“Wonder” di Stephen Chbosky

(USA, 2017)

Nel 2012 esce “Wonder” il primo romanzo della scrittrice americana R.J. Palacio (il cui vero nome è Raquel Jamarillo), libro per ragazzi incentrato sul bullismo, soprattutto quello feroce e spietato contro le diversità.

L’esperienza della scrittrice è “diretta”, perché l’esigenza di scrivere il libro le nasce dopo una gita al parco coi figli. Mentre gioca col minore, nelle vicinanze giunge una bambina affetta da una grave malformazione facciale. Il primo istinto della futura scrittrice è quello di allontanarsi per paura che i suoi figli possano rimanere impressionati. La sua reazione ottusa e insensibile, e soprattutto il turbamento che questa le provoca nel profondo, portano la Palacio a scrivere “Wonder”, primo di una serie di sette libri.

Così entriamo nella vita di August “Auggie” Pullman (un bravissimo Jacob Tremblay) un bambino di dieci anni affetto dalla sindrome di Treacher Collins che, oltre a deformargli il cranio, lo ha costretto a ben 27 importanti interventi chirurgici per consentirgli di respirare e sentire.

Auggie, a causa della sua malattia e dei relativi lunghi ricoveri, non è mai andato a scuola e della sua istruzione se ne è sempre occupata la madre Isabel (un’altrettanto brava Julia Roberts). Ora però, secondo Isabel e nonostante i dubbi del padre Nate (Owen Wilson), è giunto il momento per Auggie di frequentare la prima media.

Isabel e Nate sanno però che il primo impatto con il mondo esterno potrebbe essere devastante. Ma senza provare che senso avrebbe per Auggie, così appassionato per lo studio e con una vera e propria propensione per le scienze, la vita passata sempre chiuso in una bolla di vetro?

Come è capitato a tutti noi – tranne ai bulli ovviamente… – Auggie dovrà scontrarsi col bullismo che per lui purtroppo sarà più violento, fatto di atteggiamenti subdoli e ipocriti, atroci prese in giro e insulti belli e buoni.

Come i libri della Palacio, il film ci racconta anche le drammatiche e dure esperienze delle persone che amano e vivono accanto ad Auggie, come sua sorella maggiore Olivia (Izabela Vidovic) che dal giorno della nascita del fratello minore ha sempre vissuto “in punta di piedi” per non creare ulteriori problemi ai suoi genitori. O quelle di Julian, facoltoso compagno di classe di Auggie che identifica in lui il “mostro” da schifare e insultare quotidianamente.

Ma parafrasando Auggie: “Ognuno di noi conduce una guerra contro il mondo, e per questo meriterebbe nella vita almeno una standing ovation”. E la disabilità, fra gli altri gravi problemi, rende questa guerra più evidente e dura.

Sceneggiato dallo stesso Chbosky – autore della discreta pellicola “Noi siamo infinito” – insieme a Steve Conrad e al bravissimo Jack Thorne (che la Rowling ha scelto per scrivere “Harry Potter e la maledizione dell’erede” e autore di script per ottimi film come: “Radioactive” della Satrapi, “Enola Holmes” di Bradbeer e “Il giardino segreto” di Munden) “Wonder” è davvero un inno alla vita struggente ed emozionante.

Da vedere e far vedere nelle scuole.

“Homecoming” di Eli Horowitz e Micah Bloomberg

(USA, dal 2018)

Il reinserimento dei giovani reduci che tornano dal fronte mediorientale senza particolari traumi fisici ma con gravi problemi psichici ed emotivi, è ancora un grande impegno sociale negli Stati Uniti.

Oltre a tutte le iniziative legate direttamente al Governo, ci sono molte che nascono da enti o società private come la “Homecoming”, creata in piena riservatezza dalla Geist, una delle più importanti industrie americane di detersivi.

A dirigere la Homecoming, in un centro ai bordi di una grande palude della Florida, è la dottoressa Heidi Bergman (una bravissima Julia Roberts) che accoglie e incontra quotidianamente i giovani soldati, instaurando con loro un percorso analitico di sei settimane, supportato da farmaci anti depressivi sperimentali.

Heidi è stata selezionata da Colin Belfast (un altrettanto bravo Bobby Cannavale, nipote nella realtà dell’italiano Enzo) alto dirigente della Geist, un uomo deciso e volitivo, pronto a tutto per fare carriera. Sulla scrivania del diligente impiegato dell’Ispettorato della Difesa Thomas Carrasco (Shane Whigham), però arriva uno strano reclamo anonimo relativo proprio alla Homecoming.

Carrasco, come sempre in casi simili, inizia le indagini d’ufficio. In breve tempo rintraccia la Bergman, che fa la cameriera in un piccolo ristorante, e che afferma di non ricordare nulla del progetto…

Ottima serie scritta, diretta e interpretata davvero bene, con una Roberts che dimostra sempre più la sua caratura d’attrice. Con accenti inquietati alla “Lost”, “Homecoming” ci parla del nuovo corso dell’America di Trump molto – o forse troppo? – simile a quella di Reagan.

Per la chicca: in alcune puntate appare anche Dermot Mulroney nel ruolo del compagno di Heidi, attore che nel 1997 era lo scapolo conteso fra la stessa Roberts e Cameron Diaz ne “Il matrimonio del mio migliore amico”.

“The Normal Heart” di Ryan Murphy

(USA, 2014)

Questo intenso film per la televisione – scritto da Larry Kramer, diretto da Ryan Murphy e prodotto dalla HBO – ci riporta nella comunità gay di New York del 1981, nel momento in cui apparvero i primi casi del cosiddetto “cancro dei gay”.

La storia ci dice tragicamente che quella misteriosa malattia poco dopo sarebbe stata chiamata con un acronimo che avrebbe segnato tragicamente e moralmente la vita di tutti: AIDS.

Ma il film affronta anche la tragedia morale, oltre che quella fisica, della comunità omosessuale newyorchese che a partire da quell’anno, in pochissimo tempo, venne quasi dimezzata; dei vani e disperati tentativi di questa di coinvolgere le istituzioni per avere finanziamenti per assistere i malati – che non potevano far altro che diventare terminali – e per fare ricerca e prevenzione.

Ma siccome l’AIDS venne considerata per anni esclusivamente una “malattia dei froci” (termine osceno, indegno e tremendamente volgare ma che io, allora appena adolescente, ricordo di uso fin troppo comune) negli Stati Uniti nessuno si mosse, a partire dalla Casa Bianca, dove risiedeva Ronald Reagan.

Solo nel 1986, dopo che vennero riconosciuti numerosi casi anche fra gli eterosessuali, il Presidente Reagan la menzionò in un suo discorso annunciando fondi per la ricerca.

Da ricordare le interpretazioni di Mark Ruffalo – nel ruolo dell’attivista gay Ned Weeks -, Julia Roberts – in quello della dottoressa Brookner, che fu la prima ad accogliere nel suo reparto i sieropositivi – e quella di Jim Parsons.

Da vedere e da far vedere soprattutto a chi, povero stolto, ha ancora medievali problemi con se stesso e si nasconde dietro l’omofobia.

“I segreti di Osage County” di John Wells

(USA, 2013)

Qui parliamo di uno stratosferico cast artistico con i due premi Oscar Meryl Streep e Julia Roberts affiancate da Sam Shepard, Ewan McGregor, Juliette Lewis, Benedict Cumberbach oltre ad altri grandi attori – soprattutto di teatro – meno noti in Italia come Margo Martindale e Chris Cooper.

Il tutto diretto da John Wells, creatore e regista della serie “E.R. – Medici in prima linea” ispirata ai racconti di Michael Crichton.

Ma non basta! La sceneggiatura è tratta dall’opera teatrale vincitrice del premio Pulitzer nel 2008 “Agosto: foto di famiglia” scritta da Tracy Letts.

Sulla deflagrazione di una famiglia dopo “Natale in casa Cupiello” del grande Eduardo De Filippo era davvero difficile aggiungere qualcosa di nuovo, ma Letts – autore anche della sceneggiatura cinematografica – ci riesce, e pure bene.

Mettiamoci poi la bravura stellare della Streep che riesce anche ad essere affascinante nei panni di una malata di cancro con parruccone e occhiali neri, e quella della Roberts che – da grande attrice – invecchia appositamente arrotondandosi le curve e mostrando un’insopportabile ricrescita.

Insomma, un grande film da vedere e godere fotogramma per fotogramma.

“Vacanze romane” di William Wyler

(USA, 1953)

Il 27 agosto del 1953, a New York, si consumava la prima mondiale del film cha avrebbe consacrato definitivamente a star del cinema quella splendida diva, dagli occhi di cerbiatto, che era Audrey Hepburn.

Il personaggio della principessa Anna, ispirato all’allora giovane regina Elisabetta II d’Inghilterra – anche se all’inizio, riportano alcune cronache del tempo, è più simile alla sorella “viziata” e “capricciosa” Margaret – è uno dei più romantici e riusciti del grande schermo.

Sullo sfondo una Roma solare e spensierata che aderisce perfettamente alla visione che gli americani avevano – o volevano avere – di un Paese che, solo pochi anni prima avevano combattuto, invaso e poi liberato, e che nel 1953 soffriva ancora la fame (“Guardie e ladri” di Steno e Monicelli è solo di due anni prima) e che stentava a rialzarsi.

Fra le citazioni e i numerosi remake, spicca il blockbuster “Notthing Hill” (1999) con la bella Julia Roberts che, invece di una regina impersona una diva di Hollywood, dal nome – guarda caso… – Anna Scott.

La sceneggiatura di questo film – premiata agli Oscar – venne scritta, sotto falso nome, anche da Dalton Trumbo che in quel periodo era all’indice per le sue dichiarate simpatie comuniste.