“Piramide di paura” di Barry Levinson

(USA, 1985)

Alle soglie del primo centenario della nascita editoriale del più grande ed eccentrico detective di tutti i tempi Sherlock Holmes, avvenuta con la pubblicazione del leggendario “Uno studio in rosso” firmato da Sir Arthur Conan Doyle nel 1887, Steven Spielberg produce una pellicola dedicata all’inedito incontro giovanile fra il detective e il suo futuro amico John Watson, non ancora medico.

Anche se per Doyle i due si conoscono solo nel suo primo romanzo in cui sono adulti, Chris Columbus, autore dello script, se li immagina adolescenti e compagni di scuola. E fra i banchi e le antiche aule di uno dei più prestigiosi college della Londra vittoriana, il giovane Holmes (Nicholas Rowe) dovrà affrontare pericoli mortali ed eventi che segneranno la sua successiva esistenza…

Ispirato all’intera opera di Doyle, ma soprattutto a “Il segno dei quattro” (pubblicato nel 1890) “Piramide di paura” diretto da Barry Levinson è davvero un film divertente e appassionante, soprattutto per i ragazzi o i patiti sfegatati di Sherlock Holmes come me.

Va visto (o rivisto) anche per altri due motivi: è uno dei primi lungometraggi non animati in cui appare un personaggio realizzato interamente in computer grafica, come si chiamava allora. Si tratta del cavaliere che si “stacca” dalla vetrata di una chiesa per inseguire il sacerdote in una delle scene iniziali della pellicola. A realizzarlo è nientepopodimeno che John Lasseter assieme a quel manipolo di geni smanettoni coi quali fonderà la magica Pixar.

Il secondo motivo è perché questo giovane Sherlock Holmes assomiglia incredibilmente tanto a Harry Potter…

Sebbene la Rowling pubblicherà il primo romanzo sul giovane mago più famoso del pianeta solo nel 1997 e la sua riduzione cinematografica arriverà nel 2001, le atmosfere e gli ambienti del college in cui studiano Holmes e Watson ricordano incredibilmente quelle di Hogwarts. E poi lo stesso John Watson (impersonato dal giovane Alan Cox) con la frangetta nera sulla fronte, gli occhiali tondi e gli occhi azzurri (il cui viso si intravede col berretto anche nella locandina del film) sembra proprio il figlio di James e Lily Potter. Ma come è possibile?

Forse potrebbe essere d’aiuto ricordarsi che l’autore della sceneggiatura di “Piramide di paura” è Chris Columbus, autore di script di film come “Gremlins” o “I Goonies“, lo stesso che poi dirigerà i film “Harry Potter e la pietra filosofale” e “Harry Potter e la camera dei segreti”.

Insieme a “Vita privata di Sherlock Holmes” di Billy Wilder, “La soluzione sette per cento” di Nicholas Meyer, “Senza indizio” di Thom Eberhardt, alla serie “Sherlock” di Mark Gatiss, Steven Moffat e Steve Thompson e a “Enola Holmes” di Harry Bradbeer, “Piramide di paura” è una delle migliori opere liberamente ispirate al personaggio immortale creato dal genio di Conan Doyle.

“I Goonies” di Richard Donner

(USA, 1985)

Chi, come me, ha vissuto la propria adolescenza negli inesorabili anni Ottanta, non può che essere legato a questo film frutto del genio di Steven Spielberg.

Perché proprio a Spielberg viene l’idea del soggetto – che ha molti riferimenti al suo “E.T. L’extraterrestre” – poi sviluppato da Chris Columbus (che diverrà successivamente il regista di blockbuster come “Mamma, ho perso l’aereo” o “Harry Potter e la Pietra Filosofale”) e girato da Donner (regista della prima saga di “Superman” e di quella di “Arma letale”). Un mix esplosivo il cui risultato è un vero e proprio film cult.

C’è poi il cast che annovera alcuni giovani attori che poi sarebbero diventati icone del cinema hollywoodiano di oggi, come Josh Brolin (“Men in Black 3” nonché Thanos nelle pellicole degli Avengers, solo per citarne alcuni) nella parte di Brad Walsh, e Sean Astin in quella di suo fratello minore Mickey, protagonista del film, che poi vestirà i panni di Samvise Gamgee nella trilogia de “Il Signore degli Anelli “ di Peter Jackson.

Lo stesso Astin ci indica che eredità ha lasciato questo film nell’immaginario contemporaneo visto che, non a caso, è stato inserito nel cast della seconda stagione di una delle serie televisive di più successo degli ultimi anni come “Stranger Things”.

La storia che si consuma nelle caverne sotterranee di Astoria, una piccola cittadina dell’Oregon, è una di quelle che hanno segnato gli anni Ottanta, e non solo.

Nel video della canzone, e colonna sonora del film, “The Goonies ‘R’ Good Enough” cantata da Cindy Lauper, appare la stessa cantante sulle tracce dei giovani protagonista e, sospesa sotto una cascata come quella del film, dice al pubblico disperata: “…E’ tutta colpa di Steven Spielberg!”. Il regista poi appare, perplesso, seduto al tavolo di montaggio osservando la Lauper in difficoltà…

Insomma: gli Ottanta non sono morti, ma vivono e combattono con noi!

“Rent” di Chris Columbus

(USA, 2005)

Chris Columbus firma l’adattamento cinematografico del famoso musical scritto da Jonathan Larson, grande successo di pubblico e critica a Broadway dal 1996.

L’idea nacque agli inizi degli anni Novanta, e partiva da una sorta di rilettura de “La Bohème” di Giacomo Puccini, ambientata nella New York fine anni Ottanta.

Ma nella “grande mela” bohèmien del 1989 dominano due grandi flagelli: l’eroina e l’AIDS, argomenti allora tabù sui palcoscenici ma che invece Larson inserisce in “Rent” senza ipocrisie, assieme all’omosessualità e soprattutto all’omofobia.

Il suo musical in breve tempo diventa il manifesto di una generazione e di un’epoca, grazie anche alle musiche immortali, sempre firmate da Larson.

Ma lo stesso autore non potrà godere neanche di un applauso per la sua opera: la mattina del 25 gennaio 1996, poche ore dopo che si era conclusa l’ultima prova generale, e a poche dalla prima, Jonathan Larson muore per un aneurisma celebrale a soli 36 anni.

La vita a volte è inquietante: sorte simile – oltre incredibilmente al cognome… – a quella di Stieg Larsson scomparso pochi mesi prima che uscisse il suo “Uomini che odiano le donne”, uno dei maggiori successi editoriali planetari degli ultimi anni.

Anche se non amo troppo gli adattamenti cinematografici di musical (“Grease” è l’eccezione che conferma la regola), questo firmato da Columbus – e prodotto anche da Robert De Niro – è godibile fino all’ultimo fotogramma grazie a un cast davvero all’altezza, fra cui spicca la bellissima Rosario Dawson.

Strepitosa e splendida la canzone d’apertura “Seasons of Love”: da ascoltare la mattina come sveglia per iniziare bene la giornata.