“Il segno di Venere” di Dino Risi

(Italia, 1955)

La sceneggiatura di questo capolavoro del cinema mondiale non a caso è stata scritta da alcuni dei più grandi cineasti del Novecento come: Franca Valeri, Edoardo Anton, Luigi Comencini, Ennio Flaiano, Dino Risi e Cesare Zavattini. La stessa Valeri, assieme ad Anton e a Comencini, è l’autrice del soggetto.

Siamo nel mezzo degli anni Cinquanta e l’Italia si sta rialzando dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. Si respira aria nuova per le strade: sta esplodendo il famigerato Boom. Ma l’aria nuova, come accade da millenni, non è certo per le donne. O quantomeno le possibilità delle donne, rispetto a prima del conflitto in cui non avevano il diritto al voto e alle quali Mussolini con un Decreto Legge del 10 gennaio 1927 dimezzò il salario rispetto a quello degli uomini, sono da nulle a poco più che scarse.

Ne sono un esempio le cugine Cesira (una grandissima Franca Valeri) e Agnese (una prorompente Sophia Loren) che vivono a Roma in viale Libia, nel quartiere detto Africano. Cesira, che da Milano si è trasferita a Roma a casa dello zio (Virgilio Riento) dove vive anche l’altra zia (Tina Pica) e appunto la cugina ventenne, è una grande sognatrice con ambizioni da gran lady, ma che desidera più di ogni altro cosa il massimo a cui le donne possono aspirare in quegli anni: il matrimonio.

Lavora come dattilografa presso i Bagni Diurni della stazione Termini dove da tempo è timidamente corteggiata dal fotografo Mario (Peppino De Filippo). Per il suo aspetto però Cesira è poco considerata dagli uomini e anche Mario stenta a proporsi seriamente. Le cose peggiorano quando Cesira esce insieme ad Agnese che invece non riesce a tenere lontani gli uomini, proprio per il suo aspetto e le sue curve generose. Agnese, infatti, non può prendere un autobus senza essere palpata e molestata.

Con un cast stellare, fra i più completi di quegli anni, “Il segno di Venere” è una pietra miliare della commedia all’italiana, e non solo. Accanto alle due protagoniste ci sono grandissimi interpreti anche nei ruoli secondari come quello del poeta squattrinato Alessio Spano interpretato in maniera sublime dal grande Vittorio De Sica, o quello del goffo ladro di macchine mammone Romolo Proietti impersonato da Alberto Sordi ancora non completamente esploso come mostro sacro della commedia.

Questa immortale pellicola va rivista non solo per i suoi grandi interpreti, ma anche perché ci racconta in maniera amara e tagliente come una donna in Italia, in quegli anni, molto poco poteva scegliere o decidere. Che fosse una “intellettuale” o una “maggiorata”: erano sempre e comunque gli uomini a dettare le regole. Solo se sapeva giocare bene le sue carte avrebbe potuto raggiungere il famigerato altare, il massimo consentitole dalla società.

Sono passati sessantacinque anni da questa straordinaria pellicola e fortunatamente molte cose sono cambiate, ma non abbastanza. Siamo ancora il Paese del femminicidio, dove le vittime si contano come in un bollettino di guerra.

Attualissimo …purtroppo.

“Parigi o cara” di Vittorio Caprioli

(Italia, 1962)

Il metodo migliore per ricordare una grande artista come Franca Valeri, secondo me, è quello di parlare della sua arte attraverso le sue opere, e questo film, a cui lei ha partecipato anche come sceneggiatrice, è stato sempre uno dei suoi preferiti e giustamente più amati.

Delia Nesti (una stratosferica Franca Valeri) è una prostituta che vive ed “esercita” a Roma. E’ la stessa Roma del “Il sorpasso” di Dino Risi (realizzato lo stesso anno) con l’inarrestabile speculazione edilizia che ne divora la campagna circostante creando enormi quartieri dormitorio, fatti di giganteschi palazzi con le strade però ancora sterrate. Delia è riuscita a comprare un appartamento in uno di questi nuovi quartieri e con i suoi guadagni è riuscita anche a mettere su una “ditta” di strozzinaggio, insieme ad altri soggetti che come lei vivono al limite della società (soggetti che saranno molto cari al maestro Fabrizio De Andrè).

Per uno scherzo del portiere dell’ufficio Telefoni della SIP (interpretato da Gigi Reder, che nel decennio successivo vestirà i panni dell’implacabile Rag. Filini dell’Ufficio Sinistri nella saga del mitico Fantozzi Ragionier Ugo) di piazza San Silvestro, Delia dopo molti anni parla con suo fratello Claudio, trasferitosi a Parigi quando lei era ancora una bambina. Quella breve e quasi sconclusionata telefonata pianta nell’anima della donna un seme. Da quel momento tutto sembra parlarle della grande capitale francese dove un animo distinto e incompreso come il suo può finalmente trovare individui in grado di comprenderla e valorizzarla. Delia decide così di trasferirsi nella Ville Lumière dove le sue attese verranno certamente ripagate.         

Ma, purtroppo per lei, Delia Nesti ha una sua morale. Una morale invisibile per quella parte ipocrita della società che la considera solo una donna impresentabile e perduta, società che però fa uso e abuso quotidiano di persone come lei pur di mantenere il suo equilibrio perbenista. E così Delia, a causa della sua indole pura e tollerante, non riuscirà ad afferrare le occasioni che Parigi le offre…

Scritto dalla stessa Valeri assieme a Renato Mainardi, Silvana Ottieri e Vittorio Caprioli (autore del soggetto) “Parigi o cara” è una delle commedie all’italiana più amate e citate degli ultimi decenni. Un film così attuale e innovativo, anche se indubbiamente incardinato nel genere che allora spopolava, non poteva però riscuotere troppo successo e così non venne distribuito all’estero. L’unico riconoscimento ufficiale fu la candidatura della Valeri ai Nastri d’Argento come migliore attrice.

Ma la sua grande interpretazione, l’ottima sceneggiatura e l’originale ed elegante caratterizzazione di personaggi spesso molto grotteschi, ne hanno fatto giustamente un film cult per le generazioni successive, che hanno saputo coglierne la vera essenza e la grande e raffinata ironia. “Parigi o cara” è uno dei pochissimi film di quegli anni, infatti, dove l’omosessualità (incarnata da Claudio Nesti) non è derisa o usata come scusa per becere e offensive gag, ma un elemento integrante della società.

Ed è sempre una delle poche commedia dove una prostituta racconta candidamente degli abusi subiti durante l’infanzia, abusi che inesorabilmente l’hanno portata a “fare la vita”, come si diceva allora. Anche a questo si riferisce il titolo del film, che riprende sagacemente un verso de “La Traviata” di Giuseppe Verdi. Scomparso per decenni, questo gioiello del nostro cinema solo nel 2010 è tornato sul mercato nella versione restaurata.           

Il dvd riporta tale versione del film, e nella sezione extra è presente il trailer originale con la voce narrante dell’indimenticabile Nando Gazzolo e una galleria con foto di scena.

“Un eroe dei nostri tempi” di Mario Monicelli

(Italia, 1955)

Si possono scrivere interi saggi sullo stile di vita del nuovo Millennio, o sulle generazioni.com, ma i tratti distintivi – anche se è sempre sbagliato fare di tutta l’erba un fascio – di un popolo rimangono sempre gli stessi.

Sono passati esattamente 63 anni dall’uscita nelle sale italiane di questo capolavoro diretto dal maestro Mario Monicelli che rimane uno dei documenti storici e sociali più rilevanti, nonostante siano caduti muri e repubbliche, per capire il nostro Paese di oggi.

Alberto Menichetti, protagonista del film, è uno dei personaggi più feroci, riusciti e veritieri della cultura italiana del Novecento. E con lui tutta quella miriade di piccoli personaggi meschini o ipocriti che popolano il film, dal Direttore alla bella e verace parrucchiera.

Alberto Sordi, la cui modernità recitativa sorprende ancora oggi, ci regala il primo grande ritratto dell’italiano medio disposto a vendere parenti, amici e colleghi pur di primeggiare o quanto meno cavarsela. Memorabili sono anche i duetti con l’immensa Franca Valeri, che ci preparano ad un altro capolavoro che i due gireranno quattro anni dopo, “Il vedovo” di Dino Risi.

Scritto da Rodolfo Sonego assieme allo stesso Monicelli “Un eroe dei nostri tempi” dovrebbe essere visto e studiato nelle scuole con la sua battuta finale: “…Ci sarà pericolo?”.

Per la chicca: nel ruolo dell’integerrimo Direttore di Menichetti – che ha poi per amante la sua procace segretaria – c’è il regista Alberto Lattuada, mentre in quello di Ferdinando, il manesco fidanzato della bella parrucchiera Giovanna Ralli, c’è un gigante dal fisicaccio: Carlo Pedersoli, senza barba e ancora lontano dal prendere lo pseudonimo di Bud Spencer.

“Il vedovo” di Dino Risi

(Italia, 1959)

Che Franca Valeri e Alberto Sordi siano due grandi attori non è una novità. Ma l’idillio fra due giganti della commedia (e del teatro) nel film di Dino Risi è davvero qualcosa di straordinario e irresistibile, anche a distanza di tanti anni.

Che poi lei sia una ricca industriale, lui uno sconclusionato con manie di grandezza, e che siano sposati – in un tempo in cui il divorzio non esisteva, almeno in Italia – crea una miscela davvero esplosiva e immortale (e non a caso il soggetto del film è ispirato liberamente a fatti realmente accaduti nel nostro Paese).

E se il successivo idillio Vitti-Sordi tocca grandi vette della comicità (come in “Amore mio aiutami” dello stesso Sordi), il Valeri-Sordi ha una valore in più: è il simbolo dello scontro, che allora rappresentava l’Italia del Boom, fra gli stereotipi della cultura milanese e quelli della cultura romana, fra l’eccessivo dinamismo lombardo e l’invincibile indolenza capitolina. Il “Cretinetti!” ne contiene tutto il sapore.  

E poi il finale: “Che fa marchese, spinge?” dove lo mettiamo!