“Dont’ Worry” di Gus Van Sant

(USA, 2018)

John Callahan non ha avuto una vita facile. Abbandonato dalla madre appena nato, non è riuscito a inserirsi nella famiglia d’adozione e, ancora bambino, è stato molestato da una maestra. Un inizio così duro lo ha portato, già alle soglie dell’adolescenza, a diventare un alcolista e un tossicodipendente.

Agli inizi degli anni Settanta, a soli ventidue anni, completamente ubriaco John lascia guidare la sua auto a Dexter, un alcolista come lui, incontrato la sera stessa ad una festa. Dexter, in preda all’alcol, scambia un lampione per un’uscita della superstrada. L’impatto è devastante, ma Dexter ne esce quasi illeso. John invece no. La sua colonna vertebrale si è spezzata e non potrà più muovere la maggior parte dei muscoli dal collo in giù.

Bloccato in un letto d’ospedale, in quello che sembra il fondo abissale dell’inferno che è la sua esistenza, John inizia una lenta risalita verso la serenità e la voglia di vivere. Questo avviene soprattutto grazie ad Annu, una ragazza svedese che assiste i pazienti dell’ospedale in cui è ricoverato, agli Alcolisti Anonimi ai quali John si unisce; e alle sue vignette, che in poco tempo riscuotono un successo strepitoso.

Gus Van Sant firma un gran bel film sulla vera vita di un uomo molto particolare, che il destino ha messo a dura prova, ma che ha saputo reagire soprattutto attraverso la sua volontà e la sua pungente ironia.

A interpretare Callahan – nato nel 1951 e scomparso nel 2010 – è un bravissimo Joaquin Phoenix che ci regala davvero un’interpretazione magistrale. Nel cast devono essere ricordati anche Jonah Hill, che veste i panni di Donnie lo sponsor di John agli Alcolisti Anonimi, Rooney Mara in queli di Annu, e Jack Black in quelli molto tosti di Dexter.

Da vedere.  

“Maniac” di Cary Fukunaga e Patrick Somerville

(USA, 2018)

Scritta da Cary Fukunaga e Patrick Somerville, e prodotta da Netflix, questa serie fantasy/grottesca tocca uno dei temi più spinosi della soceità umana: la famiglia.

Owen (un bravo Jonah Hill) è il figlio “stolto” e nevrotico della facoltosa famiglia Milgrim, il cui patriarca Porter (Gariel Byrne) poco accetta e sopporta. Ma Owen improvvisamente diventa fondamentale: la sua testimonianza può scagionare da una grave accusa – vera – di molestie sessuali suo fratello maggiore.

Se l’accusa venisse provata metterebbe in discussione l’intero impero dei Milgrim, e così Porter è disposto a far mentire suo figlio Owen in tribunale. Il giovane, sconvolto e turbato, decide di rifuggiarsi presso una grande casa farmaceutica che per qualche giorno sperimenterà su di lui un nuovo metodo per annullare il dolore morale ed emotivo delle persone.

Annie (una davvero brava Emma Stone) è una giovane donna tossicodipendente che è stata abbandonata, insieme alla sorella, dalla loro madre in tenera età.

Il suo martirio e la sua ossessione – e la sua droga – è assumere un nuovo farmaco sperimentale che le permette di rivevere il dramma del successivo distacco dalla sorella. Quando la sua scorta di pillole si esaurisce, Annie decide anche lei di fare da cavia per la sperimentazione del nuovo metodo contro il dolore morale ed emotivo. Ma…

Dieci puntate completamente fuori le righe, ma realizzate con grande maestrie e irrivenerenza. Con macroscopici riferimenti allo stile cinematografico e televisivo degli anni Ottanta, “Maniac” diverte fino all’ultima puntata.

Grande parte secondaria per una straordinaria Sally Field che mostra sempre la sua grande arte e il suo intramontabile fascino.