“Miracolo a Le Havre” di Aki Kaurismäki

(Fin/Fra/Ger, 2011)

Il regista finlandese Aki Kaurismäki già nel 2011 ci racconta una piccola – ma al tempo stesso grande – storia su uno dei drammi del nostro tempo: l’immigrazione clandestina verso i paesi più ricchi europei.

Marcel Marx (un bravissimo André Wilms) nella sua esistenza è stato molte cose: uno scrittore, un bohémien e un senza tetto. Adesso è un anziano lustrascarpe che lavora nei dintorni della stazione e delle vie centrali di Le Havre e, soprattutto, il marito di Arletty (Kati Outinen) nome che si rifà direttamente alla diva del cinema francese degli anni 30 e 40 e al suo film più famoso “Amanti perduti” di Marcel Carné, che non a caso ha lo stesso nome di battesimo del protagonista.

La vita dei due coniugi procede semplice e serena, fino al giorno in cui Arletty non viene ricoverata d’urgenza per dei dolori lancinanti al ventre. Contemporaneamente Marcel si imbatte casualmente in Idrissa (Blondin Miguel), un piccolo clandestino di colore, riuscito a scappare alla perquisizione del container nel porto in cui era nascosto assieme al nonno.

Marcel ospiterà e proteggerà il piccolo clandestino dal commissario Monet (Jean-Pierre Darroussin), dalla Polizia che lo cerca in tutta la città e da un arrogante e borghese informatore che ha il volto di Jean-Pierre Léaud, attore feticcio del maestro Truffaut. Anche quando i medici comunicheranno a Marcel che Arletty ha un tumore incurabile, l’uomo continuerà ad aiutare Idrissa e farà di tutto per farlo ricongiungere coi familiari rimasti che ha in Inghilterra. Ma Monet è un ottimo segugio…

Dolce favola moderna dedicata a chi è ai margini della società, là dove i cuori spesso sono più grandi. Come sempre, Kaurismäki gira le sue storie ispirandosi allo stile statico ed emozionale di Hopper, anche se questo film è un palese e continuo omaggio alla cultura e al cinema francese.

Da vedere.