“Gli esami non finiscono mai” di Eduardo De Filippo

(Italia, 1976)

Il 21 dicembre del 1973, al Teatro della Pergola di Firenze – dopo due anteprime riservate ai giovani sotto i 21 anni – va in scena la prima della commedia con prologo in tre atti “Gli esami non finiscono mai” di Eduardo De Filippo. Finita di scrivere nel ’72, ma nata nella testa del suo autore già negli anni Quaranta, rappresenta l’ultima opera inedita rappresentata del grande drammaturgo napoletano.

Attraverso il racconto della vita del suo protagonista, Guglielmo Speranza interpretato dallo stesso autore, assistiamo alla storia della sua esistenza dal giorno in cui si laurea a quello della sua morte. Esistenza segnata implacabilmente dagli infiniti “esami” che la vita gli riserva in ogni campo. Con il diploma di laurea in mano – il “pezzo di carta” come lo ha sempre chiamato suo padre – Guglielmo festeggia con i suoi colleghi, fra cui spicca Furio La Spina (Luca De Filippo) il cui rapporto lo accompagnerà nel bene e soprattutto nel male per molti decenni, dichiarando ingenuamente certo che da quel giorno – …finalmente! – non dovrà più sottoporsi ad alcun esame.

Ma poco dopo, proprio andando a chiedere ufficialmente la mano della sua giovane fidanzata Gigliola (Angelica Ippolito), Guglielmo si dovrà sottoporre già ad un nuovo esame: quello della famiglia di lei. Così come raccontato nel prologo dallo stesso Guglielmo direttamente al pubblico, col passare degli anni – sancito anche da una cantante di strada, interpretata da Isa Danieli, che intona canzoni e indossa costumi del momento storico in cui si svolge l’azione – la vita lo sottopone a infinite prove e soprattutto al “giudizio” spietato degli altri, della “gente” che, come canta sublimemente il maestro Fabrizio De Andrè: “…dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio”. Esami che, feroci e ipocriti, continueranno anche dopo la sua morte…

Eduardo ci regala un’opera indimenticabile che ci racconta il “consuntivo” della propria esistenza che traccia un uomo forse ingenuo, certamente non senza colpe, che però è stato sempre stretto e soffocato dalle apparenze. Apparenze delle quali è schiavo e alle quali, anche quando la vita sembra offrigli l’occasione di “cambiare”, non può sottrarsi.

La struttura a quadri de “Gli esami non finiscono mai” ricalca quelle già sperimentate da Bertolt Brecht in molte delle sue opere. La figura del narratore che racconta al pubblico il passare del tempo fra una scena e l’altra è presente in “Piccola città” di Thornton Wilder, opera della quale lo stesso Eduardo, negli anni Quaranta, aveva fatto una fortunata parodia.

Ma il dialogo diretto col pubblico, Eduardo lo ha sempre usato in tutte le sue opere. Un dialogo pacato ma sincero, spesso con voce bassa e rotta dalla commozione o complice e serena come quello immortale in “Questi fantasmi” in cui al professore/pubblico spiega la preparazione del caffè.

Altro elemento straordinario della commedia è il costume di Guglielmo. Le cronache del tempo ci raccontano di come Eduardo si sia consigliato con costumisti e scenografi per realizzare un costume il più astratto possibile, visto che per lui l’abito indossato da un’attrice o un attore sul palco era parte integrante del carattere del personaggio. E così Guglielmo Speranza, per tutta la commedia, indossa un abito che sembra molto anonimo e fuori dal tempo che scorre, così come dovrebbe essere l’anima di un essere vivente. Abito e trucco cambieranno solo alla fine, al suo funerale, quando non sarà più lui a decidere come vestirsi, ma gli altri – la gente! – gli metteranno la maschera che reputano la più adatta per fargli lasciare questo mondo.

Un capolavoro assoluto frutto di un genio assoluto del nostro Novecento.

Genio che oggi tutti ricordano e lodano – mai abbastanza – in tutti i campi della nostra cultura. Ma durante la sua esistenza Eduardo se ha sempre avuto l’affetto incondizionato del suo amato pubblico, di riconoscimenti ufficiali e “di palazzo” – come diceva lui – ne ha avuti pochi. Almeno fino agli inizi degli anni Settanta quando l’Accademia Nazionali dei Lincei gli conferisce il premio internazionale “Antonio Feltrinelli” 1972 per il Teatro, che consisteva in una somma di venti milioni di lire di allora. Premio che gli verrà consegnato alla presenza dell’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone proprio nella sede storica dell’Accademia.

Nello stesso anno Eduardo viene invitato a Londra a presentare la sua “Napoli milionaria”. Nel 1973, sempre a Londra, Franco Zeffirelli mette in scena “Sabato, domenica e lunedì” con nel cast, fra gli altri, Lawrence Olivier e Joan Plowright, rappresentazione che vincerà l’Evening Standard Drama Award 1973, come miglior commedia dell’anno.

Ma c’è, comunque, chi nel “palazzo” storce il naso e non considera l’opera del nostro secondo drammaturgo più tradotto e rappresentato al mondo – secondo solo a Luigi Pirandello – cosa da poco e di basso rango – forse come le sue origini… – le sue opere, che ben poco hanno a che fare con quelle vette alte della “vera” cultura. Alcuni accademici, infatti, raccontò lo stesso Giovanni Macchia, borbottarono amareggiati: “Quest’anno abbiamo dato il nostro grande premio a …un guitto!”.

Nel 1974, al Teatro Eliseo di Roma, durante una rappresentazione della commedia Eduardo ha un malore causato da una grave insufficienza cardiaca e i medici gli propongono un pacemaker. All’inizio il drammaturgo è restio, ma alla fine acconsente per offrirsi “ancora un poco” al suo pubblico. Poco dopo Eduardo torna trionfalmente sulle scene. E sempre per tenere fede al suo rapporto profondo e sincero con platea e loggione, dopo ogni rappresentazione intrattiene il pubblico leggendo i messaggi d’affetto che riceve da tutto il mondo ogni giorno.

Al termine di due intense stagioni di repliche Eduardo realizza la versione per la televisione che è quella che noi oggi possiamo fortunatamente vedere, con le musiche di Roberto De Simone e che viene trasmessa dalla RAI nel gennaio del 1976. Nel cast è presente anche Paolo Graziosi nel ruolo del veterinario amico di Guglielmo, unico estraneo che lui ammette al suo capezzale da quando ha scelto di non parlare più.

Menomale che nel nostro Paese ci sono anche i guitti!

“Misera e nobiltà” di Eduardo Scarpetta

(Italia, 2009)

La notte di Natale del 1888 andava in scena al Teatro del Fondo, a Napoli, la prima della commedia “Miseria e nobiltà” scritta, diretta e interpretata da Eduardo Scarpetta. Il successo fu subito immediato tanto da diventare l’opera e l’interpretazione più famosa del suo autore. Autore che aveva scritto il testo creando il personaggio del piccolo Peppeniello per “battezzare” sul palcoscenico il suo secondogenito Vincenzo, destinato a diventare il suo erede artistico ufficiale.

Ma il tema dello scontro fra la miseria e la nobiltà, fra la fame e l’opulenza rende la commedia inossidabile e immortale così da essere rappresentata nel corso del tempo quasi senza sosta diretta e interpretata da grandi artisti come, ad esempio, Raffaele Viviani . Nel ruolo di Peppeniello così vengono battezzati tutti gli eredi dello stesso autore come accadrà qualche decennio dopo allo stesso Eduardo De Filippo e a suo fratello Peppino.

A partire dalla notte di Natale del 1931, quando va in scena la prima assoluta di “Natale in casa Cupiello” sarà definitivamente Eduardo ad essere considerato il suo vero erede artistico tanto da creare, qualche anno dopo, la compagnia stabile “La Scarpettiana” che rappresenterà molte delle opere del padre.

Nel 1953, per il centenario della nascita di Scarpetta, Eduardo riporta in teatro “Miseria e nobiltà”, e le celebrazioni approdano anche al cinema dove Mario Mattoli dirige gli irresistibili adattamenti “Un turco napoletano” e la stesso “Miseria e nobiltà” dove a interpretare il protagonista Felice Sciosciammocca c’è uno stratosferico Totò.

Ma in Italia è appena sbarcato un nuovo mezzo di comunicazione di massa che molti snobbano o guardano addirittura con disprezzo, ignorando completamente il suo vero potenziale e la sua ricaduta sociale e culturale: la televisione. Eduardo De Filippo, invece, da genio indiscusso quale era, intuisce subito la grande rivoluzione che quell’ingombrante e rumorosa scatola rappresenta e così, come il suo fratellastro Vincenzo Scarpetta che fu uno dei pionieri del cinema italiano degli inizi del Novecento, gli si avvicina curioso e ricco di aspettative.

Così, la sera del 30 dicembre 1955 dal Teatro Odeon di Milano, mette in scena in diretta per la Rai Radiotelevisione Italiana “Miseria e nobiltà”. Inizia così un connubio con la nostra televisione di Stato che di fatto durerà circa trent’anni e grazie al quale le generazioni future possono godere della sua immensa arte, non solo leggendola, ma assaporandola interpretata da lui stesso.

La diretta rappresenta anche il debutto ufficiale di suo figlio Luca che, naturalmente, veste i panni di Peppeniello. Nel cast ci sono anche Dolores Palumbo, che con Eduardo aveva esordito agli inizi degli anni Trenta, Ugo D’Alessio attore stabile nella compagnia De Filippo – nonché grande caratterista al cinema dove, per esempio, interpreta magistralmente l’italo-americano arricchito Decio Cavallo al quale Totò “vende” la Fontana di Trevi in “Totòtruffa ’62” e sarà sempre lui a dare il volto a Mastro Ciliegia nello splendido “Le avventure di Pinocchio” diretto, sempre per la RAI, da Luigi Comencini nel 1972 – e Isa Danieli nel ruolo di Gemma.

L’adattamento di Eduardo smorza i toni della farsa e li avvicina a quelli del suo teatro che provoca, più che sghignazzi, risate tristi e amare, proprio sulla scia delle opere di Luigi Pirandello, col quale lui stesso collaborò. E così De Filippo amplia il monologo dedicato alla miseria, sognando – lui, lo squattrinato Felice Sciosciammocca che non riesce a sfamare nemmeno suo figlio – un mondo senza poveri perché la povertà: “…fa schifo!”.

Immortale e preziosissimo documento storico e sociale che ci ricorda l’arte immensa del grande Eduardo De Filippo così come quella irresistibile di suo padre Eduardo Scarpetta.