“Basette” di Gabriele Mainetti

(Italia, 2008)

Che le varie serie de “Le avventure di Lupin III col grande Arsenio – Arsenico per gli amici – Lupin III abbiano segnato profondamente l’immaginario collettivo della mia generazione, è un indiscutibile dato di fatto, e soprattutto un motivo d’orgoglio, visto che a dirigere la prime due stagioni (quelle con la mitica giacca verde) del manga firmato da Kazuhiko Katō e’ stato il maestro Hayao Miyazaki.

Se è vero che ci sono molti modi per raccontare una contaminazione, è vero anche che pochi sono quelli che riescono a coglierne al meglio l’anima – e pure l’anime… – in maniera efficace e coinvolgente. E questo bel cortometraggio di Gabriele Mainetti, scritto da Nicola Guaglianone, è un ottimo esempio.

Antonio (un sempre bravo Valerio Mastandrea) è un ladruncolo della periferia romana, figlio d’arte, specializzato in furti in negozi e piccole rapine. La mattina che insieme ai suoi soliti complici Franco (Marco Giallini) e Tony (Daniele Liotti) si prepara a rapinare un ufficio delle Poste, pensa alla madre, specializzata in furti nei supermercati, che venne arrestata la volta che tentò di rubare un costume da Lupin III per lui.

Ma soprattutto Antonio ricorda Prisca (Luisa Ranieri), “socia” della madre, di cui lui è stato sempre innamorato. La rapina va male, e Antonio è steso sull’asfalto davanti all’ufficio postale, colpito alla testa da un proiettile.

Accanto a lui ci sono i corpi esanimi di Franco e Tony. Negli ultimi istanti di vita Antonio sogna. Sogna di essere illeso e venire arrestato, vestito esattamente come Lupin III (ma con la giacca rossa) da un ispettore (Flavio Insinna) che ricorda tanto Zazà Zenigata. E mentre lui è sotto interrogatorio, i suoi amici di sempre Jigen-Franco e Goemon-Tony si preparano a farlo evadere…     

Il conciliare la romanità, soprattutto quella delle periferie – che Pasolini amava tanto – e che oggi è forse l’unica vera rimasta, con i miti dei cartoni giapponesi anni Settanta è già sulla carta un’intuizione geniale.

E Mainetti, grazie anche a un cast di tutto rispetto, riesce a mantenere le promesse anche sulla pellicola. Davvero 17 minuti ben spesi.

Da vedere, anche in attesa del suo “Lo chiamavano Jeeg Robot”.    

“La ricompensa del gatto” di Hiroyuki Morita

(Giappone, 2002)

La Lucky Red di Andrea Occhipinti – fra i più oculati e attenti distributori italiani – cura, per il nostro benessere intellettuale ed emotivo, una splendida nuova – e purtroppo molto breve – uscita nelle nostre sale dei capolavori prodotti dallo Studio Ghibli nel corso degli ultimi trent’anni.

Ieri e oggi tocca a “La ricompensa del gatto” di Hiroyuki Morita, vero e proprio spin-off dell’altrettanto splendido “I sospiri del mio cuore” diretto da Yoshifumi Kondō e scritto da Hayao Miyazaki e ispirato al manga per ragazze “Sospiri del cuore” di Aoi Hiiragi.

Ed è lo stesso Miyazaki ad avere l’idea per un cortometraggio che poi si svilupperà in un lungometraggio di cui curerà il progetto ed affiderà la regia a Hiroyuki Morita.

Haru è un’adolescente goffa e solitaria che spesso si caccia in situazioni scomode e imbarazzanti. Un pomeriggio, mentre torna a casa dalla scuola, salva eroicamente un gatto che sta per essere investito da un camion.

La notte stessa, davanti alla sua porta, si ferma un imponente corteo di gatti che camminano sulle zampe posteriori. E’ il corteo reale condotto dal re dei gatti in persona venuto a ringraziarla per aver salvato la vita al suo unico figlio.

Come ricompensa Haru dovrà sposare lo stesso principe ereditario e vivere per sempre nel paese dei felini. Confusa e preoccupata Haru cerca qualcuno che le creda e, soprattutto, l’aiuti. L’unico che sembra poterlo fare è il gatto Baron…

Bellissimo, da far vedere a scuola, e immancabile per chi ama il maestro giapponese e gli animali.

“Nausicaa della Valle del Vento” di Hayao Miyazaki

(Giappone, 1984)

Tornato nelle nostre sale, dove rimarrà solo fino a domani, “Nausicaa della Valle del Vento” è forse l’unico vero e proprio manga – nell’accezione classica – del geniale maestro dell’animazione che è Hayao Miyazaki, ispirato direttamente dalle sue strisce omonime, pubblicate all’inizio degli anni Ottanta.

Se l’ombra dell’olocausto atomico è presente in molte delle opere del maestro giapponese (per lui che è nato nel 1941 il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki è molto più di un semplice ricordo), “Nausicaa della Valle del Tempo” parte proprio 1000 anni dopo una disastrosa guerra planetaria.

Gli esseri umani sopravvissuti sono costretti a vivere ai margini del grande e incontenibile Mar Marcio, una sorta di foresta fluviale dominata da insetti di ogni dimensione, alcuni dei quali grandi come edifici.

Le piante del Mar Marcio emettono spore ed esalazioni velenose letali per gli esseri umani che, stolti, pensano di poter risolvere le cose ancora una volta con la violenza…

Grande manifesto ambientalista, venne presentato e supportato dal WWF alla sua uscita.

Anche se ufficialmente lo Studio Ghibli nasce solo nel 1985, “Nausicaa della Valle del Vento” è considerata la sua prima grande opera, frutto del genio e della collaborazione di Miyazaki con l’altro grande animatore nipponico Isao Takahata (regista del recente “Storia della principessa splendente”).

Che aspettate? Vi rimane solo fino a domani per vederlo sul grande schermo!

“Quando c’era Marnie” di Hiromasa Yonebayashi

(Giappone, 2014)

E’ passato fugacemente per le sale italiane “Quando c’era Marnie” di Hiromasa Yonebayashi (già regista di “Arietty – Il mondo segreto sotto il pavimento” e stretto collaboratore del maestro Miyazaki), prodotto dallo Studio Ghibli che ha già annunciato – sob! – la momentanea chiusura a causa del flop commerciale de “La storia della principessa splendente” e del ritiro dello stesso Miyazaki.

Tratto dall’omonimo libro della scrittrice britannica Joan Gale Robinson, edito nel 1967, e fra i 50 libri che più hanno influenzato l’opera di Hayao Miyazaki, “Quando c’era Marnie” ci racconta la difficile adolescenza della tredicenne Anna, rimasta orfana a tre anni e per questo adottata.

Sulla sua strada incontrerà, tra sogno e realtà, una coetanea con un fascino e una dolcezza particolari, a cui si sentirà profondamente legata…

Un’opera delicata e struggente che, come tutti i film dello studio Ghibli, merita senz’altro di essere vista.

“La storia della principessa splendente” di Isao Takahata

(Giappone, 2013)

Dal mitico Studio Ghibli di Hayao Miyazaki arriva questo splendido e crepuscolare “La storia della principessa splendente” diretto Isao Takahata, amico e collega di Miyazaki già dai tempi di “Lupin III”.

Se la storia di Gemma di Bambù è affascinante già di per se stessa, con le immagini di Takahata – che a tutti gli effetti sono una vera e propria opera d’arte – e la loro fantastica animazione, parliamo di 137 minuti struggenti e indimenticabili.

La gioia di vivere e di scoprire il mondo “nonostante tutto” caratterizza le opere del maestro Miyazaki, mentre una languida ma irresistibile tristezza segna invece quelle di Takahata, come nel bellissimo “La tomba per le lucciole” dedicato all’immane tragedia di Hiroshima.

Da vedere.

“Le avventure di Lupin III” di Hayao Miyazaki, Isao Takahata e Masaaka Osumi

(Giappone, 1971-1972)

Il debutto dell’inafferrabile Arsenico Lupin III risale al 1967 sulle pagine del settimanale “Futabasha”, frutto del genio del disegnatore Monkey Punch (al secolo Kazuhiko Katō).

Visto il successo del manga, venne deciso di realizzare una serie animata per la televisione in 23 puntate. A dirigerla vennero chiamati Isao Takahata, Masaaka Osumi e il grande Hayao Miyazaki.

Di tutte le successive serie e lungometraggi che vennero prodotti, dedicati al ladro più simpatico della storia, questi 23 episodi sono quelli che preferisco in assoluto. Goemon, Jigen, la prosperosa Fujiko e il grande Zazà Zenigata vivranno mille altre avventure, ma quelle col buon vecchio Arsenico in giacca verde sono le migliori, così come quella del lungometraggio, realizzato sempre dal maestro Miyazaki “Lupin III – Il castello di Cagliostro” del 1979.

Vera e propria storia della televisione.

“Si alza il vento” di Hayao Miyazaki

(Giappone, 2013)

Il maestro Miyazaki ha dichiarato che questo è il suo ultimo lungometraggio, d’ora in poi farà il pensionato.

Si tratta di una notizia triste per tutto il cinema e la cultura mondiale, visto che anche questo film del maestro giapponese è di fatto una vera opera d’arte.

La storia di Jiro Horikoshi, l’ingegnere progettista dei micidiali velivoli Zero che ebbero una tragica fama durante la Seconda Guerra Mondiale, ci riporta nel Giappone prebellico e nei sogni di un bambino miope che però sapeva vedere tanto lontano.

Ma parlare solo delle trama di un film di Miyazaki ha davvero poco senso, le sue opere vanno godute fotogramma per fotogramma.

Da vedere, come tutte le altre opere del maestro giapponese.

“Lupin III – Il castello di Cagliostro” di Hayao Miyazaki

(Giappone, 1979)

Sono un grande estimatore di Miyazaki, ma soprattutto sono un folle fan delle serie “Le avventure di Lupin III” quello dalla giacca verde, serie firmate proprio dallo stesso Miyazaki, e quindi questo film, che racchiude due miei miti personali, non può che essere speciale per me.

In questa grande pellicola d’animazione ci sono tutti gli elementi principi della cinematografia del maestro del Sol Levante: il romanticismo, l’amore, il mistero, e grandi sequenze spettacolari e surreali.

Se ci aggiungiamo poi la figura di Cagliostro, uno dei personaggi più discussi e allo stesso tempo più intriganti di tutti i tempi, gli ingredienti ci sono tutti.

Per non parlare poi dell’inarrivabile Fiat 500 del mago del furto…

Un film d’animazione che col passare degli anni non perde un colpo.

“Kiki consegne a domicilio” di Hayao Miyazaki

(Giappone, 1989)

Grazie alla Mikado di Andrea Occhipinti finalmente possiamo rivedere questo splendido film del maestro Miyazaki realizzato nel lontano 1989, quando da noi era considerato “solo” uno degli autori di “Le avventure di Lupin III” e “Heidi”.

Tratta dal romanzo di Eiko Kadono, quest’opera di Miyazaki ci racconta la formazione della giovane strega Kiki che a 13 anni, come da tradizione, lascia i genitori per passare un anno da sola in un’altra città.

Ma, come in ogni pellicola del grande regista, non è solo la storia che conta, ma anche le atmosfere e la poesia delle immagini, che sono sublimi.

Da vedere, come ogni altro frutto dell’ingegno del maestro giapponese.