“Racconti fantastici” di Daniele D’Anza e Biagio Proietti

(Italia, 1979)

Sulla scia del grande successo di numerosi sceneggiati televisivi realizzati – fra cui spicca senza dubbio lo storico “Il segno del comando” – Daniele D’Anza (1922-1984), insieme al suo collaboratore Biagio Proietti (1940-2022) propone alla RAI uno vero e proprio omaggio al grande Edgar Allan Poe, anche per farlo conoscere meglio alle nuove generazioni.

Ispirandosi liberamente ai suoi racconti più famosi, D’Anza e Proietti scrivono, attualizzandoli, quattro episodi che ruotano intorno e dentro alla gotica e oscura casa Usher – e allo splendido racconto “La caduta della casa degli Usher” – il cui padrone di casa, Roderick Usher (interpretato la Philippe Leroy) è il filo conduttore e unico personaggio ricorrente in tutti gli episodi.

Nel primo “Notte in casa Usher” – ispirato soprattutto ai racconti “Ritratto ovale” e “Il cuore rivelatore”, con un palese riferimento anche a “Manoscritto trovato in una bottiglia” – un giudice (Gastone Moschin) e un assassino (Vittorio Mezzogiorno) persi nella nebbia arrivano a casa Usher chiedendo ospitalità. Roderick la offre loro, ma la casa, così come il suo padrone, nascondono un terribile segreto che riguarda la compianta signora Usher (Maria Rosaria Omaggio). L’atmosfera e l’opprimente presenza della defunta costringeranno i due ospiti ad affrontare il lato più oscuro di loro stessi…

Nel secondo “Ligeia forever” – tratto dal racconto “Ligeia” con chiari richiami anche al romanzo “Rebecca, la prima moglie” di Daphne du Maurier – Roderick, osservando un vecchio grammofono abbandonato in un’ala della casa chiusa da decenni, con la mente torna indietro ai tempi in cui era suo padre Robert Usher (Umberto Orsini) il padrone della grande casa, nella quale aveva organizzato una festa in onore del debutto nel cinema sonoro della grande Ligeia (Dagmar Lassander) stella di prima grandezza della Hollywood del muto, che lui segretamente aveva sposato. Ma la voce originale della donna proprio non piacque al pubblico che sghignazzò rumorosamente alla prima. Ligeia, saputolo, si avvelenò morendo fra le braccia del marito. Sei anni dopo Robert torna a casa Usher con la sua nuova e giovane moglie Morella (Silvia Dionisio) che però deve scontrarsi con il ricordo ingombrante, opprimente e molto concreto della prima signora Usher…

Il terzo è “Il delirio di William Wilson” – tratto dal quasi omonimo “William Wilson” – in cui il protagonista (impersonato da Nino Castelnuovo) che è un pilota di automobili collaudatore di prototipi, arriva disperato a casa Usher dove confessa a Roderick di essere inseguito da un essere implacabile. Il padrone di casa lo ospita, vista poi la relazione che Wilson ha da anni con sua sorella Eleanor Usher (Janet Agren). A braccare il pilota è …William Wilson (Giorgio Biavati) un suo omonimo, anche lui pilota automobilistico, che da circa un anno lo perseguita mandandogli a monte tutti i progetti…

L’ultimo episodio è “La caduta di casa Usher” che oltre al racconto omonimo – o quasi – si ispira anche al grande “Il pozzo e il pendolo”, “La maschera della morte rossa” e “Il genio della perversione”. Mentre in casa Usher si tiene una festa danzante, Eleanor inizia a mostrare i segni di una grave quanto rapida e fulminea malattia che in poco tempo la conduce alla morte. Roderick chiede ai suoi ospiti di lasciare la casa ma, poco dopo, alcuni di questi tornano sconvolti e terrorizzati: una minacciosa nube nera sta avvolgendo tutto uccidendo chiunque ci finisca dentro. Chiusi fra le mura della grande casa gli ospiti, omaggiando anche il grande Boccaccio, iniziano a raccontare i loro più profondi e indicibili segreti. Berthe (Paola Gassman), per esempio, narra ridendo come sia stata molto vicina dall’uccidere volontariamente il marito mentre questo placidamente dormiva. Ma la secolare maledizione inizia ad abbattersi implacabilmente sulla casa degli Usher…

Naturalmente i tempi narrativi televisivi, rispetto a quelli di oggi, sono infinitamente più dilatati, visto anche che nel 1979 la pubblicità non ha ancora quel peso commerciale nel palinsesto che poi assumerà negli anni successivi. E poi, nonostante la grande maestria di D’Anza dietro la macchina da presa, sono evidenti i non pochi limiti produttivi dello sceneggiato, in cui gli effetti speciali sono fatti “a mano”, spesso sottolineati con frenetici zoom o fumogeni di vari colori.

Ma proprio per questo oggi è lampante ancora di più la bravura non solo delle attrici e degli attori, ma anche quella di tutti i tecnici e i componenti della troupe che con mezzi limitati – e nonostante tutto quello che è passato sul grande e sul piccolo schermo di genere fantasy o horror in questi ultimi quattro decenni – riescono ancora a regalarci momenti autentici di ansia e sorpresa. E proprio per sottolineare l’angoscia che percorre ogni storia raccontata, D’Anza sceglie di affidare le musiche ai Pooh che accompagnano quasi ogni fotogramma con assoli alla tastiera e alla chitarra elettrica efficaci e assai insoliti per gli standard televisivi del tempo.

Nonostante i suoi limiti, questo sceneggiato rimane un originale omaggio al grande Allan Poe fatto dalla nostra televisione in uno dei periodi più prolifici e al tempo stesso di qualità della sua storia.

“Il segno del comando” di Daniele D’Anza

(Italia, 1971)

Qui parliamo di uno sceneggiato che ha fatto la storia della televisione italiana e del nostro costume.

Scritto da Giuseppe D’Agata, Flaminio Bollini, Dante Guardamagna e Lucio Mandarà “Il segno del comando” ci racconta l’inquietante soggiorno romano di Lancelot Edward Forster (uno scintillante Ugo Pagliai in piena forma) professore di Letteratura Inglese a Cambridge, invitato nella città eterna per parlare del suo principale oggetto di studi: Lord Byron.

Ad attirare Forster a Roma è anche una lettera con la fotografia di una piazza citata in alcuni versi di Byron, firmata dal pittore Marco Tagliaferri (e non dico altro!).

Ma quando Forster si reca in via Margutta 33, dove risiede il pittore, ad aprirgli la porta è un’avvenente ragazza, Lucia (una affascinantissima Carla Gravina) che lo invita a incontrate Tagliaferri la sera stessa in un’osteria.

Recatosi all’ambasciata inglese, Forster incontra George Powell (un Massimo Girotti che richiama gagliardamente James Bond), addetto culturale della rappresentanza britannica a Roma e organizzatore della conferenza su Byron.

Quello che accadrà dopo lungo le altre quattro puntante dello sceneggiato – per quelli che non lo hanno mai guardato – non lo rivelo perché “Il segno del comando” merita di essere visto e rivisto.

Con le sue atmosfere misteriose e originali per i tempi, i suoi dialoghi dilatati che si alternano a scene frenetiche e zoomate violente, l’indimenticabile sigla “Cento campane”, e con quella magia che solo le immagini girate in studio e soprattutto in bianco e nero sapevano dare, lo sceneggiato di D’Anza è un grande documento storico della nostra cultura recente, così lontano e così vicino.