, sembra riuscire ad avvicinarlo. E quando questo, per proteggerlo, cade sotto i colpi di un rapinatore, Sol decide di tornare a “sentire”…

Tratto dal romanzo di Edward Lewis Wallant e con le musiche di Quincy Jones, “L’uomo del banco dei pegni” è uno delle opere più emozionanti che il cinema ha dedicato all’Olocausto.

L’uscita della pellicola negli Stati Uniti suscitò numerose polemiche soprattutto per le scene di nudo di donna – allora inconcepibili in un film “drammatico” per il grande pubblico – e per gli stereotipi con cui, secondo alcuni, vennero ritratti gli afroamericani e i latinoamericani come i “soliti” criminali, e gli ebrei come i “soliti” strozzini.

Se la sceneggiatura del film forse possiede alcune lacune, è giusto ricordare la splendida interpretazione di Steiger e la riuscita di alcune scene indimenticabili come quella del flashback di Sol che viene quotidianamente straziato dal ricordo della morte del piccolo figlio che, sul vagone piombato che li stava portando in un campo di sterminio dopo infiniti giorni in piedi senza acqua né cibo e stretto agli altri deportati, non riesce più a tenere sulle spalle e lascia inesorabilmente cadere sul pavimento dove verrà inghiottito dal buio per sempre.

Così come quella in cui sempre Sol, davanti al cadavere di Jesus, disperato dal non provare più emozioni sbatte la mano volontariamente sul chiodo ferma bollette che ha sul bancone per tornare, almeno per qualche istante, un vero essere umano.

Una pellicola dura e tragicamente indimenticabile che è giusto riguardare di tanto in tanto, sia per ricordare tutti quelli che dai campi di sterminio non sono tornati, sia per mantenere bene in mente cosa accadde, chi lo fece, chi si oppose e chi, purtroppo, voltò lo sguardo da un’altra parte perché, come disse la maestra alla piccola Liliana Segre: “…le leggi razziali non le ho fatte io!”.