“Il male oscuro” di Giuseppe Berto

(Neri Pozza, 2016)

Pubblicato per la prima volta da Rizzoli nel 1964 questo “Il male oscuro” è uno dei capisaldi della letteratura italiana, e non solo, del Novecento.

Giuseppe Berto (1914-1978) sulla scia del grande Italo Svevo e del suo contemporaneo Carlo Emilio Gadda, capovolge all’indietro la pupilla del narratore, raccontando così non più il mondo esterno ma quello interno all’essere umano.

Viviamo il racconto del protagonista che inizia proprio al capezzale del padre morente. Padre severo e ottuso, che così tanto gli ha influenzato l’esistenza. E che, anche una volta morto, continua a infettagli la vita. Fra le mille cure che il protagonista prova per il suo “oscuro” e inafferrabile male fisico che inesorabilmente gli toglie sempre più parti della vita quotidiana, c’è anche quella della psicoanalisi grazie alla quale scoprirà dolorosamente se stesso e i rapporti col mondo esterno…

Se l’evento di partenza richiama fin troppo chiaramente lo straordinario “La coscienza di Zeno“, il titolo è un richiamo esplicito a “La cognizione del dolore” di Gadda. E Berto alza l’asticella dei due grandi scrittori italiani, raccontando delle nevrosi e del “male di vivere” di un uomo cresciuto all’ombra di una generazione che, con la tragedia immane della Seconda Guerra Mondiale, ha sbagliato le scelte più importanti.

Ma non basta, sulle rovine ancora insanguinate la vecchia generazione è disposta, senza fare una piega, a voltare pagine e ideali lasciando coloro che ha cresciuto – vera carne da cannone del periodo storico – ancora più disorientati e soli. Il protagonista, che dopo aver indossato la camicia nera a fine conflitto diventata un convinto uomo di sinistra, è annichilito dal comportamento del padre – ex Carabiniere del Re – che senza ammettere alcuna colpa tenta spudoratamente di adeguarsi al nuovo Paese che, suo malgrado, anche lui ha contribuito a creare.

Berto ci racconta in maniera cruda e carnale la tragedia di un uomo e di una generazione ma, come forse solo il grande Svevo aveva fatto, lo fa con un sublime e irresistibile umorismo che, sottile e implacabile, illumina ogni pagina e ogni riga. D’altronde lo stesso autore afferma nell’appendice del libro: “…un nevrotico non potrebbe scrivere se non fosse sostenuto dall’umorismo: una fortuna in mezzo a tanti malanni”.

Perché “Il male oscuro” è un romanzo molto autobiografico, in cui Berto ci racconta buona parte della sua esistenza, soprattutto la prima parte. Era figlio di un ex Carabiniere del Re che – come quello del romanzo – ha lasciato l’arma per aprire un negozio di cappelli. E molti altri sono i riferimenti alla vita reale dello scrittore, che a causa delle sue nevrosi per oltre dieci anni non riuscì più a scrivere. Lo fece poi pubblicando proprio questo splendido libro, nel cui frontespizio volle mettere tre citazioni: la prima da “La cognizione del dolore” di Gadda con la frase contenete “il male oscuro”. La seconda è presa da una lettera di Freud e la terza, splendidamente illuminante, dal “Prometeo incatenato” di Eschilo che dice: “Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore”.

Un capolavoro.

Nel 1990 il maestro Mario Monicelli realizza “Il male oscuro“, l’adattamento cinematografico con Giancarlo Giannini nei panni del protagonista.

“La coscienza di Zeno” di Italo Svevo

(REA Edizioni, 1923/2013)

Su questo capolavoro indiscusso della letteratura mondiale si è detto e, fortunatamente, si continua a dire tanto. Non sono certo uno dei massimi esperti mondiali dell’opera di Italo Svevo (al secolo Aron Hector Schmitz), ma voglio parlare lo stesso, da semplice lettore, di un paio di cose che ogni volta che rileggo la vita di Zeno mi lasciano stupefatto e incantato.

Zeno Cosini, che sfiora i 100 anni, visto che il romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1923, rispecchia da tutto questo tempo, e in maniera netta ed efficace come solo pochi altri personaggi letterari, il vero italiano borghese.

Nell’Italia volitiva, che era appena entrata nel Ventennio, Zeno Cosini era lo stereotipo del cittadino passivo e vigliacco che il potere derideva e biasimava, ma senza la cui passività – e questo certo quel potere lo sapeva bene – non sarebbe mai riuscito a prendere il comando.

Ma Cosini va oltre, è anche l’italiano che sarà alla base della società che si formerà nel secondo dopoguerra per forgiare quell’Italia che dritta dritta, fra Boom e Nuovo Miracolo Italiano, arriverà fra le nostre stanche braccia.

E ancora oggi Zeno Cosini è un membro di prestigio della nostra società del nuovo Millennio, democratico e progressista ma ben attento ai suoi privilegi economici che giudica indiscutibili, guarda i talk o i talent e manda i suoi figli a studiare all’estero, magari è anche vegetariano e sostenitore della medicina omeopatica, ma continua a fumare come un ossesso.

Il secondo elemento straordinario di questo grande romanzo, non dissociato al primo, sono le straordinarie capacità anticipatrici dei tempi del suo autore. Oltre a raccontarci come sarà l’uomo del Novecento che smette di guardare fuori – così come facevano i Veristi, per esempio – e ribalta le proprie pupille per guardare dentro se stesso, nella conclusione del libro Svevo ha l’intuizione profetica di quel baratro sul quale il mondo sarà sospeso per il resto del secolo: l’olocausto atomico.

Penso sia giusto ricordare, infine, che un’opera del genere venne totalmente ignorata dalla critica italica del tempo – fatta evidentemente di menti che fortunatamente non hanno nulla a che vedere con quelle geniali che oggi tengono alta la bandiera della nostra critica letteraria… – ma trovò apprezzamento solo all’estero dove l’insegnate di inglese e amico dell’autore, James Joyce, lo portò per farlo leggere.

Siamo tutti Zeno Cosini!