“Giulia” di Fred Zinnemann

(USA, 1977)

La scrittrice e drammaturga americana Lilian Hellman (1905-1984) è stata una delle figure più rilevanti della cultura americana del Novecento. Sin dalla sua prima opera – “La calunnia” del 1934 che William Wyler porterà superbamente sullo schermo nel 1961 col titolo “Quelle due” con Audrey Hepburn e Shirley MacLaine – la Hellman usa i suoi testi come denuncia sociale e morale.

Le sue dichiarate idee sinistrorse, soprattutto nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, le creeranno non pochi problemi con la censura di allora, cosa che accadde anche al suo compagno di vita Dashiell Hammett, che morì in solitudine e povertà, assistito solo dalla stessa Hellman.

Nel 1973 pubblica il romanzo autobiografico “Pentimento” in cui ripercorre i fatti più rilevanti della sua esistenza, come la tormentata relazione con Hammett che durò circa trent’anni e, soprattutto, la sua amicizia profonda con Giulia.

Quattro anni dopo il maestro Fred Zinnemann decide di realizzare l’adattamento cinematografico del libro.

Lilian (una bravissima Jane Fonda) e Giulia (Vanessa Redgrave) dopo aver passato nella ricca proprietà dei nonni di quest’ultima, non lontano da New York, indimenticabili estati insieme durante l’adolescenza, vengono separate dalla vita. Quando la passione di Lilian per la scrittura diventa centrale, quella per la medicina di Giulia la porta in Europa, e nello specifico a Vienna per conoscere e seguire gli studi di Sigmund Freud.

Ma l’ombra della Seconda Guerra Mondiale cala sull’Europa e Lilian, che ormai convive stabilmente con Hammett (Jason Robards) viene a sapere che la sua amica è stata gravemente ferita quando le truppe naziste hanno occupato l’Austria.

Giunta a Vienna, Lilian trova Giulia irriconoscibile e piena di ferite in un letto di ospedale, tanto sconvolta che forse nemmeno la riconosce. La città è sotto l’occupazione tedesca e quando il giorno dopo si sveglia Lilian trova il letto di Giulia vuoto, e nessun sa dirle dove è stata trasferita. Senza notizie dell’amica a Lilian non resta che tornare negli Stati Uniti.

La prima commedia della Hellman è un successo clamoroso di critica e pubblico tanto da renderla molto famosa ed essere invitata a Mosca per uno spettacolo teatrale. Mentre è a Parigi, da dove prenderà il treno per la capitale sovietica, Lilian viene avvicinata dal signor Joahnn (Maximilian Schell) che dice di essere un amico di Giulia. L’uomo sostiene che a mandarlo sia stata proprio la donna, che ha un grande favore da chiederle…

Struggente pellicola firmata da un maestro di Hollywood che ci racconta splendidamente l’ansia e l’angoscia precedenti a quella che è considerata una delle più grandi catastrofi dell’umanità come la Seconda Guerra Mondiale. E le osserviamo attraverso gli occhi di una donna americana privilegiata, che rimane incredula sconvolta e impotente da quello che vede accadere in Europa, nonostante l’opulenza e la mondanità in cui lei stessa vive.

Indimenticabile l’interpretazione di Jane Fonda, che viene candidata all’Oscar come miglior attrice protagonista, così come quelle della Redgrave e di Robards che invece la statuetta dorata la vincono. Oscar per la miglior sceneggiatura non originale anche a Alvin Sargent per lo script del film, dove le atmosfere sono più importanti degli scatti narrativi e i silenzi a volte più dei dialoghi.

Nonostante le polemiche che seguirono l’uscita del romanzo prima e quella del film poi, a causa dei forti dubbi sulla reale esistenza di Giulia – esistenza mai indiscutibilmente comprovata – e sulla vera partecipazione della Hellman ad azioni anti-naziste, questo film rimane comunque molto bello ed emozionante, raccontandoci la storia universale di due donne indimenticabili.

Per la chicca: il film segna anche l’esordio cinematografico di Meryl Streep nel ruolo secondario dell’antipatica Anne Marie, simbolo della ricca e viziata alta borghesia newyorkese. Inoltre, la persona che si intravede pescare su una barca nella penombra di un tramonto, all’inizio e alla fine della film, è la vera Lilian Hellman.

“Radio America” di Robert Altman

(USA, 2006)

A Prairie Home Companion” (che è anche il titolo originale del film) è stato per oltre quarant’anni uno dei programmi radiofonici dal vivo più noti degli Stati Uniti, trasmesso su oltre 690 stazioni con picchi fino a quattro milioni di ascoltatori settimanali. Noto sia per i suoi ospiti musicali, in particolare musicisti folk e tradizionali, che per i “drammi” radiofonici a base di ironia e comicità classica.

A condurlo e scriverlo, dal 1974 al 2016, è stato il poliedrico Garrison Keillor. E’ lo stesso Keillor che propone al grande Robert Altman una sua sceneggiatura ispirata al programma. Ma nello script il programma è arrivato alla sua ultima puntata, perché i proprietari della WLT (che produce lo spettacolo e possiede anche il teatro da dove si trasmette, sito in una cittadina del Minnesota) hanno venduto tutto ad una compagnia texana. I nuovi proprietari hanno già deciso di chiudere lo show e realizzare un ampio parcheggio al posto del teatro.

Così seguiamo, quasi in tempo reale, l’ultima puntata di uno show già “defunto”, dove gli autori, i musicisti, così come i tecnici fino al rumorista, non possono opporsi all’inevitabile.

Con un cast straordinario su cui spiccano Meryl Streep, John C. Reilly, Kevin Kline, Woody Harrelson, Lily Tomlin e lo stesso Garrison Keillor (nel ruolo di GK) “Radio America” è anche – purtroppo – l’ultima opera di Altman che scomparirà per una lunga malattia pochi mesi dopo l’uscita della pellicola nelle sale.

Non è un caso, quindi, il personaggio della “donna pericolosa” che si aggira per lo studio, una sorta di “angelo della morte” che con calma e serenità prepara tutti all’ineluttabile. Delizioso e malinconico, questo film ci ricorda che gran regista di classe era Altman, maestro – come pochi altri – di film corali

Il dvd contiene una ricca sezione degli extra con un gustoso “Making of” e le interviste a tutti i protagonisti della pellicola, compreso anche Altman.

“Piccole donne” di Greta Gerwig

(USA, 2019)

La giovane cineasta americana Greta Gerwig scrive e dirige il settimo adattamento cinematografico di “Piccole donne”, il romanzo più famoso della scrittrice Louisa May Alcott (1832-1888).

In realtà la Gerwing accorpa in questo film anche i seguiti del romanzo: “Piccole donne crescono”, “Piccoli uomini” e “I ragazzi di Jo”. Ma, soprattutto, la Gerwig attualizza in maniera davvero efficace il libro, e la vera vita della Alcott, che incarnano da oltre centocinquant’anni i primi veri simboli del femminismo moderno.

Dopo l’inglese Aphra Behn (1640-1689) la prima donna nella storia dell’Occidente ad essere pagata per i suoi scritti, la Alcott è indubbiamente ancora oggi un emblema dell’emancipazione femminile visto che, come diceva lei stessa: “…la donna non può ambire nella propria vita solo all’amore”.

Con un cast di altissimo livello, su cui spicca senza dubbio Saoirse Ronan nei panni di Jo, e che comprende tra gli altri Meryl Streep, Emma Watson, Laura Dern e Chris Cooper, la Gerwig realizza un bel film attualissimo e coinvolgente, così com’è l’opera della Alcott.

L’ottima prova della Ronan (che sempre diretta dalla Gerwig ha interpretato il delizioso “Ladybird” nel 2017) sembra incoronarla come nuova stella eclettica del cinema americano, sulla scia proprio di una delle attrici più brave di sempre come Meryl Streep.

A proposito del forte legame che l’opera della Alcott ha ancora oggi con la scrittura vera e propria, la Gerwig fa interpretare non a caso la parte del signor Dashwood (il primo editore del romanzo) a Tracy Letts attore e drammaturgo americano, vincitore del Premio Pulitzer per l’opera teatrale “Agosto: foto di famiglia” del 2007, da cui John Wells ha tratto il bellissimo film “I segreti di Osage County” nel 2013, nel cui cast splende una superba Meryl Streep accanto, fra gli altri, allo stesso Chris Cooper.

“Panama Papers” di Steven Soderbergh

(USA, 2019)

Il 3 aprile del 2016 il Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICIJ) pubblica il report “Panama Papers”, che si basa su circa 11,5 milioni di documenti confidenziali creati dallo studio legale panamense Mossack & Fonseca, e relativo a circa 214.000 società offshore sparse in tutto il mondo.

Nei documenti sono menzionati i leader di cinque Paesi – Arabia Saudita, Argentina, Emirati Arabi Uniti, Islanda e Ucraina – nonché alti funzionari di governo, parenti o collaboratori stretti dei leader di altri 40 Paesi fra cui l’Italia, la Gran Bretagna, la Spagna, la Russia e la Francia.

I documenti, sottratti in maniera clandestina allo studio Mossack & Fonseca, fanno luce su un’enorme rete finanziaria mondiale che controlla la vita – non solo economica… – di miliardi di esseri umani a loro totale insaputa. E ciò che appare ancora più grave è che quegli organi direttamente o indirettamente eletti dal popolo sono incapaci di controllare il sistema o spesso ne sono complici.

Sodenbergh ricostruisce la storia dello studio legale Mossack & Fonseca – interpretati rispettivamente da Gary Oldman e Antonio Banderas – e in parallelo quella Ellen Martin (una stratosferica, come sempre, Meryl Streep) una donna alle soglie della terza età che durante un incidente nautico perde il marito.

Oltre la tragedia, Ellen deve affrontare anche la beffa: la compagnia di assicurazione dell’imbarcazione che ha causato la tragedia fa parte di uno degli innumerevoli “gusci” (così vengono chiamate in gergo le società offshore) creati dallo studio legale panamense…

Scritto da Scott Z. Burns e tratto dal libro “Secrecy World: Inside the Panama Papers Investigation of Illicit Money Networks and the Global Elite” di Jake Berstein, “Panama Papers” – che in originale s’intitola non a caso “The Laundromat” ovvero lavanderia a gettoni – è un gran bel film che ha un solo difetto: vi farà imbestialire…

 

“Il ritorno di Mary Poppins” di Rob Marshall

(USA, 2018)

La sfida era una di quelle davvero in salita: competere con una delle pietre miliari del cinema planetario: “Mary Poppins”.

Ma la Disney, bisogna ammetterlo, ha saputo scegliere cast artistico e cast tecnico davvero all’altezza, e così a distanza di oltre cinquant’anni ci godiamo il sequel del film sulla tata più famoso di sempre.

Dietro la MDP c’è Rob Marshall, considerato giustamente uno degli eredi del grande Bob Fosse, che con la regia e le coreografie riesce a mantenere lo stile e le atmosfere del film originale, scegliendo anche gli effetti speciali in linea con quelli degli anni Sessanta.

Il ruolo di Mary Poppins è affidato a una bravissima Emily Blunt che, oltre a essere all’altezza delle enormi aspettative, ritrova la sua terribile capa di “Il diavolo veste Prada” Meryl Streep in una scena davvero spettacolare.

Non si può non ricordare infine lo straordinario cameo del mitico Dick Van Dyke che, abbondatemente superati i novant’anni, canta e balla come un giovanotto. Incredibile.

Per chi ama l’originale e non solo!


“Suffragette” di Sarah Gavron

(UK, 2015)

Qui non parliamo del Paleolitico o del Medioevo, qui parliamo di circa un secolo fa, parliamo del tempo delle nostre bisnonne: di quando le donne non avevano alcuna ufficiale rilevanza nella società, al pari – o forse anche un grandino più in basso – dei bambini o degli anziani che non potevamo più lavorare.

Anche in quella che per circa un secolo e mezzo si è considerata la democrazia più avanzata del pianeta, la Gran Bretagna, agli albori del XX secolo la donna non poteva permettersi alcun ruolo ufficiale sociale o familiare indipendente. Intendiamoci, le donne si spezzavano la schiena per crescere i propri figli e badare alla casa magari lavorando pure, e questo è certo, ma non avevano alcun diritto, compresi quelli sui figli che solo il padre, in quanto uomo, li accampava tutti.

Ma il “secolo breve” illumina anche la storia delle donne che, finalmente, riescono a capire la terrificante imparità sociale con la quale sono state cresciute per millenni. E’ questo il problema più grande: averne coscienza. Perché se una persona è convinta di non meritarsi nient’altro, è semplicissimo soggiogarla…

Scritto da Abi Morgan – già autrice di splendide sceneggiature come quella del film “Shame” o della serie televisiva “River” – e con un cast davvero superbo fra cui spiccano Carey Mulligan, Helena Bonham Carter e Meryl Streep, questo splendido film ci mostra bene quanta strada, dolorosamente, è stata fatta e quanta ancora ci sia da fare per la vera uguaglianza sociale fra i sessi.

Se noi italiani abbiamo concesso il diritto di voto alle donne solo nel 1946, oltre quindici anni dopo la Turchia per esempio, ci possiamo consolare con l’amena e linda Svizzera dove, a livello federale, il suffragio parziale femminile risale al 1971 – anno in cui io ero già nato …sob! – precedendo solo il Portogallo (1976) e il paradiso fiscale del Liechtenstein (1984).

E soltanto dall’anno in cui ai Mondiali di calcio furoreggiò Totò Schillaci, il 1990, le donne, in Svizzera, sono elettrici ed eleggibili in ogni singolo cantone. Complimenti!

“Cartoline dall’inferno” di Mike Nichols

(USA, 1990)

Il mondo dello spettacolo, e del cinema nello specifico, è stato raccontato ottimamente da se stesso più di una volta, anche nei lati più oscuri. Non sono pochi, infatti, i film che ci parlano di come il successo e la fama esplosa sul grande schermo possano divorare la vita di un attore.

Questo film, diretto dal maestro del cinema intimista americano Mike Nichols, si ispira al best seller della fine degli anni Ottanta “Cartoline dall’inferno”, autobiografia di Carrie Fisher, che per tutti – e anche suo malgrado… – rimarrà per sempre la principessa Leia.

Suzanne Vale (una – …c’è bisogno di dirlo? – bravissima Meryl Streep) è una giovane attrice di successo che però sta mandando a rotoli la sua carriera – e la sua vita – a causa della sua tossicodipendenza.

Dopo una notte passata con un avvenente sconosciuto, viene ricoverata d’urgenza per un’overdose. Al suo risveglio dovrà affrontare la realtà: la sua tossicodipendenza e, soprattutto, il suo rapporto conflittuale e irrisolto con la madre Doris Mann (una altrettanto bravissima Shirley MacLaine), famosissima stella del cinema e del teatro di qualche decennio prima.

Suzanne è a un bivio: reagire e tentare di superare o quanto meno di imparare a convivere con le proprie debolezze, o tornare a fuggire nella droga…

Grandissima prova d’attrice di due stelle del cinema americano – e non solo – che ci fanno arrabbiare e poi commuovere proprio come la vita. Grande mano di Nichols che superbamente non cade mai nel patetico. Autrice della sceneggiatura è la stessa Carrie Fisher. Fra i numerosi camei che costellano il film, c’è anche quello di Rob Reiner, che diresse la Fisher in “Harry ti presento Sally…”.

Vedere oggi questo bel film ha un sapore particolare rispetto a quando uscì nelle sale. Carrie Fisher è scomparsa il 27 dicembre del 2016, a 60 anni, a causa delle conseguenze di un infarto. Sua madre Debbie Reynolds è deceduta per un ictus il girono dopo, sussurrando il nome della figlia.

“Dove eravamo rimasti” di Jonathan Demme

(USA, 2015)

Diablo Cody (il cui vero nome è Brook Busey) ha vinto l’Oscar per la miglior sceneggiatura con “Juno” ed è una delle più originali e schiette narratrici di donne del cinema contemporaneo. Suoi, infatti, sono gli script di film come “Jennifer’s Body” o “Young Adult”.

In questa sceneggiatura la Cody decide di raccontare la storia vera di sua suocera Terry Cieri, che per decenni è stata la leader di una rock band del New Jersey.

Linda Brummel (una stratosferica Meryl Streep) è una cantante rock, che con la sua band “Ricki and the Flash” vive per salire sul palco ogni sera. Per arrivare a fine mese Linda fa la cassiera in un grande supermercato, e abita in un buco di appartamento nei pressi di Los Angeles.

Una sera riceve la telefonata di Pete (Kevin Kline), il suo ex marito che le chiede aiuto: sua figlia minore Julie (Mamie Gummer, figlia vera della Streep) ha tentato il suicidio poco dopo essere stata abbandonata dal marito.

Linda si organizza come può precipitandosi a Indianapolis, città nella quale vive il suo ex marito, che è un industriale di successo, assieme ai suoi tre figli: Joshua, Adam e Julie. Linda ha abbandonato tutti molti anni prima, quando Julie era ancora una bambina, e lo ha fatto per seguire la sua natura di artista. Ma adesso farà drasticamente i conti con tutto il suo passato…

Insolita e commovente commedia con una straordinaria Meryl Streep che canta e suona la chitarra alla Bonnie Ratt. La mano del grande Jonathan Demme fa il resto.

Purtroppo si tratta dell’ultimo lungometraggio diretto da Demme.

John Cazale

Classe 1935, John Cazale è stato uno degli attori americani più rappresentativi degli anni Settanta, nonostante la sua prematura scomparsa e i pochi – ma boni! – film interpretati.

Cazale, infatti, ha partecipato solo a cinque pellicole ma tutte candidate all’Oscar come miglior film quali: “Il Padrino”, “La conversazione”  e “Il Padrino – Parte II” diretti da Francis Ford Coppola, ”Quel pomeriggio di un giorno da cani” di Sidney Lumet e “Il Cacciatore” di Michael Cimino.

Il ruolo che lo ha fissato nell’immaginario collettivo è certamente quello di Fredo Corleone, il fratello debole e vigliacco di Michael.

E sulla stessa linea caratteriale sono stati anche gli altri personaggi da lui interpretati come quello di Sal ne “Quel pomeriggio di un giorno da cani” o di Stan ne “Il Cacciatore”.

Amico d’adolescenza di Al Pacino, una volta giunto a New York insieme a Israel Horovitz, John Cazale comincia a calcare i palcoscenici di Broadway.

Agli inizi degli anni Settanta conosce una giovane e promettente attrice di quattordici anni più giovane di lui, alla quale rimarrà legato fino alla morte, ma con la quale reciterà solo nel suo ultimo film “Il cacciatore”. Lei è Meryl Streep.

Infatti la breve, ma intensa, carriera di Cazale si chiude col capolavoro di Michael Cimino nel quale recita già mortalmente minato da un cancro ai polmoni.

Proprio per il suo stato, la produzione non lo voleva nel cast, ma l’insistenza dell’amico Robert De Niro, assieme a quella del regista e del resto del cast ebbero la meglio. E così vennero riprogrammate le riprese per consentire a Cazale di recitare prima dell’avvento definitivo del male che lo ucciderà il 12 marzo del 1978, senza permettergli di vedere il film terminato che arriverà nelle sale americane solo l’8 dicembre successivo.

Alla Festa del Cinema di Roma del 2009 è stato presentato il cortometraggio su Cazale diretto da Richard Shepard e intitolato “I Knew It Was You: Rediscovering John Cazale”, con interviste ad alcuni dei suoi amici e colleghi, che se vi capita fra le mani vi consiglio di vedere.

“I segreti di Osage County” di John Wells

(USA, 2013)

Qui parliamo di uno stratosferico cast artistico con i due premi Oscar Meryl Streep e Julia Roberts affiancate da Sam Shepard, Ewan McGregor, Juliette Lewis, Benedict Cumberbach oltre ad altri grandi attori – soprattutto di teatro – meno noti in Italia come Margo Martindale e Chris Cooper.

Il tutto diretto da John Wells, creatore e regista della serie “E.R. – Medici in prima linea” ispirata ai racconti di Michael Crichton.

Ma non basta! La sceneggiatura è tratta dall’opera teatrale vincitrice del premio Pulitzer nel 2008 “Agosto: foto di famiglia” scritta da Tracy Letts.

Sulla deflagrazione di una famiglia dopo “Natale in casa Cupiello” del grande Eduardo De Filippo era davvero difficile aggiungere qualcosa di nuovo, ma Letts – autore anche della sceneggiatura cinematografica – ci riesce, e pure bene.

Mettiamoci poi la bravura stellare della Streep che riesce anche ad essere affascinante nei panni di una malata di cancro con parruccone e occhiali neri, e quella della Roberts che – da grande attrice – invecchia appositamente arrotondandosi le curve e mostrando un’insopportabile ricrescita.

Insomma, un grande film da vedere e godere fotogramma per fotogramma.