“Lo spaventapasseri” di Jerry Schatzberg

(USA, 1973)

Sul bordo di una strada, persa fra le colline dell’immensa campagna degli Stati Uniti, si incontrano due sconosciuti in cerca di un passaggio: Max (Gene Hackman) e Francis Lionel (Al Pacino). Mentre il primo è un rude e volitivo ex detenuto con in testa l’idea che gli farà cambiare la vita e cioè metter su un autolavaggio a Pittsbugh, il secondo è un pacifico ex marinaio che vuole solo tornare a Detroit dove ha lasciato la sua ragazza incinta, sei anni prima.

I due caratteri così opposti diventano subito complementari, mentre Max ce l’ha col mondo intero ed è pronto a venire alle mani con tutti, grazie anche al suo fisico massiccio e possente, Lionel è invece un minuto e placido ottimista che è convinto, per esempio, che gli spaventapasseri facciano ridere di gusto gli uccelli, senza terrorizzarli, motivo per il quale poi lasciano in pace il campo coltivato sottostante.

Max decide così’ di fare diventare Lionel il suo socio nell’autolavaggio, ma prima di arrivare a Pittsburgh, dove lui ha in banca i soldi che gli consentiranno di aprire l’attività, decide di passare a Denver per trovare la sua ex Coley (Dorothy Tristan). Ma già prima di arrivare a Detroit, il destino impartisce una dura lezione a Lionel, ricordandogli quanto sia pericoloso il lato più ingenuo e superficiale del suo carattere…

Grazie anche ai due grandissimi protagonisti Hackman e Pacino, questa pellicola è una delle più significative del cinema americano indipendente degli anni Settanta. Dopo il sogno dei Sessanta, la dura realtà sbatte prepotentemente contro le speranze di una generazione che credeva davvero nel cambiamento e nel riuscire a realizzare i propri desideri, anche quelli più semplici e banali. Il risveglio così è senza sconti per nessuno.

Schatzberg, come avevano fatto qualche anno prima John Schlesinger nel suo splendido “Un uomo da marciapiede” o Bob Rafelson nel suo “Cinque pezzi facili“, ci tratteggia una società occidentale che inizia a fare i conti con se stessa, conti che per i più deboli, economicamente ma soprattutto emotivamente, non tornano più. E’ una società che ormai non concede loro spazio né pietà.

Scritto da Garry Michael White, con l’ottima fotografia curata da Vilmos Zsigmond (che è stato il responsabile della fotografia di pellicole come “Un tranquillo weekend di paura” di John Boorman, “Sugarland Express” e “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg, “Obsession – Complesso di colpa” e il cult “Blow Out” di Brian De Palma” o “Il cacciatore” di Michael Cimino) questo film, fra gli altri premi, ha vinto anche la Palma d’Oro al Festival di Cannes.

Da vedere.