“Il segreto degli Incas” di Jerry Hopper

(USA, 1954)

Harry Steele (Charlton Heston) è uno americano che vive a Cuzco, in Perù, e sbarca il lunario facendo la guida turistica per i suoi connazionali che visitano il Paese.

Steele, come molti altri, ha sentito parlare del grande tesoro degli Incas che è scomparso fra le alte vette delle Ande ormai da secoli e non disdegna alcun mezzo per reperire notizie attendibili e piccoli resti.

Un giorno arriva a Cuzco la rumena Elena Antonescu (Nicole Maurey) una dark lady dall’oscuro passato. La donna è disposta a pagare qualsiasi cifra pur di entrare clandestinamente negli Stati Uniti per sfuggire alla polizia segreta della sua Nazione, e Steele sembra l’uomo adatto.

Con uno stratagemma Steele riesce a rubare un aereo con il quale i due lasciano Cuzco. Per nascondere le proprie tracce decidono poi di atterrare nei pressi del mitico Machu Picchu e proseguire a piedi. Nell’antico sito, Steele e la Antonescu incontrano la spedizione archeologica americana diretta dal professore Moorhead (Robert Young) che è sulle tracce del mitico Sole d’Oro degli Incas, pezzo centrale dell’antico tesoro.

Steele dovrà scegliere se aiutare la rifugiata rumena a raggiungere gli USA o cercare il Sole d’Oro, ma…

Originale pellicola d’avventura (come si diceva un tempo) girata in studio ma anche in loco, con delle panoramiche che ancora oggi incantano, non a caso è la prima volta che una produzione hollywoodiana gira davvero fra i resti archeologici peruviani.

Ma il vero fascino di questo film è un altro: per ammissione dello stesso George Lucas, Harry Steele è il personaggio dal quale è nato nientepopodimeno che il Professor Henry Walton Jones Junior, meglio conosciuto come Indiana Jones.

Il cappello a grandi falde, il giubbotto di pelle, e la presenza di Heston – che nulla ha da invidiare a quella di Harrison Ford – nonché il suo beffardo sorriso lo testimoniano. E poi c’è il fascino dei tesori legati a una civiltà dell’America Latina scomparsa da secoli, e gli enigmi per ritrovarli.

Insomma, un vero gioiellino per amanti del Professor Jones.

Per la chicca: prima di scritturare Sean Connery (che aveva impersonato l’altro grande “padre” di Indiana, e cioè James Bond) nella parte del Professor Jones Senior, Lucas aveva pensato non a caso proprio a Heston.

“Hinterland” di Ed Talfan e Ed Thomas

(UK, 2013)

L’ispettore capo Tom Mathias ha appena lasciato Londra per prendere servizio presso il dipartimento di Polizia della piccola cittadina marittima di Aberystwyth, in Galles. I nuovi colleghi non conoscono i motivi di tale scelta, ma certamente devono essere legati alla sua famiglia che non lo ha seguito.

Il primo caso che deve affrontare Mathias è legato al ritrovamento del corpo di un’anziana rinvenuto in un torrente sotto il Devil’s Bridge, un antico ponte romano. Le indagini porterannno Mathias e i suoi a indagare nel passato dell’ex casa famiglia – ormai divenuta un albergo – che si trova poco distante.

Fra pioggia e freddo, seguiamo le inchieste della Squadra Omicidi che spaziano in un Galles selvaggio e duro, ma davvero affascinante (non a caso fra i numerosi premi vinti da questa serie c’è quello anche per la Miglior Regia).

E come sempre nei gialli noir – il cui maestro indiscusso è il grande Simenon – si indaga sull’animo umano, sulle sue debolezze e sulle sue miserie.

Con storie verticali che si concludono nell’ambito della stessa puntata, e orizzontali, che dalla prima arrivano fino all’ultima fin’ora realizzata, “Hinterland” (che in orginale gallese è “Y Gwyll”, il crepuscolo) è davvero un’ottima serie con un ottimo cast, quasi tutto gallese come lo stesso Mathias, interpretato da un bravissimo Richard Harrington.


“La bambina dimenticata dal tempo” di Siobhan Dowd

(Uovonero, 2008)

Nel suo secondo romanzo la scrittrice Siobhan Dowd ci porta ancora una volta nell’Irlanda degli anni Ottanta lacerata dal conflitto secolare contro la Gran Bretagna.

1981, in una piccola cittadina al confine fra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord, sotto il dominio della Corona, vive il diciottenne Fergus.

A breve dovrà sostenere gli esami di maturità per potersi trasferire a Dublino e iniziare gli studi in medicina. Ma la sua famiglia, come tutte quelle che vivono nella zona, è convolta direttamente nel conflitto contro le truppe di Sua Maestà, secolari “invasori” delle libere terre d’Irlanda.

Suo fratello maggiore Joe, infatti, è in carcere in quanto membro dell’IRA, l’esercito di liberazione irlandese. E seguendo l’esempio di Bobby Sands, morto poche settimane prima, ha iniziato lo sciopero della fame affinché il Primo Ministro britannico Margaret Thatcher riconosca a lui e a tutti i membri dell’IRA detenuti il titolo di prigioniero politico, gettando Fergus e la sua famiglia in un grave stato di attesa e paura.

Una notte, mentre con lo zio Tally si è recato in una torbiera per rubare torba da rivendere clandestinamente, Fergus scorge nel terreno il corpo di una bambina. Dopo lo choc iniziale i due decidono di avvertire le autorità.

In breve si scope che la bambina è in realtà una mummia di palude. I resti, infatti, risalgono all’Età del Ferro e sono stati incredibilmente conservati nel corso dei millenni dalle proprietà naturali della torba.

Mentre l’intera nazione parlerà del ritrovamento, Fergus instaurerà un rapporto surreale interiore con la bambina che, mostrandogli i fatti salienti della sua remota esistenza, aiuterà il giovane ad affrontare la sua…

La Dowd ci regala un altro bellissimo romanzo di formazione, con momenti duri e momenti teneri, proprio come è la vita.

Da leggere.

“3 uomini in fuga” di Gérard Oury

(Francia, 1966)

Questa deliziosa e indimenticabile pellicola ci mostra la rara arte di due fra i comici francesi più bravi del Novecento.

All’inizio delle riprese del film quello più conosciuto al grande pubblico era senz’altro Bourvil (1917-1970) il cui vero nome era André Robert Raimbourg, e che oltre ad essere un grande attore – vinse la Coppa Volpi alla Mostra di Venezia nel 1956 per la sua interpretazione ne “La traversata di Parigi” – era un ottimo cantante e compositore.

Proprio in una scena de “La traversata di Parigi” Bourvil recita accanto a un bravissimo caratterista, che nella pellicola ha una parte marginale: Louis De Funès (1914-1983).

Dopo il successo di “Colpo grosso ma non troppo” dell’anno precedente, in cui i due formano per la prima volta una vera e propria coppia comica con la classica e irresistibile dinamica vittima (Bourvil) e carnefice (De Funès), Gérard Oury li dirige ancora una volta in una nuova e originale commedia.

Seconda Guerra Mondiale: durante un raid sul territorio occupato dalle truppe tedesche, un aereo militare inglese con gli strumenti di volo danneggiati, tenta la fuga fra le nubi. Dopo alcuni calcoli manuali l’equipaggio è convinto di volare sopra i territori in mano agli Alleati, ma appena usciti dalle nuvole si ri trovano sotto la pancia la Torre Eiffel.

La contraerei tedesca in pochi colpi li abbatte e i tre militari inglesi superstiti, prima di paracadutarsi sulla Ville Lumière, si danno appuntamento per il giorno dopo al bagno turco della città.

Il primo aviere finisce sul tetto dell’Opéra dove verrà aiutato dal borioso e prepotente maestro d’orchestra Stanislas LeFort (De Funès), il secondo sull’impalcatura del pacifico imbianchino Augustin Bouvet (Bourvil) mentre questi lavora presso il comando delle SS parigino, e il terzo nel giardino zoologico.

LeFort e Bouvet aiuteranno i tre fuggiaschi ad attraversare la Francia occupata per raggiungere la costa, in un viaggio rocambolesco e irresistibile che è entrato a pieno titolo nella storia del cinema.

Il successo del film al bottegghino è così grande, nella sola Francia, che verrà battuto solo da “Titanic” di James Cameron oltre quarant’anni dopo, e consacra definitivamente De Funès come grande attore comico. Ancora oggi rimangono irresistibili alcune gag che hanno fatto e continuano a fare scuola.

Da questa pellicola in poi Louis De Funès diventa uno degli attori di maggior successo al box office transalpino, ma soprattutto con lui si afferma una comicità molto fisica e al tempo stesso estremamente nevrotica, un vero ponte fra la quella grottesca dei clown e quella cervellotica tipica della borghesia più arrogante del secolo breve.

Per la chicca: nella versione che arrivò nelle nostre sale nel 1966, a doppiare magistralmente i due grandi attori i distributori misero – e giustamente! – altrettanti grandi attori: Gigi Proietti che dona la voce a Bourvil e Stefano Sibaldi a De Funès.

“Agenzia Omicidi” di Anthony Harvey

(USA, 1985)

Grace Quigley (una straordinaria Katharine Hepburn) vive sola e immersa nei tristi ricordi della sua famiglia, di cui lei ormai è l’unica sopravvissuta, in un piccolo e modesto appartamento nella periferia di New York.

Suo marito e i suoi tre figli, fra la Seconda Guerra Mondiale e un incidente automobilistico, sono morti ormai da molti anni, e Grace non aspetta altro che raggiungerli.

Una mattina, casualmente, assiste all’omicidio del suo nuovo e perfido padrone di casa da parte di un killer (Nick Nolte). L’anziana, senza farsi soprendere, segue il sicario fin nel suo appartamento.

Senza il minimo tentennamento l’anziana suona alla porta e quando l’uomo, che si chiama Seymour Flint, apre lo incalza: ha visto tutto e, se non vuole essere denunciato, dovrà fare quello che chiede: ucciderla.

Flint pensa a uno scherzo, ma Grace non è mai stata così seria in vita sua. L’anziana gli offre tutti i suoi risparmi e l’uomo le promette di iniziare a organizzare il delitto. Pochi giorni dopo Grace bussa nuovamente alla sua porta: ha trovato nuovi clienti, tutti i suoi anziani amici stanchi di soffrire nell’attesa della morte…

Insolita commedia anni Ottanta con uno dei pilastri del cinema mondiale come la Hepburn, e un giovane attore che negli anni successivi diventerà una stella di Hollywood come Nolte.

Dalla seconda metà degli anni Settanta, con l’avvento dei farmaci di largo consumo, la terza età si allunga in maniera impensabile, diventando sempre più consistente rispetto alle altri parti della società.

La solitudine e l’emarginazione, purtroppo, diventano i compagni più comuni di molte persone che hanno solo la colpa di sopravvivere. E Grace Quigley (titolo originale del film) è uno dei simboli di questa nuova società. Toccante è la scena in cui la protagonista, per convincere Seymour a uccidere lei e i suoi amici, lo porta a visitare un’ospizio…

Ma nel 1985 siamo in pieno edonismo reaganiano e così i protagonisti di questo insolito film non potevano farla franca. Il finale ufficiale della pellicola stona non poco con la storia, ma se abbiamo la possibilità di vedere quello alternativo, tutto torna…

Un’altra testimonianza della grande arte di Katharine Hepburn, che per raccontare questa storia non teme di mostrare rughe e capelli bianchi.

“2022: i sopravvissuti” di Richard Fleischer

(USA, 1973)

Tratto dal romanzo “Largo! Largo!” pubblicato da Harry Harrison nel 1966, fra i primi autori di fantascienza a parlare di sovrappopolamento ed esaurimento delle risorse globali, questo “2022: i sopravvissuti” ci racconta di un mondo che sta morendo.

New York, 2022: la popolazione ha raggiunto i 40 milioni di individui. Non c’è spazio, acqua e cibo a sufficienza per i più. Solo una piccola elitè può permettersi di vivere fra i lussi più agiati.

Il detective del NYPD Thorn (Charlton Heston), grazie al suo lavoro, riesce a sopravvivere in maniera quasi dignitosa. Condivide il suo piccolo appartamento con Sol Roth (Edward G. Robinson), un “Uomo libro” che lo aiuta nelle sue indagini. La lettura, infatti, è ormai rimasta fra le “capacità” dei pochi anziani rimasti. E così Sol compie le ricerche nella sua libreria personale e in quella cittadina per poi riferire i risultati a Thorn.

Allo stesso Thorn viene affidata l’indagine sull’omicidio del ricco Dott. Simonson (Joseph Cotten, altra grande vecchia gloria di Hollywood che nella seconda parte della sua carriera presterà il volto a numerosi film di fantascienza, anche di serie B). Il delitto sembra proprio una rapina finita male, ma Thron intuisce che dietro il crimine si nasconde qualcosa di molto più ampio.

Quando Sol, dopo un’attenta ricerca, gli rivela che Simonson è stato uno dei fondatori della “Soylent”, la multinazionale che produce il “Soylent Green” (titolo originale del film) cibo in sfoglie sintetizzato dal plancton marino e base dell’alimentazione di tutta la popolazioe mondiale, a Thorn viene chiesto di chiudere l’inchiesta. Ma…

Ottimo film di fantascienza “dispotico” e disilluso, con alcune scene davvero ancora d’effetto, come il comiato fra Thron e Sol.

A proposito di questo, le cronache del tempo – subito dopo la vera morte a causa di un male incurabile di Edward G. Robinson avvenuta poche settimane dopo la conclusione delle riprese – raccontarono che le lacrime che Thorn/Heston versa assistendo alla particolare dipartita di Sol/Robinson fossero vere, poichè solo a lui Robinson aveva rivelato la grave malattia che lo stava consumando.

Comunque sia, questo film di fantascienza affronta quasi cinquant’anni fa temi che oggi stanno diventando sempre più caldi e spinosi.