“Pinocchio” di Guillermo Del Toro e Mark Gustafson

(USA/Messico/Francia, 2022)

Fra gli innumerevoli adattamenti dell’opera immortale di Carlo Collodi – al secolo Carlo Lorenzini, la cui prima puntata, è giusto ricordarlo, venne pubblicata nel 1881- questo scritto Guillermo Del Toro, assieme a Patrick McHale, e diretto in stop motion insieme a Mark Gustafson, accanto a “Le avventure di Pinocchio” diretto da Luigi Comencini nel 1972 e al “Pinocchio” di Matteo Garrone del 2019, è uno dei migliori.

Il geniale e visionario cineasta messicano prende spunto dalla storia originale per riscriverla attualizzandola, ambientandola nella cupa Italia del ventennio fascista. Geppetto è un uomo solo, anziano e disperato. Disperato perché la Grande Guerra gli ha portato via Carlo, il suo piccolo unico e tanto amato figlio.

Ormai preda dell’alcol, Geppetto non riesce quasi più a lavorare ma una notte, lo Spirito del Bosco, dona la vita al burattino di legno che l’uomo ha furiosamente costruito in preda ai fumi del vino. La mattina dopo la sorpresa di Geppetto sarà clamorosa quanto quella di tutta la comunità che però, a differenza del falegname, vede nel burattino vivo e animato un pericolo per la morale e soprattutto per l’ordine nella reazionaria, arrogante e guerrafondaia Italia fascista, incarnata dal prepotente podestà del paese.

Ad incantare e soggiogare Pinocchio, intanto, ci pensa il Conte Volpe, proprietario di una sorta di circo ambulante in cerca sempre di fenomeni da baraccone a basso costo. E grazie a Spazzatura, la sua fedele scimmia, attira il burattino nel suo capannone…

Del Toro ci racconta il suo personale Pinocchio, che vive e cammina in un ambiente molto cupo e freddo, che non a caso ricorda quello dell’adattamento di Comencini. Nonostante tutto il mondo voglia cambiarlo e omologarlo, a partire all’inizio anche da Geppetto, Pinocchio conserva sempre il suo sorriso e il suo cuore puro, incarnato dal Grillo Parlante narratore dell’intera vicenda, grazie al quale potrà mantenersi sempre fedele a se stesso.

L’attualizzazione della vicenda del burattino più famoso della storia che fa Del Toro è incredibilmente calzante con la nostra storia recente che ha portato una nuova e tragica guerra in Europa dopo oltre sette decenni.

Come nel bellissimo “Il labirinto del fauno” ambientato durante la guerra civile spagnola, anche in questo ottimo film Del Toro ci ricorda che chi non conosce la propria storia non ha futuro.

Questa pellicola, volutamente realizzata in stop motion per conservare al meglio l’originalità della storia e degli ambienti, ha avuto una lavorazione durata circa quindici anni, e nella versione originale Ewan McGregor doppia il Grillo Parlante, Christoph Waltz il Conte Volpe, Ron Perlman il podestà, Tilda Swinton lo Spirito del Bosco, Cate Blanchett Spazzatura e John Turturro il medico del paese.

“Raymond & Ray” di Rodrigo García

(USA, 2022)

Raymond (Ewan McGregor) e Ray (Ethan Hawke) sono due fratellastri che hanno superato la cinquantina ma che ormai si sono persi di vista da un pò. Da bambini hanno diviso la stanza in cui sono cresciuti con due madri differenti e lo stesso padre, Harris. La madre di Raymond era la moglie ufficiale mentre quella di Ray l’amante, che alla fine hanno formato un’unica famiglia allargata.

Una sera Raymond si presenta a casa di Ray comunicandogli che il loro padre è morto e che ha lasciato come disposizione testamentaria che siano loro due, materialmente, a scavargli la fossa e seppellirlo. Entrambi portano incisi a fuoco nell’anima i segni esteriori e interiori che ha lasciato loro Harris, un padre non solo assente, ma soprattutto nocivo, egoista e prepotente.

Se Raymond è più conciliante, Ray si rifiuta categoricamente di fare anche solo un’ultima cosa per l’uomo che gli ha: “…rovinato la vita”. Ma siccome al fratello è stata sospesa la patente Ray è costretto ad accompagnarlo nella cittadina dove Harris ha passato circa gli ultimi dieci dei suoi ottant’anni vissuti.

Così i due arrivano nella piccola cittadina dove Harris ha vissuto prima di essere stroncato da un tumore. I due fratellastri si recano nella casa dove è spirato e incontrano la proprietaria Lucia (Maribel Verdù), loro coetanea, che scoprono poi essere stata fra le ultimi amanti di loro padre. Anche da morto Harris pesa come un macigno sulle loro esistenze ma forse, accettando di convivere con tutti i suoi limiti e le sue gravi mancanze, ma soprattutto con il profondo rancore che provano per lui, potranno salvarsi…

Deliziosa e amara commedia dedicata al rapporto conflittuale padre/figlio che da Edipo, passando per Amleto, è uno dei temi più trattati dalla cultura umana e, nonostante i secoli e i millenni passati, è ancora troppo spesso – …dolorosamente – irrisolto.

Scritta dallo stesso Rodrigo García, ha fra i produttori anche Alfonso Cuarón regista di pellicole come “Roma” o “Y tu mamá también – Anche tua madre”, quest’ultima interpretata da Maribel Verdú.

“Big Fish – Le storie di una vita incredibile” di Tim Burton

(USA, 2003)

Nel 1998 lo scrittore statunitense Daniel Wallace (classe 1959) pubblica il romanzo “Big Fish: A Novel of Mythic Proportions” dedicato alla scomparsa del padre. Il libro colpisce profondamente lo sceneggiatore John August proprio per la recente perdita del proprio genitore.

August scrive la sceneggiatura rendendola adatta al racconto cinematografico. Lo script viene offerto a Spielberg con l’idea di affidare la parte del protagonista a Jack Nicholson. Ma il progetto sfuma e così la sceneggiatura arriva sulla scrivania di Tim Burton che decide di realizzarla (lo stesso August collaborerà due anni dopo allo script del bellissimo “La sposa cadavere”).

Così approdiamo in Alabama dove vivono Ed Bloom (Albert Finney) e sua moglie Sandra (Jessica Lange). Il loro unico figlio William (Billy Crudup) vive e lavora come giornalista a Parigi. Il rapporto fra Will e suo padre è naufragato già a partire dall’adolescenza del figlio che non sopportava più i racconti inventati e surreali del padre, che nella vita faceva “semplicemente” il rappresentante di commercio girando quasi ogni settimana per l’intero Paese.

Quando però William riceve la telefonata di Sandra che gli rivela che il padre ha un tumore incurabile, l’uomo torna immediatamente a casa assieme a sua moglie Josephine (Marion Cotillard) che al è settimo mese della loro prima gravidanza.

Will, preoccupato anche per la sua imminente paternità, tenta per l’ultima volta di avere un dialogo col padre, ma non riesce ad abbandonare l’ostilità e i pregiudizi che da anni prova per lui. Ma, proprio prima che sia troppo tardi, Will riesce ad entrare nel mondo fantastico e incredibile di Ed…

Struggente pellicola intimista fra le più emotive del grande e visionario Tim Burton che ci regala quasi due ore di sogni incredibili che ci aiutano ad affrontare la fin troppo spesso dura realtà. Ma d’altronde i poeti, quelli veri, non sono coloro che con le loro parole rendono le cose più dolorose o banali degne di essere vissute?

Da vedere.

Per la chicca: parte secondaria ma irresistibile del grande Danny DeVito e ottima interpretazione di Ewan McGregor nei panni di Ed Bloom giovane.

“Abbasso l’amore” di Peyton Reed

(USA, 2003)

Questa deliziosa commedia, scritta da Eve Ahlert e Dannis Drake, omaggia in ogni piccolo dettaglio le classiche commedie d’amore che hanno sbancato il botteghino e segnato l’immaginario collettivo americano negli anni Sessanta.

La coppia reale di questo filone era formata da Rock Hudson e Doris Day; e nel ruolo di personaggio secondario – di solito amico e complice inconsapevole del protagonista – c’era Tony Randall.

Non è un caso quindi che lo stesso Randall interpreti una piccola parte in questo film che vede come protagonisti una innocente Barbara Novak (Renée Zellweger) e un incallito playboy nonché cronista d’assalto Catcher Block (Ewan McGregor).

New York, 1962. La giovane e ingenua Barbara Novak arriva in città: è stata convocata presso la grande casa editrice Banner, fondata e diretta dal feroce Theodore Banner (Tony Randall), che intende pubblicare il suo romanzo-manuale “Abbasso l’amore”, in cui la scrittrice esordiente sostiene che è l’amore a limitare l’emancipazione sociale delle donne.

L’editor della Banner, Vikki Hiller (Sarah Paulson) infatti, è entusiata del libro e per promuoverlo ha poi organizzato una colazione-intervista con Catcher Block, il giornalista di punta del momento. Ma…

Godibilissima e gustosa commedia con costumi, scenografie e colonna sonora – interpretata anche da Michael Bublé, oltre che dagli stessi Zellweger e McGregor – davvero sfizosi.

Per chi ama il genere, ed il cinema in generale.

Per la chicca: il titolo originale del libro della Novak “Down with Love” – che è anche il titolo originale della pellicola – si rifà ad una nota canzone cantata dalla grande Judy Garland, la cui vera interpretazione è inserita magistralmente nel film.


“I racconti del cuscino” di Peter Greenaway

(Olanda/UK/Francia/Lussemburgo, 1996)

Sei Shōnagon è stata una scrittrice e poetessa giapponese nata sul finire del primo millennio e dama di compagnia dell’imperatrice Teishi. La sua opera più famosa è “Le note del guanciale”, che raccoglie le cronache dell’aristocrazia del tempo fra ricordi, eventi, piccole cose e grandi piaceri.

Il “guanciale” si riferisce al cuscino usato dalla nobiltà del tempo per poggiare la testa senza rovinarsi l’acconciatura. Fatto il legno e con una morbida imbottitura, conteneva nel suo interno un piccolo incavo nel quale, di solito, venivano custoditi appunti e diari personali.

Il maestro gallese Peter Greenaway, alle soglie del decimo centenario dell’opera, ne realizza uno splendido adattamento cineamtografico contemporaneo ambientato fra il Giappone, Hong Kong (che allora era ancora un protettorato inglese) e la Cina.

La giovane e avvenete modella giapponese Nagiko ogni anno, per il suo compleanno, ripete il rito che suo padre esperto calligrafo faceva sempre: le disegnava sul volto gli auguri. In cerca di un calligrafo degno del padre, Nagiko cambia amanti su amanti per poi farsi scrivere ideogrammi sulla sua pelle.

Quando, a Hong Kong, incontra casualmente il giovane traduttore inglese Jerome (Ewan McGregor) Nagiko cambierà prospettiva, sarà lei a scrivere sul corpo dei suoi amanti…

Bellissima pellicola dove le immagini hanno la stessa forza e la stessa dirompenza delle parole e dove, anche a distanza di oltre venta’anni, il genio visionario di Greenaway lascia sempre sublimati.

Da vedere.

“Beginners” di Mike Mills

(USA, 2010)

La domanda del secolo, e forse del millennio, è: quanto influenza la nostra vita sentimentale il rapporto che hanno o hanno avuto i nostri genitori? ‘Na cifra! …Oserei rispondere.

Su questo profondo e affatto circoscritto tema sono stati girati numerosi film e questo scritto e diretto dal graphic designer Mike Mills è uno dei migliori, e si basa su alcuni avvenimenti che hanno segnato la vita reale dello stesso Mills.

Oliver (Ewan McGregor) è un graphic designer che ha una vita sentimentale disastrosa, non riuscendo o non volendo mantenere a lungo un rapporto con una donna. Ogni volta che una relazione arriva a un punto cruciale, Oliver non può evitare di rivivere emozioni e scene della sua infanzia passata soprattutto con la madre.

Madre che, settantenne, è morta di un tumore al cervello. Pochi giorni dopo suo padre Hal (uno stratosferico Christopher Plummer) gli confida di essere gay e che, dopo 44 anni di matrimonio ufficialmente etero, desidera vivere finalmente la sua vera sessualità.

Se all’inizio la cosa scombussola Oliver, alla fine lo illumina sui sacrifici, la costanza e soprattutto sul rispetto di se stesso e degli altri che Hal ha sempre avuto. Intanto, a una festa, Oliver incontra casualmente Anna (Mélanie Laurent) un’attrice che come lui ha un rapporto irrisolto coi propri genitori…

Davvero una deliziosa pellicola indipendente che lascia il segno. Meritatissimo Oscar come miglior attore non protagonista a Plummer.

“I segreti di Osage County” di John Wells

(USA, 2013)

Qui parliamo di uno stratosferico cast artistico con i due premi Oscar Meryl Streep e Julia Roberts affiancate da Sam Shepard, Ewan McGregor, Juliette Lewis, Benedict Cumberbach oltre ad altri grandi attori – soprattutto di teatro – meno noti in Italia come Margo Martindale e Chris Cooper.

Il tutto diretto da John Wells, creatore e regista della serie “E.R. – Medici in prima linea” ispirata ai racconti di Michael Crichton.

Ma non basta! La sceneggiatura è tratta dall’opera teatrale vincitrice del premio Pulitzer nel 2008 “Agosto: foto di famiglia” scritta da Tracy Letts.

Sulla deflagrazione di una famiglia dopo “Natale in casa Cupiello” del grande Eduardo De Filippo era davvero difficile aggiungere qualcosa di nuovo, ma Letts – autore anche della sceneggiatura cinematografica – ci riesce, e pure bene.

Mettiamoci poi la bravura stellare della Streep che riesce anche ad essere affascinante nei panni di una malata di cancro con parruccone e occhiali neri, e quella della Roberts che – da grande attrice – invecchia appositamente arrotondandosi le curve e mostrando un’insopportabile ricrescita.

Insomma, un grande film da vedere e godere fotogramma per fotogramma.