“Contratto per uccidere” di Don Siegel

(USA, 1964)

Qui, gente, parliamo di uno dei capolavori della cinematografia mondiale, uno di quei film che hanno fatto la storia del cinema e che sono stati copiati – e ancora oggi lo sono – per la loro bellezza, il loro ritmo e il loro fascino.

Dallo stesso racconto “The Killers” di Ernest Hemingway, nel 1946 Robert Siodmak dirige “I gangsters” con Burt Lancaster e Ava Gardner. Bel film, ma niente a che vedere con questo capolavoro che il maestro Don Siegel gira quasi vent’anni dopo.

Siegel (che per la cronaca si è laureato a Cambridge), preso in considerazione proprio per girare “I gangsters”, sconvolge il racconto di Hemingway che trova folgorante all’inizio ma, giustamente, deludente alla fine. E così riduce i flashback e costruisce una storia intorno a un uomo che davanti ai suoi assassini non ha la minima voglia di scappare.

Charlie (uno straordinario Lee Marvin da Oscar, ma che vince “solo” il BAFTA) e il suo giovane socio Lee (Clu Gulager) fanno irruzione in un istituto per non vedenti. Il loro obiettivo è l’insegnante di meccanica Johnny North (un bravissimo e irrequieto John Cassavetes) che freddano nell’aula in cui sta insegnando, senza nessuna difficoltà. Anzi, l’uomo avvertito del loro arrivo, non fugge e aspetta la morte senza ribellarsi. La cosa insospettisce troppo Charlie che decide di scoprire la storia di North e soprattutto chi li ha pagati per ucciderlo…

Nel cast deve essere ricordata anche la bravissima e bellissima Angie Dickinson, fra le dive più eleganti e attraenti di Hollywood, nello splendido ruolo di Sheila, una Dark Lady come poche altre. Mentre nella parte dell’astuto e feroce Jack Browning c’è Ronald Reagan alla sua ultima interpretazione di rilievo prima di intraprendere, pochi mesi dopo, la carriera politica che lo portò a essere prima Governatore della California e poi Presidente degli Stati Uniti. Se questo non è l’ambito per parlare delle sue capacità di statista (delle quali ancora oggi comunque paghiamo le drammatiche conseguenze) la recitazione statica, inespressiva e obsoleta di Reagan – che già mostra quella tinta mogano scuro che poi ostenterà in tutte le foto dalla Stanza Ovale nel corso dei suoi due mandati – è davvero l’unico neo del capolavoro di Siegel.

Questo “Contratto per uccidere“ doveva essere il primo vero e proprio film realizzato interamente per la televisione, ma una volta montato venne considerato troppo “audace” e violento e così distribuito nelle sale con tanto di censura.

Ogni fotogramma merita di essere ricordato, ma la scena finale è una delle più strepitose e suggestive di tutto il cinema.

Quanto è stato copiato? Vincent e Jules, i personaggi che interpretano John Travolta e Samuel L. Jackson in “Pulp Fiction”, tanto per fare un esempio, Quentin Tarantino secondo voi da chi li ha “presi”?

Un capolavoro assoluto.

“Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway

(Mondadori, 1952/2000)

Per parlare di questo romanzo breve (uno dei più famosi del Novecento) mi tocca prima parlare di Francesco Guccini e della sua “Incontro”, che ascoltavo spesso durante la mia adolescenza fricchettona, arrogante e molto spesso solitaria (con tutte le situazioni che il fatto lo stare soli comporta…) e mi fermavo spesso a riflettere sui versi, immaginandomi giù adulto e maturo, e mi chiedevo: ma quando avrei scoperto pure io Hemingway?

Mi avvicinai così al grande scrittore americano, ma la scintilla non brillò (evidentemente ero ancora troppo immaturamente maturo…).

Poi un’estate di qualche anno dopo, come accadeva spesso, andai a casa dei miei zii al mare.

Mio zio Adulio nella vita aveva fatto il fotografo ma, come quasi tutti gli uomini nati in riva al mare, era un appassionato pescatore. Quell’estate, fra un’uscita in barca e l’altra, stava realizzando una personale traduzione dall’inglese de “Il vecchio e il mare”.

La curiosità ebbe il sopravvento, soprattutto per la stima che avevo – e che ho per lui anche se ora governa la sua barca in lidi molto più belli e splendidi di quelli che possiamo vedere noi sulla Terra – e appena tornato a casa, senza dire niente a nessuno, comincia di soppiatto il romanzo.

Lo divorai in poche ore, e anche oggi, ogni volta che lo rileggo – oltre a ripensare piacevolmente a mio zio Adulio e alla sua barca – è sempre una grande emozione.