“Il medico e lo stregone” di Mario Monicelli

(Italia, 1957)

Questa deliziosa pellicola, nonostante il suo ricco cast, è una delle meno conosciute e ricordate del maestro Mario Monicelli. Siamo in pieno Boom economico e l’Italia sta rapidamente cambiando aspetto: da rurale e agricola ora punta su quell’industrializzazione che la porterà a diventare, in pochi anni, una delle prime potenze economiche del pianeta.

Ma tutto a un costo, ci ricordano Monicelli, Age, Furio Scarpelli, Ennio De Concini e Luigi Emmanuele autori della sceneggiatura. Tema che verrà poi affrontato in maniera più cruda da Dino Risi nel monumentale “Il sorpasso” del 1962. Nel 1957 invece si respira ancora un’aria di speranza e futuro per il Boom, che ha il volto splendido di Marcello Mastroianni.

Pianella è un piccolo paesino arroccato su un cucuzzolo (che nella realtà ha le meravigliose prospettive di Civita di Bagnoregio, dove Sordi tornò a girare con Zampa ne “Contestazione generale” del 1970) nella provincia di Avellino; nonché la nuova sede del giovane medico condotto Francesco Marchetti (Mastroianni appunto), primo vero medico nella storia del paesino. Perché da sempre colui che si occupa della salute fisica e sentimentale dei pianellesi è Don Antonio Locoratolo (uno straordinario Vittorio De Sica), un misto fra un santone e un guaritore.

Marchetti si trova ovviamente tutto il paesino contro, e tutti disertano la vaccinazione di tifo obbligatoria che lui deve compiere secondo quanto indicato dal Ministero. Alla sua porta bussa lo stesso Don Antonio che propone al giovane medico uno scambio proficuo di favori e “pazienti”. Marchetti sdegnato lo caccia e corre dal sindaco che però, visti gli stretti rapporti fra sua sorella Mafalda (una bravissima Marisa Merlini) e lo stesso Don Antonio, cerca in tutti i modi di evitare di schierarsi. Ma…

Sappiamo bene come è andata a finire e chi alla fine ha vinto nel nostro Paese, che però legge quotidianamente gli oroscopi, ammira i santoni – soprattutto quelli in tv – e frequenta i guaritori.

Da vedere e godere ancora oggi i duetti fra De Sica e la Merlini, che certamente ammiccano a quelli di “Pane, amore e fantasia” di qualche anno prima, ma che ci ricordano che grandissimi attori erano entrambi.

E’ impossibile non ricordare anche il cameo di Alberto Sordi che veste i panni di Corrado, l’ex fidanzato di Mafalda disperso in Russia durante la guerra, che già tratteggia mirabilmente i tratti vili e opportunisti di alcuni dei personaggi più famosi da lui poi interpretati.

Deve essere ricordato anche Virgilio Riento, che qui impersona un impiegato comunale complice di Don Antonio, già attore dei film cosiddetti dei “Telefoni bianchi” dove era spesso spalla dello stesso De Sica, nonché nel cast di “Pane, amore e fantasia”; e come ciliegina finale la colonna musicale firmata dal maestro Nino Rota.


“Amarcord” di Federico Fellini

(Italia/Francia, 1973)

Federico Fellini lo ha sempre detto: la musica nella vita, come nel cinema, ha un ruolo fondamentale.

Il riferimento al suo grande amico e collaboratore Nino Rota è fin troppo palese. Infatti, non si può pensare a questo capolavoro di Fellini senza pensare alla musica scritta da Rota.

I ricordi giovanili di Fellini, scritti assieme a Tonino Guerra – la piccola e grande Rimini del Ventennio, l’arrivo dell’adolescenza e le infinite dinamiche familiari – si mischiano splendidamente con le note di Rota, tanto da diventare tutt’uno nel nostro immaginario.

Con alcune delle scene più belle della storia del cinema, come quella con zio Teo (interpretato da un bravissimo Ciccio Ingrassia) che sale su albero gridando “Voglio una donna!” o il passaggio del mitico transatlantico “Rex”, “Amarcord” è davvero un capolavoro assoluto e fa parte indiscutibilmente del patrimonio dell’umanità.

Non mi stanco mai di rivedere il racconto di un mondo che è scomparso decenni prima che io nascessi, ma che rimane sempre così attuale.