“Grammatica della fantasia – Introduzione all’arte di inventare storie” di Gianni Rodari

(Einaudi, 2016/1997)

Non è un caso che questo splendido libro di uno degli autori più amati della mia generazione (e ovviamente non solo) sia dedicato alla città di Reggio Emilia.

Perché dal 6 al 10 marzo del 1972 Gianni Rodari venne invitato come “esperto” ad una storica serie di incontri per docenti delle scuole elementari organizzato dal comune della città emiliana. Quello che veniva teorizzato il pomeriggio fra i docenti e gli esperti, la mattina seguente veniva subito messo in pratica nelle aule con i piccoli alunni.

Raccogliendo i suoi interventi e i suoi precedenti scritti – come il “Quaderno della Fantasia” – Rodari pubblicò nel 1973 questo prezioso volume che contribuì di fatto a cambiare nel profondo il concetto di educazione scolastica.

“Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare” ci dice Rodari per il quale coltivare ed alimentare la fantasia dei bambini assecondando a lei il programma didattico – e non il contrario – è fondamentale per creare donne e uomini liberi.

Ma non solo, questo libro è un eccezionale “manuale” per chi ama inventare e raccontare storie, anche se non è più un bambino. Rodari ci parla di Vladimir Propp i cui studi e soprattutto il testo “Morfologia della fiaba” è ancora un capo saldo dello studio della creazione delle storie.

Per comprendere al meglio quanto questo scritto di Rodari – come molti altri – sia attuale basta ricordare che Propp è uno degli autori – l’altro è Joseph Campbell – a cui si ispira Christoper Vogler per scrivere il suo saggio “Il viaggio dell’eroe” che riassume e descrive i passaggi principali comuni a tutte le fiabe e leggende tradizionali del nostro Pianeta. A questo testo (e a quello di Propp), tanto per fare un esempio, si è ispirato George Lucas per scrivere la sceneggiatura di “Guerre Stellari”.

Ma la lungimiranza di Rodari non si ferma lì. Siamo nel 1973, nel nostro Paese esistono solo due canali televisivi, le cui trasmissioni sono molto formali ed austere, con poche eccezioni fra cui “Carosello”. Ma di lì a poco le cose cambieranno, verranno liberalizzate le frequenze televisive e nasceranno, come funghi, le televisioni private. E allora Rodari ci dice perplesso: “Non si può mai essere sicuri di quello che un bambino impara guardando la televisione”.

Su questo immortale testo, come su tutta l’opera di Rodari, ci sarebbe da scrivere ancora tanto altro, ma limito solo a citare una frase del libro che, se ce ne fosse bisogno, evidenzia il suo amore e il suo rispetto per i più piccoli: “I bambini ne sanno una più della grammatica”.

“La Freccia Azzurra” di Enzo D’Alò

(Italia/Svizzera/Lussemburgo, 1996)

Questo delizioso cartone animato sembrava aver rialzato le sorti del nostro cinema d’animazione che, escluso il grande Bruno Bozzetto, era in inesorabile declino. Purtroppo D’Alò, dopo il grande successo al botteghino del successivo  “La gabbianella e il gatto” – al quale comunque io preferisco questo – non è più riuscito a ripetersi, e i film da lui realizzati non sono più stati all’altezza dei precedenti.

Ma torniamo a “La Freccia Azzurra”, il film è tratto dal racconto di Gianni Rodari e sceneggiato dallo stesso D’Alò assieme a Umberto Marino.

Si respira aria di festa ma, come era nella nostra tradizione – almeno quella di qualche decennio fa – i regali li porta la Befana (doppiata da Lella Costa). Un terribile giorno però, il perfido Scarafoni (il grande Dario Fo) avvelena subdolamente la Befana che è costretta al letto, e si impossessa del negozio nel quale i bambini vanno a portare le loro lettere con i regali scelti. Per la prima volta nella storia così, Scarafoni, esige che i regali siano pagati e pure anticipatamente. I bambini più poveri, quindi, rimarranno a bocca asciutta. Ma all’inizio della lunga notte dell’Epifania i giocattoli decidono di fuggire…

Con le splendide musiche di Paolo Conte – che vince anche il David di Donatello – “La Freccia Azzurra” è un bel film d’autore, che ci trasporta in un mondo creato dall’immortale Rodari, dove tutti possiamo trovare il nostro posto.

Peccato che alla fine …finisce.

Da vedere.

VIVA LA BEFANA!!!

“L’uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono

(Salani, 1953/2011)

E’ vero, è un libro brevissimo, anche considerando la prefazione e la postfazione (che superano di consistenza lo scritto originale di Giono – autore, fra gli altri, del romanzo storico “L’Ussaro sul tetto”) ma è bellissimo.

Ed è una storia vera che concilia col mondo.

Nel 1913 Giono, poco più che adolescente ma già amante della natura, in una delle sue passeggiate in Provenza incontra casualmente un pastore che passa le giornate a piantare alberi nelle zone montane più spoglie e desolate.

Col passare degli anni Giono torna nuovamente nella zona ammirando come l’intero paesaggio, e con esso la vita dei paesi limitrofi legati alle nuove foreste neonate, cambi in maniera miracolosa, senza che nessuno sospetti che dietro tale incredibile cambiamento ci sia stata solo la pertinacia di un semplice pastore.

Gli uffici preposti, infatti, parlano addirittura di “foreste spontanee”.

Insomma, come diceva il grande Gianni Rodari: “Per fare un albero ci vuole un seme!”.

“Favole al telefono” di Gianni Rodari

(1962, Einaudi)

Il ragionier Bianchi di Varese, per il suo lavoro, è costretto a fare il pendolare tutta la settimana. Ma la sua figlioletta non riesce a prendere sonno e così il ragioniere ogni sera, alle nove in punto, le racconta una favola al telefono.

La fantasia e l’amore di Bianchi sono così belli che perfino le centraliniste si mettono in pausa per ascoltarli.

E’ uno dei libri che ha segnato la mia infanzia, come quella di milioni di altri piccoli ascoltatori/lettori; e che deve stare in ogni casa dove ci sono bambini e grandi che si ricordano quando sono stati bambini.

Uno dei più alti esempi della letteratura italiana del Novecento.

La mia preferita è “La strada che non andava in nessun posto”: ci ripenso ancora oggi ogni volta che devo prendere una decisione importante.

Da leggere.