“I 7 Re di Roma” di Luigi Magni

(Italia, 1989)

Per ricordare un grande artista come Luigi Proietti voglio parlare di una delle sue interpretazioni più indimenticabili, piuttosto che ricordarne semplicemente la vita o elencare il suo, seppur lungo e incredibile, curriculum artistico.

Nella grande tradizione italiana della commedia musicale, firmata soprattutto dallo storica “ditta” Garinei & Giovannini, debutta il giorno di San Valentino del 1989, ovviamente al teatro Sistina, “I 7 Re di Roma”.

Anche se siamo nella più classica commedia, sul cartellone il suo autore Luigi Magni la chiama “Leggenda musicale”. E per le musiche Pietro Garinei – che ne cura anche la regia – e lo stesso Magni si rivolgono al giovane Nicola Piovani che, poco più che quarantenne, ha già lavorato con registi del calibro di Marco Bellocchio, Mario Monicelli, i fratelli Taviani, Nanni Moretti e Federico Fellini.

Magni, da sempre fra i più bravi e ironici narratori della storia di Roma soprattutto quella papalina, stavolta vuole raccontare la fondazione della città Eterna. Basandosi sull’opera “Ab Urbe condita” di Tito Livio, ma anche compiendo ricerche personali su documenti e tradizioni, ci racconta fra miti e leggende la nascita di Roma e la storia dei suoi primi sette Re, che posero le basi di quella che sarebbe diventata il centro di un’impero durato millenni, e che sarebbe morta e risorta più splendente di prima innumerevoli volte. Insomma, i sette che gettarono le basi di un mito, ma che molti troppo spesso non ricordano tutti e nel giusto ordine.

Per interpretare Romolo, Numa Pompilio, Tullio Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Seperbo, ma anche Tiberino, Enea e il fauno Luperco, non poteva bastare un attore “normale”. Ci voleva un genio, un istrione ironico ed irresistibile, un classico e raro “animale” da palcoscenico come se ne vedono pochi: uno come Gigi Proietti.

Così, per oltre due ore e mezza, ripercorriamo la storia antica di Roma che trasformò un manipolo di pastori nei fondatori della città che più di ogni altra nel modo e nel tempo ha segnato la storia. E lo facciamo ridendo di gusto all’arte suprema di Proietti, alle battute di Magni – che ci ricorda giustamente come le donne, anche a quei tempi, erano schiacciate in ruoli marginali e stereotipati, del tutto funzionali agli uomini sia nei loro trionfi che nei loro fallimenti – e rapiti dalle splendide musiche di Piovani.

Reputo la canzone “E’ bello pende al filo” una delle più belle della nostra recente tradizione musicale, davvero indimenticabile, così come l’immenso Proietti.

Da vedere.

“La ragazza con la pistola” di Mario Monicelli

(Italia, 1968)

Di questo capolavoro del maestro Mario Monicelli non se ne parla mai abbastanza. Se è vero che forse l’ambientazione, e soprattutto le musiche e i costumi, sono strettamente legati agli anni in cui venne girato, la sceneggiatura, l’interpretazione dei protagonisti e la mano graffiante del regista sono ancora poderosamente attuali.

Scritto da Rodolfo Sonego e Luigi Magni, con la penna ovviamente anche di Monicelli, questa pellicola consacra definitivamente Monica Vitti fra le più grandi attrici comiche e brillanti della storia del cinema. Una grande attrice comica di una bellezza luminosa e seducente, con delle gambe e uno sguardo che ancora incantano.

In un piccolo paesino siciliano Assunta Patanè (la Vitti che sfoggia una treccia castano scuro lunga fino ai fianchi) viene erroneamente fatta rapire dal fascinoso Vincenzo Macaluso (Carlo Giuffrè) invaghito della cugina. Visto che Assunta si dichiara da sempre innamorata di lui, Vincenzo soprassiede all’errore e passa una notte d’amore con lei. All’alba però Assunta si ritrova sola, sedotta e abbandonata. Vincenzo per non riparare è scappato in Scozia. Ad Assunta, ormai emarginata e svergognata, non rimane altro che lavare col sangue il disonore, visto poi che non ha parenti maschi.

Parte così per il Regno Unito con una valigia di cartone e una pistola nella borsa. Ma da Edinburgo a Bath, Macaluso riesce sempre a sfuggirle per un soffio. E proprio a Bath Assunta incappa nel Dottor Osborne, un medico chirurgo che decide di aiutarla. Assunta inizia a studiare come infermiera e lentamente si integra in una società così diversa dalla sua. Ma l’ossessione per Macaluso la riassale quando lo incontra per caso e tenta vanamente di ucciderlo.

Ancora una volta Osborne la soccorre, ma la costringe a tornare in Italia con un aereo che fa scalo nella capitale inglese. Il richiamo della “Swinging London” però è irresistibile e così, qualche tempo dopo Osborne incontra Assunta a Londra, ormai totalmente integrata nella società. Oltre a cantare in un locale la sera, Assunta fa la modella per varie pubblicità. E proprio notandola su un cartellone pubblicitario Macaluso la inizia a cercare…

Lo scontro-incontro fra la nostra cultura più chiusa e quella moralmente molto più aperta anglosassone sembra all’inizio avere caratteristiche macchiettistiche. Ma ancora oggi, a distanza di cinquant’anni, non c’è poi così tanto da ridere. Soprattutto sul ruolo e il riconoscimento sociale della donna. Possiamo parlare di molte cose, è vero, ma il nostro Paese ha comunque una media tragicamente alta di femminicidi: quasi uno al giorno.

E Monicelli ci spiega magistralmente come: alla fine (e per una volta spoileriamo pure) quando Assunta seduce e abbandona Vincenzo per seguire il suo amore emancipato e alla pari col medico inglese (altro che pistola, è l’emancipazione l’arma davanti alla quale i “veri” uomini tremano..) per Vincenzo lei non è altro che: “…una bottana!”.

Perché Assunta/Vitti non è Agnese/Sandrelli di “Sedotta e abbandonata”, la cultura anglosassone l’ha emancipata e lei sa bene quello che vuole e soprattutto quello che non vuole. L’irresistibile maschio latino, però, non può essere rifiutato o abbandonato, e se accade è ovviamente solo colpa infame della donna…

Da vedere e far vedere agli aspiranti “veri” maschi latini.

Per la chicca: spettacolare sequenza di una partita di rugby a Bath, città storica della palla ovale inglese.

“Rugantino” di Garinei e Giovannini

(Italia, dal 1962)

Il 15 dicembre del 1962 debutta al teatro Sistina di Roma “Rugantino”, commedia musicale ideata da Pietro Garinei e Sandro Giovannini, e scritta insieme a Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa e Luigi Magni, con le musiche affidate al maestro Armando Trovajoli.

L’idea è quella di ispirarsi alla maschera romana di Rugantino, il classico giovane figlio della strada e senza famiglia, forte a parole ma debole nei fatti, che compie le sue gesta nella Roma papalina (epoca così cara al grande Magni), e di farne una commedia amara nella migliore tradizione di quelle che splendono in quegli anni al cinema. L’alchimia fra testi, musiche e interpretazioni è straordinaria, e il successo è clamoroso.

Rugantino è il protagonista perfetto per una commedia all’italiana, e i nostri due più grandi produttori teatrali scelgono un attore come Nino Manfredi per impersonarlo. La bella Rosetta viene affidata alla splendida Lea Massari (che, nessuno si offenda, rimane la più bella fino ad oggi), quello di Mastro Titta a un colosso comico come Aldo Fabrizi, Eusebia a un’altra grande attrice comica come Bice Valori, mentre quello di Bojetto, il figlio di Titta, a Carlo delle Piane.

Tutti volti, appunto, della nostra grande commedia cinematografica. In più ci sono le musiche immortali del maestro Trovajoli che crea canzoni come “Roma nun fa la stupida stasera”, “Ciumachella de Trestevere” e “Tirolallero” che ancora oggi canticchiamo.

“Rugantino” oltre ad essere rappresentato in tutti i grandi teatri d’Italia, viene esportato all’estero: in Canada, a Broadway, e poi in un lungo tour in America latina (a Buenos Aires Manfredi ha tutto il tempo di partecipare alla riprese del film “Il Gaucho” proprio nei momenti di pausa).

Nel 1978 viene prodotta una seconda edizione con Enrico Montesano come protagonista accanto ad Alida Chelli in quelli di Rosetta, mentre Fabrizi e la Valori mantengono i loro ruoli. Anche stavolta il successo è enorme.

Vent’anni dopo a vestire i panni dei protagonisti, nella terza edizione, saranno Valerio Mastandrea e Sabrina Ferilli. In tutto “Rugantino” viene messo in scena in sette edizioni nell’arco di oltre cinquant’anni (Enrico Brignano al momento ne è l’ultimo protagonista in quella del 2013) a dimostrare la grandezza di una commedia che, come la città in cui è ambientata, sembra eterna.

Luigi Magni

Ieri mattina se ne è andato Luigi Magni, grande regista, ma anche grande sceneggiatore del nostro cinema.

Dopo aver partecipato alla stesura di alcune commedie leggere da botteghino, Magni firma quella de “Il mio amico Benito”, diretta da Giorgio Bianchi nel ’62 e ambientata del Ventennio, con un grande Peppino De Filippo nei panni di un uomo onesto e retto che viene bistratto da tutti – compresi famiglia e colleghi – fino a quando, improvvisamente, si ricorda di essere stato compagno d’armi del Mussolini nella Prima Guerra Mondiale, evento che potrebbe davvero cambiare la sua esistenza, ma che alla fine la sua integrità lo porterà a rinnegare.

Nel ’64 scrive “Le voci bianche” di Pasquale Festa Campanile, ambientato nella Roma papalina, con un bravissimo Paolo Ferrari. L’anno dopo collabora con Lizzani allo script de “La Celestina P…R…”. Il 1968 è l’anno in cui esordisce alla regia con “Faustina”, ma collabora anche con Monicelli ne “La ragazza con la pistola”.

L’anno successivo esce il film che molti considerano il suo capolavoro “Nell’anno del Signore”, con uno dei cast più importanti del nostro cinema. Nel 1971 collabora con l’amico Nino Manfredi alla sceneggiatura di “Per grazie ricevuta”, diretto dallo stesso Manfredi e ancora oggi considerata una delle migliori commedie all’italiana a colori.

Sempre nel ’71 scrive e dirige il crepuscolare “Scipione detto anche l’Africano”. Nel 1973 arriva “La Tosca” tratto dal dramma di Sardou e musicato splendidamente dallo stesso Magni assieme al maestro Armando Trovajoli. “Nun je dà retta Roma” è uno dei momenti più belli del cinema italiano degli anni Settanta.

Nel 1976 partecipa ai film a episodi  “Signore e signori, buonanotte” e “Quelle strane occasioni”, mentre nel 1977 firma un’altra pietra miliare: “In nome del Papa Re”.

Con la crisi del cinema anche Magni, come molti altri grandi autori, passa alla televisione. Nel 1983 scrive e dirige “State buoni …se potete” con un bravo Johnny Dorelli nei panni di San Filippo Neri e con le musiche di Angelo Branduardi.

Nel 1984 gira il bellissimo documentario “L’addio a Enrico Berlinguer”. Nel 1987 firma “Secondo Ponzio Pilato”, sottovalutato dal pubblico forse per l’interpretazione gigiona – troppo alla “Manfredi” -di Nino Manfredi nelle vesti di uno dei temporeggiatori pavidi più famosi della storia.

Nel 1989 debutta al teatro Sistina di Roma “I 7 Re di Roma” per la regia di Pietro Garinei, con uno stratosferico Gigi Proietti, scritto dallo stesso Magni con le splendide musiche di Nicola Piovani.

Nel 1990 firma “In nome del popolo sovrano”, che torna alle origini nella sua Roma papalina divisa nel Risorgimento. Tema che affronta nuovamente, e per l’ultima volta, ne “La Carbonara” nel 2000, che chiude di fatto la sua cinematografia.

Ma, come sceneggiatore lasciatemelo ricordare anche per un altro film, che ha accompagnato la mia infanzia: “Il soldato di ventura”, diretto da Pasquale Festa Campanile nel 1976, con un Bud Spencer in gran forma nei panni di Ettore Fieramosca durante la mitica “Disfida di Barletta”.

E andiamo! Ricordiamoci che al momento siamo i detentori del Trofeo Garibaldi! Non dico altro…