“Monster’s Ball – L’ombra della vita” di Marc Forster

(USA, 2001)

Il patriarcato e l’intolleranza sono fra i più grandi limiti della nostra civiltà. Se servono a pochi per mantenere il loro status e, soprattutto, i loro privilegi, devastano e soffocano la vita di tutti gli altri, anche di coloro che, cresciuti con gli ideali sbagliati, sono convinti di essere nel giusto.

Hank Grotowski (un ottimo Billy Bob Thornton) ne è un esempio. Lavora come guardia carceraria in un penitenziario della Georgia, così come ha fatto per tanti anni suo padre Buck (Peter Boyle) e come fa suo figlio Sonny (Heath Ledger) poco più che ventenne.

A casa Grotowski però sono rimasti solo gli uomini, le donne non ci sono più, come la madre di Hank che qualche anno prima si è tolta la vita. Buck, rimasto solo, ha cresciuto suo figlio, e poi suo nipote, all’insegna del più becero razzismo e della più subdola intolleranza.

Nel braccio della morte del carcere dove lavorano Hank e Sonny, c’è Lawrence Musgrowe, un afroamericano condannato alla sedia elettrica. Tutti i gradi di giudizio sono stati superati e l’uomo non può più fare appello, così il personale del carcere si prepara all’esecuzione, che verrà coordinata da Hank.

Il giorno prima si presentano nel carcere la moglie Leticia Musgrove (una bravissima Halle Berry) e il suo piccolo figlio Tyrell per salutare Lawrence. Poche ore dopo l’ultimo pasto – che nel mondo anglosassone qualcuno chiamava cinicamente “The Monster’s Ball”, il ballo o la festa del “mostro” – mentre accompagna il condannato nella stanza dell’esecuzione, Sonny ha un mancamento e vomita dallo stress, cosa che manda su tutte le furie il padre.

Prima nei bagni del carcere e poi a casa scoppia una lite furente al termine della quale Sonny, l’unico “uomo” Grotowsky che si sente palesemente oppresso dal becero e razzista patriarcato in cui vive, tragicamente aprirà gli occhi al padre…

Scritta da Milo Addica e Will Rokos, questa pellicola ci sottolinea come la tolleranza e il rispetto, oltre che essere indispensabili in una società civile, non fanno altro che rendere la vita di tutti gli esseri umani più degna di essere vissuta e assaporata. E alla fine è lecito chiedersi a quale “mostro” fa riferimento il titolo…

Un vero inno alla tolleranza e alla redenzione emotiva, questo film riceve numerosi premi internazionali. Halle Berry vince meritatamente l’Oscar come migliore attrice protagonista nonché l’Orso d’argento al Festival di Berlino, mentre Addica e Rokos incassano la candidatura per la miglior sceneggiatura sempre all’Oscar e il premio dell’American Screenwriters Associastion.

Da vedere.

Nella nostra versione a doppiare superbamente Billy Bob Thornton è Massimo Wertmuller.

“Semo o nun semo” di Nicola Piovani

(Italia, dal 2005)

Sulla tradizione della grande canzone napoletana si possono tenere convegni e serate per mesi interi, se non per anni. Su quella romana – che di fatto nasce da quella partenope – invece no.

Infatti, dopo la commedia musicale “Rugantino” di Garinei & Giovannini che riscosse un enorme successo superando i nostri confini nazionali, la canzone romana è sembrata cadere nell’oblio.

Il maestro Nicola Piovani, romano di nascita, sale sul palco in sua difesa, creando uno spettacolo dedicato alla canzone della città eterna, che proprio così insignificante non è stata.

Alla fine dell’Ottocento, il 24 giugno, per festeggiare San Giovanni venne creata una grande festa proprio nei pressi della prima Basilica Cristiana romana. Con lo scopo di cacciare le “streghe”, sfilavano carri allegorici e giovani e sconosciuti artisti si esibivano sul palcoscenico.

Proprio su quelle assi, Piovani fa nascere ufficialmente la canzone romana che avrà fra i primi suoi rappresentati Leopoldo Fregoli, che diverrà poi il maestro del trasformismo teatrale.

Ma forse la figura più rilevante della scena romana è Romolo Balzani, autore di alcune delle canzoni più note della tradizione capitolina. E’ lui a cantare, infatti, “Semo o nun semo” che, rifacendosi al famosissimo quesito amletico, dona il titolo allo spettacolo di Piovani, o l’immortale “Barcarolo romano”.

Altro grande autore romano è Luigi Magni, che insieme a Piovani scrisse lo spettacolo teatrale “I 7 Re di Roma”, nel quale c’è la splendida “Se campa appesi a un filo”.

L’amore di Piovani per la tradizione canore della sua città, nasce dalle canzoni che, ancora bambino, gli cantava sua zia, attrice e cantante doc del grande varietà romano.

Voce narrante dello spettacolo è Massimo Wertmuller che incarna molto bene lo spirito più sornione e disincantato della vera romanità. Per chi ama Roma, ma soprattutto la bella musica.