“I viaggiatori della sera” di Ugo Tognazzi

(Italia/Spagna, 1979)

Dell’originale e particolare “I viaggiatori della sera” di Umberto Simonetta, pubblicato nel 1976, ne ho già parlato, e proprio perché amo molto il romanzo ho voluto vedere questo film che spesso è ricordato più dell’opera originale. Nel 1979 Ugo Tognazzi decide di scrivere, interpretare e dirigere il suo adattamento cinematografico.

In un futuro prossimo distopico, a causa del grave sovraffollamento globale, una ferrea legge prevede che a 49 anni i cittadini abbandonino il loro lavoro e la loro casa per trasferirsi irrevocabilmente in uno dei numerosi villaggi per le “vacanze definitive” gestiti dallo Stato. L’ESP (Esercito della Salute Pubblica) che pattuglia il territorio, controlla che la legge venga rispettata.

Orso (Tognazzi) e sua moglie Nicky (Ornella Vanoni) compiendo i 49 anni lo stesso anno devono recarsi al villaggio balneare 27 assieme. I due sono arrabbiati e frustrati, mentre i figli Anna Maria e Francesco trovano le “vacanze definitive” giuste ed eque, nel rispetto soprattutto della legge e delle nuove generazioni. I due “anziani” vengono così accompagnati dai figli, insieme al nipotino Antonluca – figlio di Anna Maria – alla loro destinazione, alla quale alla fine si rassegnano.

Nel villaggio gli ospiti devono solo far passare il tempo, vitto e alloggio sono infatti a carico della comunità. Regolarmente, con la motivazione ufficiale di intrattenere gli ospiti, viene fatta una sorta di lotteria con dei particolari tarocchi. Coloro che alla fine dell’estrazione rimangono con una o più carte in mano “vincono” una lussuosa crociera. Crociera però dalla quale nessuno ha mai fatto ritorno.

La completa inattività e l’ombra incombente della morte portano gli ospiti a sfogare le proprie ansie e i propri timori nell’unica valvola di sfogo consentita: il sesso. Anche il giovane personale che si occupa della gestione del villaggio accetta rapporti sessuali in cambio di vestiti o gioielli. Mentre Nicky, per quietare l’angoscia che l’attanaglia si adegua, Orso sembra non riuscirci. E proprio in un suo girovagare notturno si accorge che il suo ex compagno di scuola Bertani (Manuel de Blas), anche lui ospite al villaggio 27, organizza una sorta di resistenza sovversiva…

Purtroppo Tognazzi non riesce a mantenere l’anima satirica e caustica del romanzo di Simonetta, ed il film si impantana nelle acque del genere che in quegli anni spopola al botteghino: il sexy/pecoreccio.

La sceneggiatura, che Tognazzi scrive insieme a Sandro Parenzo (autore degli script di film come “Malizia”, “Peccato veniale”, “Lezioni private” o “Sesso in confessionale”) basa i dialoghi su un inutile – e quasi continuo – turpiloquio. I nudi – a partire da quello integrale della Vanoni all’inizio del film e fino a quello alla fine di Corinne Clery, nei panni di un’inserviente sovversiva – e soprattutto le banali e perpetue allusioni sessuali poco c’entrano con lo spirito originale del romanzo.

Il dramma di una società che si ritrova “sul groppone” colpevolmente, ma quasi senza accorgersene, una generazione che erroneamente trova “inutile” – soprattutto perché non riesce a comprenderla – è un dramma di cui tutti sono responsabili. Per Tognazzi, invece, il dramma diventa un più superficiale scontro generazionale. Orso e Nicky non sono compresi dai loro figli, è vero, ma sono stati proprio loro a crescerli ed educarli. Di questo spinoso e cruciale aspetto (al contrario di Simonetta) Tognazzi non parla, facendo della pellicola un incompleto e debole atto d’accusa a senso unico.

Eppure, fra gli interpreti del film, c’è anche Leo Benvenuti nella parte di un amico di Orso, anche lui confinato al villaggio 27. E’ lo stesso Leo Benvenuti autore delle sceneggiature di film come “Arrangiatevi!” di Bolognini, “Matrimonio all’italiana” di De Sica, “Per grazia ricevuta” di Manfredi, “Fantozzi” di Salce o “Amici miei” di Monicelli, tanto per dirne solo alcuni.

Per la chicca: Manuel de Blas è l’attore che impersona il glaciale killer “Paganini” nell’immortale “…Altrimenti ci arrabbiamo” di Marcello Fondato.

“Bombshell – La voce dello scandalo” di Jay Roach

(USA, 2019)

Il regista Jay Roach – dopo l’ottimo “L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo” – torna a raccontare una storia realmente accaduta.

Siamo nel 2015, durante la campagna per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti che vedranno trionfare l’anno successivo il candidato repubblicano Donald Trump.

Entriamo nel cuore del network più conservatore del panorama americano Fox News, creato e presieduto da Roger Alies (un bravissimo John Lithgow, superbamente truccato) voluto direttamente dal proprietario Rupert Murdock (Malcom McDowell). Alies, con un passato di consulente d’immagine per Richard Nixon, Ronald Reagan e George Bush Sr., in pochi anni ha creato uno dei canali d’informazione più seguiti – e redditizi – d’America.

Fra le conduttrici più rilevanti spicca Megyn Kelly (una davvero brava Charlize Theron con tanto di lenti a contatto scure, mento e zigomi finti che ne cambiano straordinariamente i connotati) che è una dei tre giornalisti che porrà ai candidati repubblicani una domanda, durante una Convention in diretta televisiva.

La Kelly, basandosi sugli atti relativi al divorzio da Ivana e sulle numerose frasi che Donald Trump ha pubblicamente affermato, gli pone una domanda sul sessismo. Il futuro Presidente degli Stai Uniti s’infuria e, terminato il dibattito, inizia sui social una violenta campagna contro la Kelly, che definsce “ochetta” e vittima della sindrome premestruale. La giornalista si rivolge a Alies per aver sostegno dal network, sostegno che però non viene dato visto che Trump piace agli americani “…più di quanto se ne rendano conto”, afferma il presidente di Fox News.

A Gretchen Carlson (Nicole Kidman, anche lei incredibilmente truccata) conduttrice di prima grandezza di Fox News vengono affidati programmi in orari sempre meno rilevanti, perché – ufficiosamente – molti la considerano ormai “vecchia” (49 anni) e troppo “polemica”, visto che non tollera, per esempio, le battute sessiste. I tempi in cui vinse il titolo di Miss America (1989) sono ormai “lontani”.

Come stagista arriva a Fox News la giovane e avvenente Kayla Pospisil (Margot Robbie che a differenza della Theron e della Kidman interpreta un personaggio non reale, ma simbolico) che in breve tempo riesce ad entrare nelle grazie di Alies. Ma questo significa anche sottostare alle sempre più frequenti molestie sessuali di Alies, che vede nel sesso – soprattutto quello orale da parte di una sua subalterna – la manifestazione del suo potere.

Scopriamo così che per l’ultraconservatore Alies uno dei pilastri fondanti di un network è il corpo delle donne. Tutte quelle che vanno in onda devono indossare (regola ferrea ma non scritta) austere ma molto corte gonne grazie alle quali i telespettatori possano ammirare le loro gambe, anche durante i dibattiti politici.

La Carlson, dopo essere andata in onda volutamente senza trucco per far tornare l’attenzione dei suoi spettatori sulla sostanza delle notizie e non solo sulla loro forma, viene licenziata. Decide così di fare causa ad Alies per molestie sessuali affermando di essere stata licenziata perché non le ha assecondate. La Carlson, spera in cuor suo, che altre colleghe di Fox News la seguiranno…

Anche se questo film, scritto da Charles Randolph (premio Oscar nel 2016 per lo script de “La grande scommessa”), ha alcuni limiti proprio nella sceneggiatura, è comunque un ottimo documento sullo scandalo che ha investito Fox News nel 2016 portando alle dimissioni di Alies. La vicenda verrà seguita poco dopo dallo scandalo legato alle accuse contro Harvey Weinstein per molestie sessuali e stupro, accuse che sposteranno l’attenzione dalla televisione al cinema.

Negli Stati Uniti sono stati realizzati altri film (anche no fiction) sulla vicenda, ma questo di Roach tenta di sottolineare (forse riuscendoci solo in parte) come una donna venga segnata nel profondo da una molestia sul lavoro (e non) perché ormai da secoli siamo tutti abituati a pensare (donne e uomini) che la colpa sia soprattutto la sua, e che l’abusante abbia “solo” preso una “cosa” che era lì a disposizione, e probabilmente lecita vista la sua posizione dominante.

Il film, giustamente, ha vinto il Premio Oscar per il miglior trucco.

“F.B.I. e la banda degli angeli” di Steve Carver

(USA, 1974)

Questo film scollacciato è stato prodotto dal grande Roger Corman, la mente più geniale del cinema indipendente americano (basta ricordare che agli inizi degli anni Sessanta si scelse come assistente il giovane e sconosciuto Francis Ford Coppola).

Scritto da William Norton e Frances Doel, “F.B.I. e la banda degli angeli”, con graffiante ironia, denuncia la situazione della donna nella società contemporanea, umiliata e sfruttata dall’uomo che la vede sempre e solo come un oggetto sessuale.

Anche se la sceneggiatura possiede qualche incongruenza, e il regista Steve Carver non disdegna di mostrare generosamente le protagoniste in abiti succinti o spesso senza neanche quelli (all’epoca fece un certo scalpore il nudo integrale di Angie Dickinson) in questa pellicola non c’è una figura maschile positiva (fra quelli più ridicolizzati ci sono anche gli agenti del F.B.I.) cosa che ne fa di fatto un film a suo modo femminista . Tutti gli uomini, in un modo o nell’altro, vogliono approfittarsi delle tre protagoniste, la piacente madre (la Dickinson, appunto) e le sue due figlie adolescenti.

Come spesso accade nella storia del cinema, soprattutto coi film di serie B, per raccontare uno storia scomoda o di protesta senza incappare nella censura, si cambia periodo storico e si usa un genere molto commerciale come, in questo caso, il gangster movie e lo scollacciato.

Così ci troviamo nel sud degli Stati Uniti durante il periodo della Grande Depressione (che economicamente ricorda molto l’epoca in cui venne realizzato il film) Wilma McClatchie (la Dickinson) è rimasta vedova con due figlie adolescenti a carico, senza nulla per mantenerle. La più piccola è stata promessa in sposa ad una famiglia che abita nella stessa cittadina. Il futuro della giovane è quello però di fare la sguattera e “sfornare” figli.

Ma proprio davanti all’altare Wilma non ci sta, non vuole che sua figlia faccia la sua stessa vita e così se la porta via prima del “sì”. Le tre donne scappano col cognato, che di mestiere fa il contrabbandiere di whisky. Inizia così la nuova vita – criminale – di Wilma che prende in mano le redini degli affari del cognato, morto sotto i colpi degli agenti del F.B.I..

Sulla sua strada Wilma incontrerà vari uomini che tentano sempre di servirsi di lei, fra cui Il rapinatore Fred Diller (Tom Skerritt) e il truffatore William J. Baxter (William Shatner).

Una pellicola con dei limiti evidenti, ma la mano del grande Corman si vede, soprattutto nella colonna sonora da “vecchie comiche” e nelle scene in cui Wilma a sparare è più brava degli uomini.

Il dvd riporta la versione col doppiaggio originale fatto quando la pellicola è uscita nelle nostre sale. Negli extra è presente il trailer originale del film.

“Radio America” di Robert Altman

(USA, 2006)

A Prairie Home Companion” (che è anche il titolo originale del film) è stato per oltre quarant’anni uno dei programmi radiofonici dal vivo più noti degli Stati Uniti, trasmesso su oltre 690 stazioni con picchi fino a quattro milioni di ascoltatori settimanali. Noto sia per i suoi ospiti musicali, in particolare musicisti folk e tradizionali, che per i “drammi” radiofonici a base di ironia e comicità classica.

A condurlo e scriverlo, dal 1974 al 2016, è stato il poliedrico Garrison Keillor. E’ lo stesso Keillor che propone al grande Robert Altman una sua sceneggiatura ispirata al programma. Ma nello script il programma è arrivato alla sua ultima puntata, perché i proprietari della WLT (che produce lo spettacolo e possiede anche il teatro da dove si trasmette, sito in una cittadina del Minnesota) hanno venduto tutto ad una compagnia texana. I nuovi proprietari hanno già deciso di chiudere lo show e realizzare un ampio parcheggio al posto del teatro.

Così seguiamo, quasi in tempo reale, l’ultima puntata di uno show già “defunto”, dove gli autori, i musicisti, così come i tecnici fino al rumorista, non possono opporsi all’inevitabile.

Con un cast straordinario su cui spiccano Meryl Streep, John C. Reilly, Kevin Kline, Woody Harrelson, Lily Tomlin e lo stesso Garrison Keillor (nel ruolo di GK) “Radio America” è anche – purtroppo – l’ultima opera di Altman che scomparirà per una lunga malattia pochi mesi dopo l’uscita della pellicola nelle sale.

Non è un caso, quindi, il personaggio della “donna pericolosa” che si aggira per lo studio, una sorta di “angelo della morte” che con calma e serenità prepara tutti all’ineluttabile. Delizioso e malinconico, questo film ci ricorda che gran regista di classe era Altman, maestro – come pochi altri – di film corali

Il dvd contiene una ricca sezione degli extra con un gustoso “Making of” e le interviste a tutti i protagonisti della pellicola, compreso anche Altman.

“La morte corre sul fiume” di Charles Laughton

(USA, 1955)

Questo capolavoro della cinematografia planetaria alla sua uscita nelle sale degli Stati Uniti venne accolto molto freddamente dal pubblico, tanto da decretare la fine della carriera dietro la macchina da presa del suo regista: il grande Charles Laughton (che avrebbe dovuto dirigere poi l’adattamento del romanzo “Il nudo e il morto” di Norman Mailer).

Così, la carriera del regista di uno dei film americani più gotici – con superbi richiami all’espressionismo tedesco – degli anni Cinquanta, si blocca ad una sola pellicola. La modernità della storia e soprattutto del deciso linguaggio visivo difficilmente poteva essere accolti caldamente del pubblico americano (e non solo) di allora.

L’inno contro il fanatismo religioso e puritano (tipico degli stati del sud) che il film rappresenta era davvero troppo precoce. D’altronde Rosa Parks, per non aver ceduto il posto ad un bianco sull’autobus, venne arrestata il 1° dicembre del 1955, pochi mesi dopo l’uscita nelle sale del film.

Laughton dirige superbamente un cast in cui spiccano un grande Robert Mitchum e una bravissima Shelley Winters. Nel periodo precedente all’uscita del film, la Winters era sposata con Vittorio Gassman, che in più di un’intervista ha ricordato le preziosissime disquisizioni che consumava con Laughton, nella piscina della sua villa hollywoodiana, su Shakespeare e la sua messa in scena.

La sceneggiatura è firmata da James Agee (vincitore del Premio Pulitzer e autore di splendidi adattamenti cinematografici come quello per “La Regina d’Africa” di John Huston) ed è tratta dal romanzo “The Night of The Hunter” di Davis Grubb, romanzo che is ispira alla vera storia di Harry Powers che nel 1932 venne giustiziato per aver ucciso due vedove e tre bambini. La condanna venne eseguita nel carcere di Moundsville (nella Virginia Occidentale) città nella quale Grubb, allora tredicenne, viveva.

Stati Uniti del sud, 1933. Harry Powell (un inquietante Mitchum) che si fa chiamare reverendo, è uno psicopatico con l’ossessione religiosa, dietro la quale si nasconde alla sua coscienza per giustificare gli assassini di vedove solitarie, alle quali poi toglie i pochi averi. Nonostante i numerosi delitti, Powell viene fermato casualmente per il furto di un’automobile e condannato ad un mese di carcere.

Il destino vuole che nella sua cella capiti Ben Harper (Peter Graves), condannato a morte per una rapina finita in tragedia. Harper, infatti, stanco e disperato per la fame che patiscono i suoi due bambini John e Pearl, ha rapinato una banca durante la quale però ha ucciso delle guardie. Prima di essere arrestato ha avuto il tempo di tornare a casa e consegnare a John (l’unico con vero buonsenso della famiglia…) i 10.000 dollari, frutto della rapina. Dopo avergli fatto promettere di badare alla sorella e mantenere il segreto, si lascia ammanettare.

Pochi giorni prima dell’esecuzione, nel sonno, Ben si lascia scappare delle parole sui soldi e su suo figlio e così Powell, finito di scontare la sua pena, parte alla ricerca dei 10.000 dollari. Quando raggiunge la casa di Harper, trova la vedova Willa (la Winters) messa all’indice dall’intera cittadina (puritana e bigotta) per il comportamento del marito.

Powell si spaccia come ex cappellano del carcere e col suo charme da (finto) uomo di chiesa conquista in breve tempo Willa e il resto della cittadina. Solo il piccolo John intuisce il male profondo nascosto nell’uomo che ha tatuate sulle nocche delle mani “Love” e “Hate”. Ma Powell è disposto a tutto per ottenere quei soldi e comprende che per averli deve passare su John e sua sorella…

Con un uso magistrale del bianco e nero, e con la riproduzione degli esterni in studio che crea un maggiore stato d’ansia e di oppressione, “La morte corre sul fiume” ci trascina fino all’ultimo fotogramma senza lasciarci un attimo di tregua. Inoltre, il ritratto che Laughton traccia dei due bambini, così innocenti ma così rassegnati nel dover affrontare adulti ipocriti, bugiardi o assassini ricorda quelli che solo il maestro Vittorio De Sica prima, e il grande Francois Truffaut dopo, hanno saputo cogliere.

Insomma, un capolavoro memorabile.

Il dvd riporta la versione col doppiaggio originale fatto quando la pellicola venne distribuita nelle nostre sale, con l’indimenticabile Giulio Panicali che dona superbamente la voce a Mitchum. Negli extra è presenta il trailer originale del film.

“Chiamami aquila” di Michael Apted

(USA, 1981)

Questa deliziosa commedia è stata scritta da Lawrence Kasdan poco dopo aver terminato le sceneggiature di film come “L’impero colpisce ancora” e “I predatori dell’arca perduta”. A dirigerla avrebbe dovuto essere Steven Spielberg, ma visto il clamoroso flop della sua commedia “1941: allarme a Hollywood”, il cineasta preferì fare solo il produttore esecutivo.

Dopo gli strepitosi successi al botteghino di “Animal House” e “The Blues Brothers” – e quelli in televisione al “Saturday Night Live” – John Belushi decide di abbandonare la comicità surreale e demenziale per interpretare un ruolo sempre comico, ma più di spessore e particolareggiato.

Incarna Ernie Souchak, un giornalista d’assalto del Chicago Sun-Times che con la sua rubrica inchioda – o quantomeno tenta in ogni modo di inchiodare – i corrotti della città. E’ un animale tipico della metropoli, che fuma duecento caffè, conosce tutte le gang delle periferie così come ogni prostituta che batte in strada. Come il lago Michigan, Ernie Souchak è uno dei simboli di Chicago.

Le sue inchieste però provocano l’ira di alcuni potenti politici corrotti, e così Souchak viene fatto pestare a sangue. Il suo direttore, per la sua incolumità, lo obbliga a lasciare la città fino a quando “le acque non si saranno calmate”. La scusa è un servizio sull’ornitologa Nell Porter (una brava Blair Brown), paladina della aquile calve americane, che da anni vive isolata in una baita sulle Montagne Rocciose per studiare e proteggere i rari rapaci a rischio d’estinzione.

Ovviamente la vita dura e montanara che affronta ogni giorno la Porter è diametralmente opposta a quella che da sempre è abituato a fare Ernie, ma non solo. La deflagrazione provocata dall’incontro scontro di due mondi così differenti e agli antipodi, porterà a conseguenze imprevedibili…

Kasdan scrive una gustosa commedia nel segno delle più classiche degli anni Cinquanta e Sessanta che con gli anni non perde il suo carisma. Purtroppo questa pellicola naufragò al botteghino, probabilmente perché il pubblico che amava Belushi non era pronto all’evoluzione della sua comicità. Inoltre, la produzione dovette affrontare costi non previsti per le riprese in quota dei rapaci, che durarono più di un anno.

James Belushi, il fratello minore di John, ha sempre raccontato di come il flop di questo film colpì duramente l’attore. Già tossicodipendente da anni (come ha ricordato John Landis alla Festa del Cinema di Roma nel 2010 durante la presentazione del suo “Ladri di cadaveri- Burke & Hare”), John Belushi precipitò definitivamente nel baratro – tanto da necessitare di una “guardia del corpo” che gli impedisse di drogarsi …troppo – dell’autodistruzione che trovò il suo tragico epilogo in un’overdose a base di cocaina ed eroina che lo stroncò il 5 marzo del 1982, a soli 33 anni.

Nessun attore ama assistere al naufragio di un suo film, sopratutto se è quello che reputa di “svolta” nella propria carriera. Ma evidentemente Belushi era troppo fragile (e drogato) per affrontarlo. La sua morte però squarciò il velo ipocrita e molto pericoloso che allora aleggiava intorno all’uso degli stupefacenti, che molti vedevano “cool”, considerando obsoleti perbenisti quelli che invece denunciavano i suoi pericoli mortali.

Così molti attori della generazione di Belushi (e non solo) smisero di fare uso di droghe, come per esempio Robin Williams.

Per quelle imponderabili coincidenze che fanno parte della nostra esistenza “Chiamami aquila” uscì nelle nostre sale tre giorni prima della morte del suo protagonista, che echeggiò in tutto il mondo, cosa che decretò anche nel nostro Paese il suo insuccesso commerciale. Per questo, probabilmente, l’edizione riportata nel dvd ha una qualità mediocre, ma ci permette al tempo stesso di goderci la voce di Massimo Giuliani che doppia straordinariamente Belushi.

“Non succede, ma se succede…” di Jonathan Levine

(USA, 2019)

Seth Rogen e Jonathan Levine tornano a lavorare insieme (dopo svariate pellicole fra cui la deliziosa “50 e 50” del 2011) in una commedia fuori dagli schemi il cui titolo originale è più che mai esaustivo: “Long Shot”.

Fred Flarsky (Rogen) è un giornalista d’inchiesta che lavora per una piccola testata online di New York. I suoi servizi sono di denuncia e contro le grandi lobby che dominano il Paese. Così quando il suo giornale viene acquistato dalla cordata del miliardario reazionario Parker Wembley (Andy Serkis che anche in questo film recita completamente truccato) si licenzia.

Senza lavoro e senza un soldo Fred va a consolarsi dal suo miglior amico Lance (O’Shea Jackson Jr.) che, per tirarlo su, lo porta ad un party di beneficenza a favore dei panda. Alla festa arriva anche Charlotte Field (una bravissima Charlize Theron) la più giovane Segretaria di Stato nella storia degli Stati Uniti.

Fred non riesce a nascondere un certo imbarazzo incrociando il suo sguardo e la donna, colpita, chiede al suo staff di incontrarlo visto che le sembra un viso molto familiare. Infatti, a tu per tu, Fred le ricorda che quando lui aveva dodici anni erano vicini di casa e lei, che ne aveva sedici, molto spesso gli faceva da babysitter.

In segreto assoluto il Presidente Chambers (Bob Odernkirk) ha confessato a Charlotte di non volersi candidare per il secondo mandato – preferisce tornare a recitare… – e così le dichiara il suo appoggio come candidata. La Field deve preparare la sua corsa alla Casa Bianca e ha bisogno di un ghostwriter di fiducia e così pensa a Fred, ma…

Scritta da Dan Starling e Liz Hannah, questa commedia sboccata e sopra le righe, ci parla con ironia graffiante della società americana (e non solo) e di come questa ancora oggi discrimini subdolamente le donne.

Anche la carriera politica – nonché la vita privata – di una donna bella, intelligente e capace come Charlotte Field, deve sottostare ad ottusi e ipocriti perbenismi, che i suoi colleghi di sesso maschili, anche se oggettivamente incapaci, possono tranquillamente ignorare.

“Terroristi” di Per Wahlöö e Maj Sjöwall

(Sellerio Editore, 2013)

E così ci siamo. Questa è l’ultima indagine di Martin Beck, la decima.

Per Wahlöö, purtroppo, scompare nel 1975 anno della prima uscita di questo suo ultimo romanzo. La sua compagna di vita e di scrittura Maj Sjöwall, non scriverà più nulla sul capo della Omicidi di Stoccolma senza Per.

Ma torniamo all’indagine: in realtà Beck stavolta ne deve seguire tre, apparentemente così lontane, ma che poi alla fine incredibilmente si intrecceranno.

Beck è chiamato come testimone della difesa nel processo che vede accusata Rebecka Lind per tentata rapina a mano armata. La ragazza, che ha una figlia di pochi mesi, in realtà sembra essere il simbolo del fallimento sociale della Svezia, visto che non riesce ad integrarsi con i suoi concittadini e per questo è tratta da reietta.

Quasi contemporaneamente deve indagare sull’assassinio di un produttore di film pornografici, a cui qualcuno ha sfondato il cranio mentre era nella vasca da bagno, nella casa della sua amante. Ma, soprattutto, al Capo della Omicidi di Stoccolma viene affidato il compito di coordinare la sicurezza e l’incolumità di un famoso senatore repubblicano degli Stati Uniti, mentre questi visiterà la capitale svedese.

L’uomo è considerato uno dei politici più reazionari del suo paese, e per questo i manifestanti contro di lui saranno molti, anche dai paesi limitrofi. E poi l’ombra dell’ULAG, un gruppo internazionale di mercenari che ha già al suo attivo numerosi e sanguinari attentati a statisti in tutto il mondo, sembra essere arrivata in Scandinavia…

I due grandi autori svedesi ci raccontano lucidamente di un mondo che volontariamente sembra andare verso il baratro. I più forti, i più furbi e soprattutto i più scorretti vinceranno, senza lasciare nulla agli altri.

Si chiudono così le inchieste di Martin Beck, attraverso le quali è possibile ancora oggi osservare i mutamenti della società, i sogni infranti e le disperate scelte dei più deboli, che non hanno speranza.

Dieci gialli indimenticabili e ancora tremendamente attuali.

“L’ultimo metrò” di François Truffaut

(Francia, 1980)

Il maestro François Truffaut fatica non poco per trovare i finanziamenti necessari a produrre questo suo capolavoro. Alla fine degli anni Settanta, infatti, sembra poco interessante realizzare un film dedicato all’occupazione nazista della Francia del 1942, non concentrandolo sul tema politico.

Perché Truffaut e Suzanne Schiffmann (stretta e fidata collaboratrice e co-sceneggiatrice del regista) vogliono raccontare una storia di donne e uomini che mettono su uno spettacolo teatrale, che ha “solo” per sfondo l’occupazione nazista.

E’ la seconda opera del cineasta parigino, dopo lo splendido “Effetto notte” (incentrata sul cinema) dedicata al mondo dello spettacolo che, nei suoi progetti, avrebbe dovuto far parte di una trilogia. L’ultima pellicola, che però il regista non avrà mai il tempo di realizzare, avrebbe dovuto essere dedicata al musical.

Truffaut e Schiffmann basano il loro script sui diari personali di molti noti artisti dell’epoca e soprattutto sui loro ricordi personali. Il regista, durante l’occupazione, aveva dieci anni, mentre la Schiffmann quasi quattordici, ed essendo di religione ebraica, sul cappotto aveva cucita la stella di David che, per andare la sera al teatro, nascondeva sotto una sciarpa. Non è un caso quindi che nella pellicola, anche se in parti marginali, ci siano un bambino di dieci anni e una ragazza ebrea che usa lo stesso stratagemma della Schiffmann per andare al teatro.

L’occupazione delle truppe tedesche ha costretto molti artisti e intellettuali di origine ebraica a lasciare Parigi, fra questi c’è anche Lucas Steiner (Heinz Bennent) che in fretta e furia ha venduto il suo teatro, il “Montmartre”, alla moglie l’attrice Marion Steiner (una splendida Catherine Deneuve) ed è scappato in America Latina. Marion, assieme all’amico fidato l’attore Jean-Loup Cottin (Jean Poiret) decide di mettere in scena il dramma norvegese “La scomparsa”, opera che lo stesso Steiner aveva scelto e preparato per la rappresentazione.

Per il ruolo del protagonista maschile Cottin sceglie Bernard Granger (un bravissimo Gerard Depardieu) dopo averlo visto al lavoro al Teatro del Grand Guignol. Iniziano così i preparativi per lo spettacolo, durante i quali scopriamo l’anima più nascosta e profonda dei suoi protagonisti. Marion, nella cantina del teatro, nasconde il marito Lucas che non ha mai lasciato Parigi; Bernard ha stretti contatti con la Resistenza per la quale prepara ordigni esplosivi; Cottin, grazie alle sue conoscenze, riesce sempre a “sistemare le cose” rimediando visti o bolli; e così tutti gli altri, fino all’attrezzista. Ogni personaggio ha una vita nascosta e recita “pirandellianamente” anche fuori dal palcoscenico.

Al centro però rimane sempre l’amore, l’amore per un altro essere umano, l’amore per il teatro, l’amore per il potere ed il successo o l’amore per la propria nazione. E Truffaut, che di amore se ne intende, omaggia con rispetto e delicatezza anche quello omosessuale. Non è un caso, quindi, che per interpretare Cottin, la cui omosessualità è subito dichiarata, vuole Jean Poiret, noto attore teatrale nonché autore e interprete (insieme a Michel Serrault) della pièce “La Cage aux folles” che sbanca nei teatri francesi a partire dal 1973 e che poi Edouard Molinaro porterà sul grande schermo con titolo (in italiano) “Il vizietto” con il grande Ugo Tognazzi nel ruolo che sul palcoscenico era dello stesso Poiret.

Se è vero che l’opera di Poiret canzona gli omosessuali, è vero anche che lo fa con rispetto e affetto, diventando impietosa invece con quelli che hanno problemi o diventano moralmente ingerenti con chi ha gusti sessuali diversi dai propri.

Girato quasi tutto in interni, con luci deboli che ampliano il senso di pesantezza, metafora mentale dell’occupazione voluta dal regista, “L’ultimo metrò” è uno dei capolavori indiscussi della cinematografia mondiale che, come pochi altri, sbanca al botteghino esaltando al tempo stesso la critica. Merita di essere ricordata, infine, la struggente scena finale in cui Truffaut omaggia in maniera sublime il maestro (e suo amico personale) Alfred Hitchcock citando “Omicidio!”.

Da vedere ad intervalli regolari.

Il dvd contiene la versione restaurata del film col doppiaggio originale eseguito quando la pellicola venne distribuita nel nostro Paese. Inoltre è presente una ricca sezione degli extra con: una presentazione audio del film fatta da Serge Toubiana; le sequenze della premiazione dei César 1981 in cui il film trionfa in molte categorie; una breve ma preziosissima intervista a Truffaut sul suo rapporto con la lettura; una sequenza tratta da un’intervista televisiva del regista che parla del film; il trailer originale e una scena tagliata nel montaggio finale.

“Noci di cocco” di Robert Florey e Joseph Stanley

(USA, 1929)

L’uscita nelle sale cinematografiche de “Il cantante di Jazz”, il primo film completamente sonoro avvenuta nel 1927, cambia completamente il cinema. Come raccontato deliziosamente in “The Artist” di Michel Hazanavicius, finisce la prima epoca d’oro del cinematografo. Improvvisamente i dialoghi, che fino ad allora era quasi accessori, diventano fondamentali, così come le colonne sonore e le canzoni.

Solo pochi grandi riusciranno a sopravvivere alla rivoluzione della settima arte, fra cui spicca il genio assoluto di Charlie Chaplin che, nonostante i capolavori “parlati” che dirigerà negli anni successivi, considererà sempre il sonoro un’innovazione ingombrante e al tempo stesso “limitante” (così come molti considerano “limitante” la versione cinematografica di un libro).

Se questa nuova tecnica decreta la fine della carriera di molti artisti, al tempo stesso lascia spazio a nuovi talenti che fino a quel momento erano lontani dal cinema. I produttori hanno bisogno infatti di attrici e attori che sappiano recitare, ballare e cantare. E così si cercano nuovi divi nel teatro di rivista, dove i dialoghi e la gag non possono essere solo fisiche.

La Paramount Pictures decide perciò di adattare per lo schermo lo spettacolo teatrale che sta riscuotendo un ottimo successo in tutti gli Stati Uniti. I protagonisti sono i quattro Fratelli Marx che usano le classiche tecniche della comicità fisica unite a quella verbale di cui Groucho Marx è un vero geniale pioniere.

Come nei grandi spettacoli musicali del periodo, la trama è davvero molto banale, ma quello che conta sono le coreografie, le canzoni e soprattutto la comicità totale, e perfettamente integrata, di Harpo, Chico, Zeppo e Groucho. Harpo, che per scelta non parla mai, interpreta straordinariamente quella classica delle “vecchie” comiche controbilanciando quella verbale e irresistibile di Groucho.

Il film ebbe un successo clamoroso al botteghino, tanto da avviare definitivamente la carriera cinematografica dei Marx, nonostante i quattro, finite le riprese e vista l’anteprima, fecero di tutto per bloccarne l’uscita.

L’edizioni nelle nostra lingua oggi disponibili sono poche e di bassa qualità, ma questo film merito lo stesso di essere visto anche solo per capire che geni comici sono stati i Marx e quanto hanno influenzato e ancora influenzano la comicità planetaria.