“Doctor Sleep” di Stephen King

(Sperling & Kupfer, 2014)

Esatto! Sono fissato di Stephen King e leggo tutti i suoi libri appena escono: e allora?!

Prima di iniziare questa sua ultima fatica non sono riuscito ad evitare di sbirciare alcune aspre critiche sull’attesissimo seguito di “Shining”.

Ognuno la pensa come vuole e ha tutto il diritto pure di esternarlo, ma dite quello che vi pare: il Re è sempre il Re.

Gli anni passano e le persone maturano (e come ho già detto parlando del Re, maturare non vuol dire sempre invecchiare) e Stephen King è uno scrittore che rimane fedele a se stesso, ai suoi lettori e, soprattutto, ai suoi mostri interiori.

Chi pensa di leggere le stesse cose che King scriveva trent’anni fa – alcolista e al limite della tossicodipendenza per sua stessa ammissione: nel suo splendido “On Writing – Autobiografia di un mestiere” racconta come, proprio a causa di alcol e anfetamine di cui faceva abbondantemente uso in quegli anni, abbia sol un vago ricordo della genesi del suo “Cujo”  – sbaglia completamente.

“Doctor Sleep” è un romanzo che parla di mostri, ma soprattutto di dipendenze autodistruttive e di come, raramente, ci si può salvare da queste.

Di come la vita di una persona possa essere influenzata drammaticamente dal comportamento autodistruttivo dei suoi genitori, ma anche di come la stessa persona possa salvarsi, o almeno tentare onestamente di farlo.

Come capita sempre dopo aver letto un libro del Re, appena terminato “Doctor Sleep”, ci si rende conto che i mostri più famelici e letali sono quelli dentro di noi.

W il Re!