“I giganti uccidono” di Fielder Cook

(USA, 1956)

Ho scovato e visto questa vecchia pellicola perché la sceneggiatura è firmata dal grande Rod Serling e, come tutte le sue opere, merita di essere ricordata.

Già il titolo originale la dice lunga (“Patterns” che letteralmente sarebbe “Modelli” e/o “Motivi”), siamo a metà degli anni Cinquanta e le grandi società americane – che di lì a breve diventeranno le grandi multinazionali che conosciamo – sono in mano alla seconda generazione di “padroni”.

Sono i figli di coloro che le hanno fondate dal nulla. I nuovi padroni hanno studiato e viaggiato e gestiscono le aziende, il mercato e la sua finanza con un approccio nuovo che non è più quello dei padri che conoscevano il nome di battesimo di tutti i propri dipendenti, adesso i sottoposti sono solo dei numeri che servono al bilancio in sede di vendita o di fallimento.

Il giovane ingegnere Fred Staples (Van Heflin) responsabile di una piccola fabbrica di provincia viene chiamato nella sede centrale della Ramsey Ltd come nuovo dirigente.

A volerlo è stato direttamente il presidente della grande società Ramsey Jr in persona, dopo averlo visto al lavoro in una sua visita.

Ma Staples scoprirà presto che il presidente lo vuole sì per le sue capacità, ma anche per spingere l’anziano vice presidente William Briggs (un sempre bravo Ed Begley) alle dimissioni.

Briggs, infatti, è nella società fin dalla sua fondazione dove era il braccio destro del vecchio Ramsey, e adesso non si trova più in sintonia col figlio che giudica troppo spregiudicato e senza scrupoli, non mancando di farglielo presente in ogni consiglio d’amministrazione…

Da godere fino all’ultima scena, in cui si consuma lo scontro fra Staples e Ramsey jr, che ce la dice lunga sui principi dell’economia e dell’industria americana, e che si conclude alla Serling: in maniera del tutto imprevedibile.