“Botteghe di Tokyo” di Mateusz Urbanowicz

(Ippocampo, 2021)

Mateusz Urbanowicz è nato in Slesia, Polonia, nel 1986. Mentre studiava Ingegneria Elettronica ha iniziato a collaborare con l’Istituto Polacco Giapponese di Tecnologia dell’Informazione. Successivamente ha vinto una borsa di studio finanziata dal Governo Giapponese grazie alla quale si è trasferito a Kobe, dove ha iniziato a studiare animazione e fumetti. Dopo essersi laureato alla Kobe Design University ha cominciato a lavorare nell’ambito dell’animazione presso la Comix Wave Films di Tokyo.

Proprio nei primi tempi in cui si è stabilito a Tokyo, Urbanowicz ha iniziato a studiare e girare per il quartiere dove aveva trovato alloggio. E’ subito rimasto affascinato dalle numerose piccole botteghe che incontrava nelle vie. Alcune erano, e sono ancora oggi, famose in tutta la città, altre invece nel corso del tempo sono state trasformate in abitazioni private o sono state demolite.

Affascinato dai loro angoli e dalle loro peculiarità Urbanowicz ha deciso di immortalarle su un foglio di carta, dopo averle fotografate attentamente. I suoi bellissimi disegni ricordano molto gli angoli e gli sfondi dei più famosi film d’animazione giapponese contemporanei, a partire da quelli realizzati dal maestro Hayao Miyazaki e dal suo Studio Ghibli.

Per ogni bottega ritratta, della quale l’artista ci fornisce la precisa localizzazione nella mappa della città, ci sono riassunte brevemente le caratteristiche che lo hanno colpito e una breve storia dell’attività. Un viaggio delizioso diviso per quartieri che ci racconta di una Tokyo così diversa da quella che noi occidentali di solito conosciamo.

Quasi tutte le botteghe scelte dall’artista polacco appartengono all’era Shōwa, che corrisponde al regno dell’imperatore Hirohito, e cioè realizzate fra il 1926 e il 1989. Così come ha fatto Nanni Moretti nel suo “Caro diario”, anche Urbanowicz ci racconta una città attraverso le facciate di alcuni dei suoi edifici, molti dei quali poco conosciuti e fuori dai canonici tour turistici.

Un libro originale che ci ricorda come forse l’arte ancestrale del disegno, così profondamente radicata nel Paese del Sol Levante, sia una delle migliori chiavi per comprendere a fondo la cultura giapponese.

Nella parte finale del libro, Urbanowicz ci mostra, con l’ausilio dei suoi bellissimi disegni ma anche di alcune fotografie, tutti gli strumenti del suo lavoro – compreso il suo atelier – nonché le tecniche cha ha usato per realizzare i disegni.

Un viaggio bellissimo tra l’arte, la fantasia e le strade di Tokyo.

“Tre piani” di Nanni Moretti

(Italia/Francia, 2021)

Nanni Moretti dirige e interpreta l’adattamento cinematografico del romanzo israeliano “Tre piani” pubblicato da Eshkol Nevo nel 2017.

Naturalmente non sono pochi i cambiamenti rispetto al libro di Eshkol che il cineasta romano fa nella sceneggiatura, scritta assieme a Federica Pontremoli e Valia Santella, ambientando l’azione a Roma e non più a Tel Aviv.

Così percorriamo dieci anni entrando dentro gli appartamenti di una signorile palazzina in uno dei quartieri più eleganti della capitale. Sbirciamo nelle dinamiche delle famiglie che appena stanno nascendo, in quelle che sembrano aver una certa stabilità e in quelle ormai consolidate da decenni.

Inesorabilmente le vite degli inquilini si intrecciano fra loro, a volte in maniera indiretta, a volte invece direttamente, lasciando anche un segno profondo.

Un film corale che ci parla della nostra società, e da consigliare ai nostri connazionali che fanno combaciare i confini del nostro Paese con quelli della propria porta di casa.

Nel cast, tra gli altri, oltre allo stesso Moretti, Margherita Buy, Anna Bonaiuto, Alba Rohrwacher, Paolo Graziosi, Riccardo Scamarcio, Adriano Giannini, Teco Celio e Stefano Dionisi.

“Bianca” di Nanni Moretti

(Italia, 1984)

Nanni Moretti è uno degli autori cinematografici più significativi degli ultimi trent’anni, anche se all’inizio della sua carriera venne considerato da molti semplicemente un nuovo comico alla pari di molti suoi coetanei nati in televisione e poi passati al cinema.

Ed è proprio con questo “Bianca” (scritto insieme a Sandro Petraglia) che chiarisce definitivamente il “malinteso”. Con toni tipici della migliore commedia all’italiana, Moretti realizza un profondo e particolare film d’autore. Se il successo di pubblico non manca, quello della critica – almeno nel nostro Paese – è più timido, e diciamolo, pure: stitico! In Francia, invece, Moretti viene riconosciuto subito come giovane e dotato cineasta.

Michele Apicella (lo stesso Moretti) è un docente di matematica fresco titolare di una cattedra alla “Marilyn Monroe”, scuola statale molto all’avanguardia. Fra i banchi e le aule Michele incontra Bianca (una splendida Laura Morante) insegante di francese.

Fra i due nasce una relazione, ma Michele è schiavo delle sue ossessioni e delle sue paure…

Il tema della solitudine, del dolore e soprattutto della paura del dolore non abbandonerà più le pellicole di Moretti, che da diversi punti di vista ci racconterà le sue più profonde e drammatiche sfumature.

Nonostante ciò, “Bianca” contiene battute e scene memorabili come “…Non conosce la Sacher Torte …e va bene così: facciamoci del male”, da cui poi nacque il nome della Sacher Film. Così come i dialoghi surreali fra Michele e Siro Siri, interpretato dal grande Remo Remotti.  Ed è impossibile non ricordare la scena con Michele nudo, nel cuore della notte, che mangia rassegnato una famosa crema spalmable alla nocciola, presa da un barattolo grande come un barile.

“…Perché tutto questo dolore?”

Sempre un gran bel film.