“Roma” di Alfonso Cuarón

(Messico, 2018)

L’acqua è l’elemento ancestrale in cui è nata la vita.

E anche se l’abbiamo abbandonata per vivere sulla terra ferma, l’acqua ha ancora un ruolo primordiale nelle nostre esistenze. Nel liquido amniotico cresce il nostro feto fino a divenire un neonato. E una volta abbandonato il ventre materno, l’acqua continua ad avere un ruolo determinate: senza di lei moriremo in poche ore.

Partendo dall’acqua e tornando nell’acqua Alfonso Cuarón – che scrive e dirige il film, nonché ne cura la fotografia – ci racconta la storia della giovane Cleo (una bravissima Yalitza Aparicio) che lavora a servizio di un’agiata famiglia a Città del Messico nel 1970.

Così come al ridosso in quegli anni l’intero Occidente è scosso da moti rivoluzionari (che a guardare oggi la nostra società hanno lasciato la stessa eredità di una scritta sulla sabbia) e terribili atti reazionari, anche la famiglia dove lavora, e la stessa Cleo, sono travolte dagli eventi.

In una splendida scena (girata con un piano sequenza unico che rimarrà nella storia del cinema) che richiama per certi versi quella finale di “Interiors” di Woody Allen del 1978, scopriamo che la persona più forte, più limpida e pura è proprio Cleo, figlia del popolo, che grazie alla sua natura sincera salva la famiglia aristocratica e intellettuale che la mantiene.

Con una regia sublime e una fotografia in bianco e nero che difficilmente si dimentica “Roma” è di fatto una dei film più belli degli ultimi anni.

Fra le decine di premi vinti in tutto il mondo ci sono: il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia, il David di Donatello come miglior film straniero, l’Oscar come migliore fotografia, miglior film e miglior film straniero, e il Golden Globe in queste due ultime categorie.

Per la chicca: il titolo del film fa riferimento al quartiere di Città del Messico “Colonia Roma”, fondato agli inizi del Novecento, e divenuto nel corso di pochi decenni quello preferito dalla famiglie benestanti.

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