“La leggenda del serpente bianco” di Taiji Yabushita

(Giappone, 1958)

Il 22 ottobre del 1958 esce nelle sale cinematografiche giapponesi “La leggenda del serpente bianco” diretto da Taiji Yabushita. Il film, oltre ad essere il primo lungometraggio animato a colori mai prodotto nel Paese del Sol Levante, è di fatto il primo vero e proprio anime nella storia del cinema.

A produrlo è la Toei Dōga (oggi Toei Animation) che riesce in quello che, nell’intervallo fra le due guerre, alcuni studi giapponesi avevano vanamente provato a fare. Come soggetto viene scelta un’antica leggenda cinese adattata per lo schermo da Shin Uehara.

La scelta non è casuale, anzi è uno dei primi veri e propri tentativi mediatici di riconciliazione del popolo giapponese con quello cinese, divisi tragicamente dagli eventi della Seconda Guerra Mondiale. L’impresa è titanica, con un budget di oltre 40 milioni di yen e quasi due anni di lavorazione che producono ben 214.154 disegni. Il risultato è straordinario: una vera e propria opera d’arte realizzata unendo le tecniche classiche dell’animazione a quelle d’avanguardia.   

Il piccolo Xu Xian compra al mercato un giovane serpente bianco che però i suoi genitori, e tutti gli altri adulti del villaggio, lo costringono ad abbandonare nei campi. Una notte, alcuni anni dopo, il serpente si trasforma in Bai Niang, una bellissima ragazza, che vuole a tutti i costi tornare da Xu Xian, ormai divenuto ragazzo. Ma…

Davvero un’opera notevole e ancora affascinante, dove ogni disegno sarebbe da incorniciare ed esporre in un museo. Non è un caso, quindi, che il 22 ottobre è considerato il “compleanno” del cinema d’animazione giapponese.  

Presentata alla Mostra del Cinema di Venezia del 1959, la pellicola viene premiata con il Diploma speciale per i film a soggetto per i ragazzi da 13 a 18 anni.

Il dvd presenta la versione originale con sottotitoli in italiano. Ma nella sezione degli extra c’è la versione con il sonoro in italiano eseguito appositamente dalla RAI, e trasmesso sul Secondo Canale il 12 dicembre del 1970 nel corso di “Mille e una sera”, un programma per ragazzi creato in risposta della mitica “Canzonissima”. Purtroppo però una buona parte del doppiaggio – basato soprattutto sulla voce narrante e l’oversound per le canzoni – è andata perduta, e così nelle parti mancanti sono presenti i sottotitoli.      

Sempre negli extra è inserito il trailer originale del film con alcune immagini e una breve presentazione di Hiroshi Ōkawa, allora presidente della Toei Dōga, che parla con – meritato – orgoglio dell’opera prodotta.

“Jojo Rabbit” di Taika Waititi

(Nuova Zelanda/USA/Repubblica Ceca, 2019)

Nel 2004 la scrittrice neozelandese/belga – di origini italiane – Christine Leunens pubblica il romanzo “Come semi d’autunno” ambientato nella Vienna della fine della Seconda Guerra Mondiale, il cui protagonista è il diciassettenne Johannes Betzler.

Nel 2019 il regista e attore neozelandese Taika Waititi (scelto dalla Disney per dirigere “Thor: Ragnarok”) decide di portarlo sullo schermo, realizzando un film surreale ma allo stesso tempo molto bello e doloroso.

Johannes Betzler è un bambino di dieci anni affascinato dal grande leader supremo del suo invincibile Paese: Adolf Hitler. Johannes, che tutti chiamano Jojo, fa parte della gioventù hitleriana e vive nella Vienna del 1945, dove già si respira l’aria dell’inevitabile e disastrosa sconfitta, e proprio per questo il clima è disperato e feroce.

Ogni piccola decisione della sua giornata Jojo la stabilisce proprio insieme a Hitler (lo stesso Waititi) o meglio, al Führer immaginario che gli parla quasi continuamente nella sua testa. Come gli altri coetanei, Jojo viene mandato in un campo di addestramento comandato dal Capitano Klenzendorf (un bravissimo Sam Rockwell) che, avendo perso un occhio in battaglia, non è più abile a combattere in prima linea. Per dimostrare di essere coraggioso come gli altri Jojo si ferisce gravemente con una granata.

Tornato a casa, grazie alle cure di sua madre Rosie (una davvero brava Scarlett Johansson che per la sua interpretazione è candidata all’Oscar come miglior attrice non protagonista) Jojo torna a camminare e, nonostante la brutte ferite al volto, anche ad uscire di casa. Il suo mondo però vacilla pericolosamente quando scopre che proprio Rosie ospita clandestinamente in casa una giovane ragazza ebrea…

Con toni che ricordano quelli de “La vita è bella”, Waititi ci racconta la dura infanzia di un bambino che ha la sola colpa di essere nato nel momento sbagliato e nel posto sbagliato, cosa tanto attuale quanto tragica, come ci ricorda Zalone nel suo “Tolo tolo”.

La storia – soprattutto quella del libro – è molto vicina a quella del bellissimo romanzo “Situazione disperata… ma non seria” scritto da Robert Shaw nel 1960 con il titolo originale “The Hiding Place”, ma se allora il ricordo del conflitto mondiale era alle spalle, oggi Waititi ci ricorda come il pericolo di un conflitto e delle sue tragiche conseguenze siano drammaticamente vicino, sia nello spazio che nel tempo.

E che, soprattutto, la cosa dipende da noi.  

“Piccole donne” di Greta Gerwig

(USA, 2019)

La giovane cineasta americana Greta Gerwig scrive e dirige il settimo adattamento cinematografico di “Piccole donne”, il romanzo più famoso della scrittrice Louisa May Alcott (1832-1888).

In realtà la Gerwing accorpa in questo film anche i seguiti del romanzo: “Piccole donne crescono”, “Piccoli uomini” e “I ragazzi di Jo”. Ma, soprattutto, la Gerwig attualizza in maniera davvero efficace il libro, e la vera vita della Alcott, che incarnano da oltre centocinquant’anni i primi veri simboli del femminismo moderno.

Dopo l’inglese Aphra Behn (1640-1689) la prima donna nella storia dell’Occidente ad essere pagata per i suoi scritti, la Alcott è indubbiamente ancora oggi un emblema dell’emancipazione femminile visto che, come diceva lei stessa: “…la donna non può ambire nella propria vita solo all’amore”.

Con un cast di altissimo livello, su cui spicca senza dubbio Saoirse Ronan nei panni di Jo, e che comprende tra gli altri Meryl Streep, Emma Watson, Laura Dern e Chris Cooper, la Gerwig realizza un bel film attualissimo e coinvolgente, così com’è l’opera della Alcott.

L’ottima prova della Ronan (che sempre diretta dalla Gerwig ha interpretato il delizioso “Ladybird” nel 2017) sembra incoronarla come nuova stella eclettica del cinema americano, sulla scia proprio di una delle attrici più brave di sempre come Meryl Streep.

A proposito del forte legame che l’opera della Alcott ha ancora oggi con la scrittura vera e propria, la Gerwig fa interpretare non a caso la parte del signor Dashwood (il primo editore del romanzo) a Tracy Letts attore e drammaturgo americano, vincitore del Premio Pulitzer per l’opera teatrale “Agosto: foto di famiglia” del 2007, da cui John Wells ha tratto il bellissimo film “I segreti di Osage County” nel 2013, nel cui cast splende una superba Meryl Streep accanto, fra gli altri, allo stesso Chris Cooper.

“Pinocchio” di Matteo Garrone

(Italia/Francia/Inghilterra, 2019)

Uno dei nostri migliori – e più internazionali – attuali registi porta sullo schermo, dopo la Divina Commedia, forse l’opera letteraria italiana più famosa al mondo. Così famosa da diventare molto difficile da adattare sia per il cinema che per il teatro.

Fra le numerose trasposizioni poco riuscite, oltre a quella di Benigni, c’è anche quella fatta da Walt Disney nel 1940 che, rimanendo una vera e propria opera d’arte a livello di disegni, come sceneggiatura presenta numerose lacune.

Il primo regista che riesce a portare sullo schermo – si tratta però di quello piccolo… – l’opera di Carlo Lorenzini alias Carlo Collodi, rimanendo fedele al testo e centrando l’anima della storia è stato Luigi Comencini che nel 1972 realizza lo splendido sceneggiato televisivo “Le avventure di Pinocchio”.

E proprio alle atmosfere create da Comencini si ispira quest’opera di Garrone, scritta assieme a Massimo Ceccherini. Il volto di Geppetto è quello di Roberto Benigni che da vero uomo dello spettacolo – è giusto riconoscerlo – accetta una sfida assai insidiosa dopo il flop del suo di “Pinocchio”. Ma Benigni ci regala un Geppetto molto fedele al libro, davvero da attore maturo.

Il volto di Pinocchio è quello del giovane Federico Ielapi, davvero molto bravo e truccato superbamente da burattino. Completano il cast un grande Gigi Proietti nei panni di Mangiafuoco, Rocco Papaleo e lo stesso Ceccherini in quelli del Gatto e della Volpe, e Marine Vacth in quello della Fata Turchina adulta. Da ricordare anche l’interpretazione del bravo Teco Celio nei panni del Giudice Gorilla.

Con una bellissima fotografia diretta da Nicolaj Brüel, Garrone ci racconta magistralmente una storia che conosciamo bene ma che non ci stanchiamo mai di rivivere.

Garrone – come dopo “Il racconto dei racconti”, sempre tratto da una grande e storica opera letteraria italiana – ci porta belle notizie per il nostro cinema.

“La città perduta” di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro

(Francia/Spagna/Germania, 1994)

La coppia Jeunet & Caro ha segnato visivamente il cinema francese degli anni Novanta che vede nel film “Delicatessen” del 1991 il loro più grande successo al botteghino.

Grazie proprio a tali incassi i due cineasti scrivono e dirigono questo ambizioso “La città perduta” – il cui titoli originale è invece “La città dei bambini perduti” – che grazie ad una coproduzione internazionale esce nelle sale nel 1994.

In una città del nord che si affaccia su un mare scuro e sporco, vive un gruppo di orfani comandati crudelmente da Octpus, una coppia di anziane gemelle siamesi, che li sfrutta costringendoli a piccoli furti, proprio come accade in “Oliver Twist” del maestro Dickens.

In città arriva un gruppo di artisti girovaghi composto dall’uomo forzuto One (Ron Perlman, attore feticcio di Guillermo Del Toro che poi gli farà impersonare Hellboy), il piccolo Dunrée che passa con il piattino delle offerte e un ex acrobata (Ticky Holgado) che fa da presentatore.

Dopo uno spettacolo, mentre i bambini di Octopus ripuliscono i pochi spettatori, l’ex acrobata accortosi dei furti viene pugnalato a morte da Peeler (Rufus) incaricato della “protezione” dei piccoli ladri.

One e Dunrée, senza più una guida, tornano disperati nel loro camion casa, dove però il bambino viene rapito dalla setta dei Ciclopi, comandata da Gabriel Marie (Serge Merlin). I Ciclopi sono un gruppo di uomini che hanno perso l’uso della vista e fornisco bambini a Krank, un clone che invecchiando rapidamente non riesce più a sognare. E così usa i sogni dei bambini per ringiovanire. E’ coadiuvato da alcuni fratelli cloni (Dominique Pinon) che in cambio dei piccoli, fornisce alla setta occhi artificiali.

Con l’aiuto della piccola Miette (Judith Vittet) capobanda del gruppo di Octopus, One cercherà di ritrovare il piccolo Dunrée…

Già da questa breve sinossi si capisce che la sceneggiatura del film è troppo complicata e contorta (e non ho parlato di Irwin, un cervello parlante che in originale è doppiato da Jean-Louis Trintignat e nella nostra versione dal grande Oreste Lionello), cosa che di fatto ha decretato il flop del film ai botteghini francesi, e forse anche la separazione artistica dei due registi, che dopo questa pellicola non hanno più lavorato assieme.  

Nonostante ciò “La città perduta” merita di essere visto (in Italia non è uscito al cinema, ma solo in dvd) perché possiede una potenza visionaria molto particolare. Fra la regia e le scenografia – curate anche dallo stesso Caro – viviamo sensazioni profonde, repentine e alcune volte persino indimenticabili. Non a caso molte sequenze, negli anni successivi, sono state più volte copiate o citate, anche in spot pubblicitari e video musicali, e dal film è stato creato un videogioco.

E poi, per i più romantici, c’è quasi tutto il cast (tranne Audrey Tautou e Matthieu Kassovitz) del capolavoro “Il favoloso mondo di Amélie” che Jeunet dirigerà qualche anno dopo.

Nel dvd è presente una corposa sezione degli extra con le filmografie/biografie dei registi e di Perlman, uno sfizioso “Dietro le quinte” con immagini esclusive dal set, il “Making of” con interviste ai registi e ad alcuni attori, un’intervista a J.P. Gaultier che cura i costumi, un commento audio dello stesso Jeunet, il trailer e il teaser cinematografici.  

“Tolo Tolo” di Checco Zalone

(Italia, 2020)

Checco Zalone, al secolo Luca Medici, dopo quattro film (diretti da Gennaro Nunziante) come protagonista e autore della sceneggiatura passa anche dietro la macchina da presa, e ci racconta una delle tragedie del nostro tempo: l’immigrazione clandenstina dal continente africano verso l’Europa.

Ma soprattutto Zalone – che ha scritto la sceneggiatura insieme a Paolo Virzì – ci narra le miserie di noi europei, e in particolare di noi italiani, che non sopportiamo più le continue “invasioni” dal mare.

Senza pietà per nessuno Luca Medici descrive come il nostro popolo, che certo economicamente non se la passa poi così bene – e anche se è abbastanza semplice individuare i responsabili, questo non è l’ambito giusto per citarli… – così preoccupato di sbarcare il lunario diventa facile preda di rigurciti fascitoidi e razzisti che lo portano ad individuare nell’uomo “nero” (tradizionalmente poi sessualmente più dotato…) il responsabile di tutto.

Così – per la felicità di pochi scaltri – non si accorge che a succhiargli il sangue è lo stesso uomo “bianco” che sfrutta anche i poveri immigrati che cercano solo una vita il più possibile dignitosa.

Con varie esileranti battute e gag alla Zalone – alcune davvero taglienti e senza sconti – “Tolo Tolo” ci gira a forza la faccia verso una tragedia devastante che si continua a consumare alle nostre porte, e che avrà conseguenze per molti decenni, ma che molti vogliono colpevolmente considerare su un’altra galassia.

E allora, dopo la sequenza finale con tanto di cartoni animati, non possiamo che parafrasare Dalla e De Gregori (quest’ultimo presente nella colonorra sonora del film con la sua “Viva l’Italia”) sussurrando: “…E piangendo ci viene da ridere…“.

“Fidanzati dell’inverno” di Christelle Dabos

(Edizioni e/o, 2018)

Non si può negare che Christelle Dabos abbia uno stile accattivante e avvincente, e che col suo libro crei un mondo fantastico e originale. Cosa non facile, soprattutto dopo la pubblicazione della saga di Harry Potter. Così i suoi libri sono diventati un caso letterario in Francia, già all’uscita di questo primo volume avvenuta in terra d’oltralpe nel 2013.

Personalmente però trovo poco giustificabile pubblicare un romanzo la cui trama (nonostante le oltre cinquecento pagine) si ferma di fatto a metà, dando direttamente appuntamento al secondo libro della saga “L’attraversaspecchi”. Anche se la cosa è chiaramente scritta sulla copertina, non la trovo affatto corretta perché, soprattutto nella parte centrale del romanzo, la Dabos rallenta ad arte il ritmo del racconto per poi precipitare gli eventi nelle ultime pagine. Eventi che comunque non portano a nulla di definitivo.

Non è facile, certo, ma è possibile creare una saga composta da vari libri, e al tempo stesso disegnare in ogni libro una storia che abbia uno sviluppo e un epilogo riallacciandosi a quella principale. La saga di Hogwarts della Rowling e quella de “La Bussola d’Oro” di Philip Pullman (le cui atmosfere ricordano molto quelle create dalla Dabos) sono gli esempi riusciti forse più famosi.

Evidentemente, però, J.K. Rowling e P. Pullman hanno un altro passo come scrittori, visto che la Dabos preferisce semplicemente spezzare la storia (cosa che ha anche il sapore banale di un semplice espediente commerciale) piuttosto che sforzarsi di fare altro.

Insomma: più che un bel libro …un accattivante primo capitolo.

“Mià e il Migù” di Jacques-Rèmy Girerd

(Francia/Italia, 2008)

Jacques-Rémy Girerd è uno dei più premiati registi di cartoni animati francesi contemporanei. Con questo film, coprodotto in Italia, ha vinto tra i numerosi premi anche l’Oscar Europeo per il miglior film d’animazione nel 2009.

Siamo in un futuro molto prossimo, dove il riscaldamento globale costringe quasi tutti gli abitanti del pianeta e soffrire il caldo o vivere protetti dall’aria condizionata (cosa che non fa altro che peggiorare la situazione).

Al mondo sono rimasti pochi luoghi non contaminati che conservano un clima fresco e salutare. Proprio in uno di questi l’architetto Jackhide – un uomo senza scrupoli che ha messo il proprio successo davati anche al figlio ancora bambino e alla moglie – vuole costruire un mega resort di lusso.

I suoi finanziatori, prima di firmare il contratto definitivo, vogliono fare una visita al cantiere, che però da qualche settimana è funestato da strani incidenti. Sembra, infatti, che una inquietante e invisibile presenza boicotti i lavori e spaventi gli operai.

Proprio uno di questi, Pedro, inseguendo un’ombra nella scavo di una galleria viene inghiottito da una frana. Nello stesso instante la sua piccola figlia Mia, rimasta nel villaggio natale insieme alle sue zie, si sveglia spaventata, e decide di raggiungere il padre. Il viaggio sarà lungo, faticoso e ricco di particolari incontri, fra cui quello con le strane presenze nel cantiere dove lavora il padre…

Deliziosa pellicola onirica, scritta oltre che da Girerd, anche da Benoît Chieux (anche lui ottimo regista di lungometraggi animati), Antoine Lanciaux e Iouri Tcherenkov; che spiega – …se ancora ce ne fosse bisogno – perché la Francia mantiene ormai da anni il terzo posto al mondo (dopo USA e Giappone) come produttrice di cartoni animati.

Una piccola favola per grandi e piccoli, con delle immagini sublimi che passano da Van Gogh a Frida Kahlo e Diego Rivera.

Negli extra del dvd sono presenti due gallerie con alcuni bellissimi disegni tratti dal film.

“The Little Prince” di Stanley Donen

(USA/UK, 1974)

Questa suggestiva trasposizione cinematografica del romanzo di Antoine de Saint-Exupéry, nonostante il prestigioso cast dietro e davanti alla macchina da presa che presenta, purtroppo non è mai uscita nelle nostre sale, né è mai stata trasmessa dalle nostre televisioni tradizionali.

A dirigere e produrre il film è Stanley Donen (regista di pellicole come “Catando sotto la pioggia”, “Sette spose per sette fratelli” o “Due per la strada”) la sceneggiatura e i testi della canzoni sono di Alan Jay Lerner (autore di script come “Un americano a Parigi” e “My Fair Lady”) e le musiche di Frederick Loewe (autore di quelle di film come “Gigi”, “Intrigo internazionale” e “My Fair Lady”).

Per quanto riguarda il cast artistico spiccano il grande Bob Fosse e l’indimenticabile Gene Wilder. Fosse (coreografo e regista quasi inarrivabile a Broadway – con ben otto Tony Award vinti per le sue coreografie e uno per la regia – e autore al cinema di film come “Cabaret”, “Lenny” e “All That Jazz”) impersona il Serpente. La coreografia “Snake in The Grass”, da lui creata e interpretata, ancora oggi fa scuola.

Gene Wilder invece interpreta la Volpe, e con il suo completo fulvio, senza altri particolari effetti, sembra proprio la volpe del libro.

Un vero piccolo gioiello – vista l’indiscutibile difficoltà di tradurre per il grande schermo un libro così particolare e sublime – che però non parla l’italiano visto che l’unica versione al momento reperibile è quella in inglese. Il dvd, infatti, non possiede sottotitoli o contenuti extra.