“Piccole donne” di Greta Gerwig

(USA, 2019)

La giovane cineasta americana Greta Gerwig scrive e dirige il settimo adattamento cinematografico di “Piccole donne”, il romanzo più famoso della scrittrice Louisa May Alcott (1832-1888).

In realtà la Gerwing accorpa in questo film anche i seguiti del romanzo: “Piccole donne crescono”, “Piccoli uomini” e “I ragazzi di Jo”. Ma, soprattutto, la Gerwig attualizza in maniera davvero efficace il libro, e la vera vita della Alcott, che incarnano da oltre centocinquant’anni i primi veri simboli del femminismo moderno.

Dopo l’inglese Aphra Behn (1640-1689) la prima donna nella storia dell’Occidente ad essere pagata per i suoi scritti, la Alcott è indubbiamente ancora oggi un emblema dell’emancipazione femminile visto che, come diceva lei stessa: “…la donna non può ambire nella propria vita solo all’amore”.

Con un cast di altissimo livello, su cui spicca senza dubbio Saoirse Ronan nei panni di Jo, e che comprende tra gli altri Meryl Streep, Emma Watson, Laura Dern e Chris Cooper, la Gerwig realizza un bel film attualissimo e coinvolgente, così com’è l’opera della Alcott.

L’ottima prova della Ronan (che sempre diretta dalla Gerwig ha interpretato il delizioso “Ladybird” nel 2017) sembra incoronarla come nuova stella eclettica del cinema americano, sulla scia proprio di una delle attrici più brave di sempre come Meryl Streep.

A proposito del forte legame che l’opera della Alcott ha ancora oggi con la scrittura vera e propria, la Gerwig fa interpretare non a caso la parte del signor Dashwood (il primo editore del romanzo) a Tracy Letts attore e drammaturgo americano, vincitore del Premio Pulitzer per l’opera teatrale “Agosto: foto di famiglia” del 2007, da cui John Wells ha tratto il bellissimo film “I segreti di Osage County” nel 2013, nel cui cast splende una superba Meryl Streep accanto, fra gli altri, allo stesso Chris Cooper.

“Regression” di Alejandro Amenábar

(Canada/Spagna, 2015)

La domanda sorge spontanea (cit.!) come mai questa bella pellicola del regista premio Oscar (con “Mare dentro”) Alejandro Amenábar (autore fra gli altri di “Apri gli occhi”, “The Others” e “Agorà”) non ha trovato una bella distribuzione nel nostro Paese?

La risposta non può essere una sola, ma la prima che viene in mente è certamente legata al tema alquanto spinoso che affronta: il senso di colpa che può essere sfruttato per rendere succubi gli altri.

Amenàbar ci racconta i fatti – realmente accaduti nel 1990 in una cittadina agricola degli Stati Uniti – provocati dalla confessione di Angela (una sempre brava Emma Watson) una ragazza devota e assidua frequentatrice della locale chiesa cristiana, che afferma di essere vittima da anni di abusi legati a riti satanici ad opera della sua famiglia.

L’ombra di una setta satanica ramificata in ogni ambito sconvolge la comunità e al deciso e volenteroso detective Bruce Kenner (Ethan Hawke) viene affidato il compito di smantellarla. Ad assistere Kenner c’è il Professor Kenneth Raines, esperto di ipnosi regressiva che attraverso i suoi metodi avalla i racconti della ragazza…

Amenàbar, nato in Cile ma cresciuto in Spagna (patria della Santa Inquisizione), come noi italiani “confinanti” da sempre col Cuppolone, conosce bene i modi con cui una parte distorta e integralista di religiosi possa usare il senso di colpa per ghermire i fedeli.

Da vedere.