“La regina d’Africa” di John Huston

(USA, 1951)

Tenetevi stretti e indossate il giubbotto di salvataggio: questo è uno dei capolavori della grande Hollywood di una volta.

Tratto dall’omonimo romanzo di C.S. Foster, il grande John Houston firma una splendida e insolita storia d’amore fra due emarginati della società: un vecchio pilota di barche alcolista e una “zitella” bacchettona, persi nel cuore del grande continente Nero.

Charlie Allnutt (un barbuto e trasandato Humprey Bogart) è il solitario e alcolizzato proprietario di una vecchia bagnarola, “La regina d’Africa”, che nell’Africa occidentale risale periodicamente uno dei numerosi immissari del lago Vittoria, portando generi di prima necessità e la posta ai villaggi presenti sulle sponde.

In uno di questi c’è la piccola missione metodista fondata dal reverendo inglese Samuel Sayer (Robert Morley) e da sua sorella Rose (Katherine Hepburn). Ma la grande guerra è alle porte e Charlie informa il reverendo e sua sorella che ufficialmente l’Inghilterra e la Germania sono entrate in guerra, e le truppe tedesche si stanno inesorabilmente avvicinando.

Ma i due Sayer non intendono abbandonare la loro missione e così, poco dopo che Allnutt è ripartito, assistono impotenti all’arrivo delle truppe tedesche che in poco tempo distruggono tutto il villaggio. Il prelato, per lo choc, cade in uno stato catatonico che in pochi giorni lo porta alla morte.

Quando Allnutt torna alla missione trova solo Rose e il corpo del fratello. Dopo averla aiutata a seppellirlo le offre ospitalità su “La regina d’Africa” e i due iniziano così una viaggio incredibile e indimenticabile attraverso il cuore del continente africano…

Meritatissimo Oscar a Humprey Bogart come miglior attore protagonista e candidatura per Katharine Hepburn, come miglior attrice protagonista, nonché doppia per John Huston: come miglior regista e come autore della sceneggiatura (insieme a James Agee).

Ancora oggi rimangono spettacolari i duetti fra i due giganti del cinema e il finale, romantico e al tempo stesso divertente, che si discosta, senza rovinare nulla all’alchimia della storia, da quello del romanzo di Foster.