“Freaks Out” di Gabriele Mainetti

(Italia/Belgio, 2021)

Il 18 settembre del 1938, così come il 16 ottobre del 1943, sono due date ignobili, tragicamente incise a fuoco e sangue nella carne del nostro Paese. La prima è il giorno in cui a Trieste, nella splendida piazza Unità d’Italia, Mussolini annunciò fra fragorosi applausi l’approvazione e l’applicazione delle leggi razziali fasciste. La seconda è il giorno in cui vennero deportati gli ebrei del ghetto di Roma, la più antica comunità della capitale.

Naturalmente, e purtroppo, ce ne sono anche altre di date così infauste e infami per il nostro Paese, ma Mainetti, a distanza di quasi ottant’anni, decide di partire proprio dalla seconda, frutto inesorabile della prima, per raccontarci questa sua nuova storia.

Così ci troviamo a Viterbo nel ’43, dove il circo “Mezzapiotta” di Israel (Giorgio Tirabassi) si esibisce incantando il pubblico con i suoi “mostri”: il forzuto uomo lupo Fulvio (Claudio Santamaria), l’uomo calamita Mario (Giancarlo Martini), l’ammaestratore d’insetti Cencio (Pietro Castellitto) e la donna elettrica Matilde (Aurora Giovinazzo).

Un bombardamento però, oltre ad interrompere lo spettacolo, distrugge il tendone del circo così tutto il gruppo si ritrova senza lavoro. Israel propone di partire per l’America e con 300 lire ciascuno, grazie a degli amici che ha nel ghetto di Roma, riuscirà a farsi fare i documenti falsi per tutti. Ma la sera Israel non torna, e così Fulvio, Mario e Cencio si convincono che il loro ex capo li ha traditi rubandogli i soldi. Solo Matilde è certa che all’uomo che l’ha trovata e cresciuta come una figlia sia successo qualcosa di brutto. Giunti a Roma il gruppo si separa, i primi tre decidono di unirsi al Circo di Berlino diretto dal pianista con sei dita Franz, mentre Matilde va alla ricerca di Israel. Tutti però dovranno fare i conti con la ferocia e la follia del nazifascismo…

Scritto dallo stesso Mainetti, sempre assieme a Nicola Guaglianone come per “Lo chiamavano Jeeg Robot“, questo secondo lungometraggio del regista romano è indubbiamente un gran bel film, che ci racconta di mostri ma soprattutto di mostruosità col suo originale e particolare linguaggio cinematografico.

Davvero emozionante e straziante è la ricostruzione del rastrellamento nel ghetto di Roma durante il quale i protagonisti vi si ritrovano, ricostruito crudelmente così come venne eseguito nella realtà forse per la prima volta nella nostra cinematografia. Se è facile paragonare questa pellicola e il suo linguaggio con quello di “Bastardi senza gloria” di Tarantino, i riferimenti di Mainetti vanno anche più lontano nel tempo, come al maestro Georges Méliès, al circo di Federico Fellini, a “Quel maledetto treno blindato” di Enzo G. Castellari – che ha ispirato guarda un pò proprio “Bastardi senza gloria”- e, soprattutto, a quel bellissimo “Freaks” diretto da Tod Browning nel 1932, dove i veri mostri erano quelli che volevano sfruttare i cosiddetti “fenomeni da baraccone”.

Per quanto riguarda il titolo, nulla mi toglie dalla testa che Mainetti abbia voluto citare una delle canzoni simbolo degli anno Settanta, a lui sempre molto cari, quella “Jack Le Freak” che conquistò tutte le discoteche del mondo e che nel ritornello aveva il famoso “…Freak Out!”. I mostri della canzone degli Chic erano altri rispetto a quelli di Mainetti (i componenti del gruppo vennero cacciati dalla fila per entrare nel leggendario “Studio 54” di Manhattan proprio con quell’epiteto su cui successivamente costruirono volutamente la canzone) che ci ricorda bene quali siano i veri mostri, indipendentemente dal loro aspetto.

Nonostante siano passati così tanti decenni forse noi italiani ancora non abbiamo finito di fare i conti con questa parte buia e dolorosa della nostra storia. Basta pensare che il primo film italiano sulla deportazione degli abitanti del ghetto romano, “L’oro di Roma” di Carlo Lizzani, venne prodotto solo quasi vent’anni dopo i tragici eventi; e che il presidente del cosiddetto “Tribunale della Razza” presso il Dicastero degli Interni, nonché grande sostenitore delle legge razziali, Gaetano Azzariti, dal 1957 al 1961 fu presidente della nostra Corte Costituzionale. Allo stesso Azzariti, nel 1970, il Comune di Napoli dedicò una via che solo nel 2015 venne re-intitolata a Luciana Pacifici, la vittima napoletana più giovane della Shoah.

I veri mostri sono quelli che vogliono colpevolmente dimenticare e, soprattutto, far dimenticare.