“Psicospettro” di L.P. Davies

(Mondadori, 1977)

L’inglese Leslie Purnell Davies (1914-1988) è stato uno degli scrittori di fantascienza per stile e atmosfere fra i più paragonabili al grande Philip K. Dick. I suoi protagonisti, infatti, sono sovente vittime di manipolazioni della propria coscienza con conseguenti gravi amnesie e perdite d’identità. E la loro ricerca della verità diventa la colonna portante dei suoi romanzi.

Nel 1965 Davies pubblica “The Artificial Man” che nel 1968 viene portato sul grande schermo con lo sfizioso adattamento “Anno 2118: Progetto X” firmato da William Castle. Nel 1967 pubblica “Psychogeist” che da noi arriva solo dieci anni dopo nella mitica collana “Urania”, col titolo “Psicospettro”.

Colford è un piccolo centro nella campagna inglese. Il giovane dottore Peter Hill vi si è trasferito da un paio di settimane dopo che suo zio Andrew, storico medico della località, è stato colpito da un infarto ed è in convalescenza nell’ospedale del luogo.

La routine quotidiana fra l’ambulatorio e le visite a domicilio di Peter viene interrotta dall’incontro con la signora Martha Metclafe che gli chiede di far ricoverare suo zio Edward Garvey. Il giovane Hill, solo qualche giorno dopo e successivamente ad aver parlato con suo zio, decide di andare a Betley Hatch, località situata a circa cinque chilometri dal paese, dove vive la Metclafe. Garvey, un anno prima, è stato vittima di un grave incidente con numerose fratture dal quale ancora non si è completamente ripreso sia fisicamente che moralmente.

Per cercare di velocizzare la sua ripresa, Martha Metcalfe e sua figlia Rosemary, si sono traferite insieme allo zio nel villino a Betley Hatch. Ma le cose non sono migliorate, anzi, Edward passa quasi tutto il tempo a dormire chiuso nella sua camera. Appena arrivato Hill scopre che nell’abitazione ci sono solo Garvey e Rosemary, perché Martha Metcalfe è stata ricoverata in ospedale a causa di un esaurimento nervoso, poco dopo il loro incontro.

A fare gli onori di casa c’è anche Harvey Milton, un anziano insegnate in pensione che vive nel cottage accanto al loro. E proprio davanti ai tre una tazzina inizia a fluttuare nel salone per poi rovinare sul pavimento andando in mille pezzi.

Nonostante lo scetticismo, Hill non può che prendere atto che nella casa si consumano fenomeni paranormali, imputabili a un poltergeist. Ma, intanto, nella stanza al piano superiore Garvey si addormenta risvegliandosi nel corpo e nell’anima di Argred il Libero, alla ricerca dell’Antica Razza e pronto a compiere la sua inesorabile vendetta…

Originale e sfizioso romanzo nel segno della grande fantascienza degli anni Sessanta, con un accattivante snodo narrativo e gustoso finale. Per patiti del genere e non solo. Purtroppo oggi è reperibile solo nel mondo dell’usato dove si possono ritrovare solo copie stampate oltre quarant’anni fa.

“Anno 2118: Progetto X” di William Castle

(USA, 1968)

Tratto dal romanzo “The Artificial Man” (1965) firmato da L. P. Davies (1914-1988) – scrittore britannico che molti paragonano al grande Philip K. Dick per il suo stile e soprattutto per l’ambientazioni e le atmosfere claustrofobiche e ossessivamente oniriche – e scritto da Edmund Morris, questo “Anno 2118: progetto X” è un piccolo gioiellino incastonato nel grande cinema di fantascienza degli anni Sessanta.

Anno 2118 (…naturalmente), il globo è diviso in due grandi blocchi geopolitici: l’Occidente e l’Australasia. Entrambi hanno lo stesso grande problema: le risorse. Il sovrappopolamento del pianeta, infatti, sta consumando inesorabilmente tutte le fonti e le riserve di alimenti ed energia. Per capire se l’Australasia stia preparando qualche drastica e nascosta contromisura viene inviato l’agente segreto Hagan Arnold (Christopher George) che però al suo rientro, prima di cadere in uno stato di incoscienza, è riuscito solo a inviare un inquietante quanto criptico messaggio: “…l’Occidente verrà distrutto fra quattordici giorni!”.

Lo Stato Maggiore dell’Occidente, rappresentato dal colonnello Holt (Harold Gould), come da protocollo mette in sospensione criogenica Arnold e affida al dottor Crowther (Henry Jones) il compito di risvegliarlo e soprattutto di fargli ricordare il motivo del suo terrificante messaggio, perché la memoria di Arnold è stata oscurata da un farmaco “antitortura” che lui stesso ha assunto quando, scoperto, è caduto nelle mani delle Forze Armate dell’Australasia.

Viene così ripercorsa la vita di Arnold e Crower assieme al suo staff si concentra sulla laurea in storia che lo stesso agente ha ottenuto qualche anno prima scrivendo la tesi sugli anni Sessanta del Novecento. Per sbloccare la memoria dell’uomo, dopo averlo riportato cosciente, lo si trasferisce in un edificio apposta ricostruito come una classica fattoria degli anni Sessanta con la speranza che il periodo tanto studiato e amato da Arnold possa sbloccargli la memoria, ma…

I limiti economici della produzione ricordano quelli della mitica serie televisiva contemporanea “Star Trek” – nata come di serie B e che spesso adattava le sceneggiature ai set disponibili per mantenere i costi bassi – e non a caso il cast è composto da attori che poi diverranno molto noti in televisione in ruoli da caratteristi come Harold Gould e Henry Jones.

Ma oltre all’ambientazione e al cast, così come “Star Trek”, questo film possiede una sceneggiatura davvero originale, non senza qualche pecca, ma colma di colpi di scena e che ci parla di problemi fin troppo contemporanei e attuali. Ingiustamente dimenticato e sottovalutato.

Per la chicca: nei panni di Sen Chiu, il perfido leader dell’Australasia, c’è Keye Luke attore americano di origini cinesi, divenuto famoso negli anni Trenta e Quaranta per aver interpretato il ruolo del “figlio numero uno” in numerosi film il cui protagonista era il detective Charlie Chan, nonché il Maestro Po nella serie televisiva “Kung Fu”. Proprio per quest’ultima interpretazione George Lucas lo considerò fino all’ultimo per il ruolo di Obi Wan Kenobi in “Guerre stellari: Una nuova speranza” ruolo che poi, ci racconta la storia, andò ad Alec Guinness.