“Così parlò Bellavista” di Luciano De Crescenzo

(Italia, 1984)

Sulla scia del successo dell’omonimo romanzo, pubblicato la prima volta nel 1977 – e prima del clamoroso successo che otterrà come ospite quasi fisso in “Quelli della notte” di Renzo Arbore – Luciano De Crescenzo dirige e interpreta questa sua prima pellicola cinematografica.

Non era facile riportare sullo schermo la verace napoletanità del suo scritto, davvero coinvolgente, e sotto alcuni punti di vista anche molto romantico. Ma grazie alla mano dell’amico Riccardo Pazzaglia (diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia e già consumato regista e sceneggiatore) De Crescenzo ci riesce, e anche molto bene.

Le avventure del professore (in pensione) Gennaro Bellavista in una Napoli caotica ma ancora dal grande cuore sono davvero appassionanti. Così come quelle della sua corte fatta di personaggi al limite, che si compattano per schierarsi contro il milanese Dott. Cazzaniga (un bravissimo Renato Scarpa) giunto a Napoli come Capo del Personale dello stabilimento dell’Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco…

Grazie anche a un cast che viene quasi tutto dal grande teatro napoletano di Eduardo De Filippo (su tutti forse Marina Confalone che vince il David di Donatello come miglior attrice non protagonista) il successo al botteghino è clamoroso tanto da portare De Crescenzo, l’anno successivo, a girare una sorta di seguito con “Il mistero di Bellavista”.

Al suo esordio dietro la MDP De Crescenzo ci regala così una pellicola con gli ultimi bagliori della grande commedia all’italiana che fu, e dipinge un affresco di Napoli pieno di amore ma anche di tristezza. E’ la vecchia Napoli che sta scomparendo per lasciare il posto a quella nuova fatta, anche, di criminalità organizzata e disoccupazione, che costringe i suoi giovani a emigrare per poter condurre una vita dignitosa.

E ricordatevi, come dice Bellavista a Cazzaniga: “Siamo tutti meridionali di qualcuno…”!

“Il poliziotto che ride” di Maj Sjöwall e Per Wahlöö

(Sellerio 1968/2007)

Il duo Maj Sjöwall e Per Wahlöö rappresenta uno dei capisaldi della letteratura gialla mondiale. Per dieci anni, dal 1965 al 1975 – anno della morte di Wahlöö – i due compagni di scrittura – oltre che di vita – hanno sfornato dieci romanzi dedicati all’investigatore della Polizia di Stoccolma Martin Beck, considerato giustamente un alter ego scandinavo del grande Maigret . Questo “Il poliziotto che ride” del 1968 è forse il loro romanzo più famoso.

In una sera piovosa di Stoccolma, mentre le Forze dell’Ordine sono concentrate in una zona dove sono scoppiati alcuni tafferugli con dei manifestanti, in un’altra, proprio alla periferia della città, un autobus di linea esce fuori strada fermandosi contro un palo. Quando due agenti vengono chiamati da un passante, salgono sull’autobus e vi trovano una carneficina. Otto persone, compreso l’autista, sono state crivellate dai colpi di un’arma da fuoco.

Sul posto arriva Beck che, assieme ai suoi colleghi giunti rapidamente come lui, deve constatare che fra le vittime c’è anche un agente di Polizia, suo giovane collaboratore. Solo ripercorrendo le ultime settimane di vita del collega, Beck potrà risalire al feroce assassino…

Davvero un grande giallo, anche a distanza di tanti anni. Leggendolo si capisce come il duo Maj Sjöwall e Per Wahlöö sia di fatto il fondatore della letteratura gialla scandinava oggi tanto di successo.

Per la chicca: nel 1974 Stuart Rosenberg dirige “L’ispettore Martin ha teso una trappola“, adattamento cinematografico del libro ambientato a San Francisco, con il grande Walter Matthau nei panni di Martin Beck.

“Appartamento al Plaza” di Arthur Hiller

(USA, 1971)

Il maestro Neil Simon ci parla di matrimonio, e lo fa con tutta la sua ironia, sagacia e ovviamente cattiveria. E’ lui stesso a scrivere la sceneggiatura di questo adattamento del suo omonimo lavoro teatrale “Appartamento al Plaza”.

Il grande e famoso hotel di New York non è più quel lussuoso paradiso sulla terra delle scene iniziali di “A piedi nudi nel parco”. C’è stata la contestazione (…sob…) che comunque ha messo in crisi le fondamenta della società e della famiglia tradizionale, e fra queste in primis il matrimonio.

Così Simon ci racconta in tre episodi il matrimonio fallito, quello tradito e quello temuto. A vestire i panni dei tre protagonisti maschili è uno strepitoso Walter Matthau che qui sembra nato apposta per interpretare Neil Simon.

Sue compagne di scena sono: una bravissima Maureen Stapleton (Oscar come miglior attrice non protagonista per “Reds”) nei panni della moglie fallita. Barbara Harris (nota attrice comica di teatro e collega nella Broadway dei primi anni Sessanta di attori come Elaine May o Mike Nichols) in quelli della moglie traditrice. E Lee Grant (Oscar come migliore attrice non protagonista per “Shampoo”) in quelli della madre di una ragazza che teme il matrimonio, visto come è diventato quello dei suoi genitori…

Se Neil Simon è sempre lui, Walter Matthau – qui doppiato superbamente da Gianrico Tedeschi – è inarrivabile.

“Viaggio in Inghilterra” di Richard Attenborough

(UK, 1993)

La vita di Clive Staples Lewis (1898-1963), nonostante la sua fede granitica, non è stata sentimentalmente facile. A dieci anni perde la madre e si rifugia nello studio, che diverrà la sua professione, visto che dopo la laurea gli verrà assegnata la cattedra di Lingua e Letteratura Inglese all’Università di Oxford.

Divenuto famoso a livello mondiale con il ciclo di raccoti fantastici per ragazzi (e non solo) “Le cronache di Narnia”, Staples agli inizi degli anni Cinquanta incontra quasi per caso una sua ammiratrice, l’americana Joy Gresham. Fra i due, veri e propri mondi distanti, nasce incredibilmente un sentimento molto particolare.

A questa vicenda si ispira “Viaggio in Inghilterra” diretto dal maestro Richard Attenborough che ricostruisce le vicende sentimentali di uno dei più famosi scrittori del Novecento che, suo malgrado, dovette confrontarsi più volte col dolore della perdita. Infatti, la Gresham scoprirà di essere affetta da un cancro alle ossa e perirà nel 1960, dopo appena tre anni di matrimonio con Lewis.

Nel film di Attenborough (che in originale si intitola “Shadowlands”, titolo che si ispira ai racconti di Lewis che nascono e vivono in una terra di ombre) il grande Anthony Hopkins interpreta magistralmente C.S. Lewis e Debra Winger la Gresham.

Davvero una grande pellicola.

“Your Name” di Makoto Shinkai

(Giappone, 2016)

La storia surreale e struggente dell’amore fra gli adolescenti Mitsuha e Taki e’ una delle più romantiche mai apparse sul grande schermo. A scriverla e dirigerla è Makoto Shinkai, autore già del bello “Il giardino delle parole”.

Mitsuha è un’adolescente che vive a Itomori, una piccola cittadina non lontana da Tokyo. Dopo la morte della madre e il successivo abbandono del padre, vive con la sorella minore insieme alla nonna. La sua vita le sembra così monotona che sogna spesso di essere un ragazzo che vive nella capitale.

Taki è un adolescente che vive a Tokyo e per mantenersi lavora come cameriere nel ristorante italiano “Il giardino delle parole” (…guarda che caso). E’ innamorato della capo cameriera ma non riesce neanche a rivolgerle la parola.

Un giorno Mitsuha si sveglia incredibilmente nel corpo di Taki e dopo il primo shock comincia a prenderci gusto. La stessa cosa, al contrario, capita a Taki che si ritrova catapultato nel corpo della ragazza che vive a Itomori. Una volta addormentatisi i due tornano nel rispettivo corpo. La cosa ricapita abbastanza spesso e i due, lasciandosi post e sms nei rispettivi cellulari, riescono a limitare i danni e gli imbarazzi. Anzi, grazie a Mitsuha, Taki diventa più affascintante e attarente tanto da riuscire a invitare a pranzo la sua capo. E Mitsuha, con l’anima di Taki, diventa molto più popolare a scuola e nella vita sociale in genere.

Ma improvvisamente lo scambio di corpi finisce e Taki, che all’alba non ricorda il nome di Mitsuha, comincia una riscerca disperata. Ricerca che lo porterà fortuitamente a Itomori che però scoprirà rasa a suolo tre anni prima da un meteroite. Nel registro dei deceduti nel cataclisma c’è anche il nome di Mitsuha…

Davvero un capolavoro che merita di essere visto.

“Doppia morte al Governo Vecchio” di Ugo Moretti

(Longanesi, 1977)

Ugo Moretti è una delle figure più sfuggenti della cultura italiana del Secondo Dopo Guerra. Classe 1918, esordisce nel 1949 con “Vento caldo” che vince il Premio Viareggio. Successivamente firma numerosi romanzi, anche sotto pseudonimo, e altrettante sceneggiature cinematografiche. Scrive oltre venti gialli, ma questo “Doppia morte al Governo Vecchio”, la cui prima edizione risale al 1960, è forse il più famoso.

Dindo – Armando all’anagrafe – Baldassarre è un uomo che ama la pittura e l’arte in generale. Ma la vita lo ha portato a entrare nella Polizia di Stato. La sua carriera però si è interrotta bruscamente dieci anni prima, quando nel cuore della notte ha aiutato involontariamente un plurimo omicida a scappare. Scongiurato per un soffio il licenziamento, Baldassarre è stato trasferito all’Archivio Corpi di Reato che si trova nel cuore del centro storico di Roma. Scopre così, casualmente, che il suo predecessore – morto sul lavoro per aver confuso una pastiglia di cianuro con una di optalidon – aveva uno smercio clandestino, e alquanto fruttuoso, di reperti criminali che teneva gelosamente in un piccolo appartamento a pochi passi dall’ufficio.

Baldassarre prende così le redini dell’Archivio e del piccolo commercio, e lo usa per alimentare la sua passione: dipingere. Nessuno al mondo, nemmeno sua moglie Adriana, è a conoscenza del suo piccolo studio, fino al giorno in cui nell’antico e storico palazzo adiacente muoiono due persone: il vecchio principe, padrone del palazzo, e Romolo lo stagnaro, compagno di tresette dello stesso Dindo.

Baldassarre ha così l’opportunità di tornare a indagare, e forse quella di salvare la sua carriera, visto che se all’inizio le due morti sembrano un incidente, l’autopsia svela che si tratta di un duplice omicidio. Dindo indagherà sfruttando le sue amicizie locali che lo credono solo un viziato pittore e non un pubblico ufficiale, e in sole ventinove ore risolverà l’intricato caso…

Singolarissimo e sfizioso giallo con un protagonista che anticipa di molto gli investigatori che poi invaderanno la nostra editoria. Scritto in maniera insolita e irriverente “Doppia morta al Governo Vecchio” è davvero da leggere.

Nel 1977 Steno ne dirige “Doppio delitto” la riduzione cinematografica con Marcello Mastroianni nei panni di Baldassarre, e lo stesso Moretti partecipa alla stesura della sceneggiatura.

“Gli indimenticabili Cetra” di Virgilio Savona

(Sperling & Kupfer Editori, 1992)

Nella mia infanzia, gli anni Settanta, il Quartetto Cetra era semplicemente il gruppo di cantanti che eseguiva “Nella vecchia fattoria”, oppure i protagonisti di alcune parodie in bianco e nero di famosissimi romanzi, parodie trasmesse il pomeriggio come “tappabuchi” che poi venivano sempre interrotte troppo presto, per lasciare il posto ai programmi del palinsesto ufficiale.

Durante gli edonistici anni Ottanta il Quartetto Cetra venne generalmente relegato a “vecchia roba da nonni” o da revival. Solo qualche esperto e profondo conoscitore della musica e dello spettacolo italiano come Renzo Arbore ne parlava estasiato. E a ragione.

Il Quartetto Cetra è stato uno degli elementi fondanti la nostra cultura musicale prima e televisiva poi. Non a caso Francesco Guccini li considera i nostri Beatles, e le innovazioni che hanno portato segnano ancora la musica italiana.

Questo volume scritto da Virgilio Savona nel 1992, l’autore delle musiche e degli arrangiamenti del Quartetto, ripercorre la loro quarantennale storia. Dal 1940 quando lo stesso Savona (studente del Conservatorio di Santa Cecilia di Roma), grazie al giovane Agenore Incrocci (si, proprio Age il grande sceneggiatore che poi per un breve periodo farà parte del gruppo canoro) incontra in un bar il Quartetto EGIE formato da (Giovanni) Tata Giacobetti, Enrico De Angelis, Iacopo Jacomelli ed Enrico Gentile. I quattro chiedono a Savona di educarli alla melodia e così inizia la sua carriera ufficiale di arrangiatore. Solo l’anno successivo Savona entra nel quartetto sostituendo Jacomelli. Grazie all’EIAR che li seleziona per le trasmissioni radiofoniche, il Quartetto incontra Felice Chiusano e Lucia Mannucci, che lo stesso Savona sposa nel 1944. Sono anni duri e tragici, il nostro Paese si dirige follemente verso il baratro, e a consolare le persone c’è solo la radio, e gli spettacoli musicali ad essa collegati.

La tragedia immane della Seconda Guerra Mondiale finisce, lasciando un Paese spezzato, ma con la voglia di ricominincare. Nel 1947 Enrico De Angelis lascia definitivamente il gruppo e viene sostituito dalla Mannucci: nasce così il primo quartetto misto d’Europa.

Calpestando i palcoscenici di tutta Italia i Cetra portano la loro innovazione musicale legata alle splendide sonorità del jazz e dello swing e partecipano, nel corso degli anni, a numerose e famosissime riviste. Nel 1954 sono al Festival di Sanremo dove presentato, tra le altre, “Aveva un bavero” che vende numerosissime copie. Ovviamente non vincono e anzi, visto il loro modo di cantare e soprattutto di interpretare le canzoni – modo legato direttamente all’arte della commedia di cui tutti e quattro sono veri maestri – non verranno più chiamati all’Ariston. Ma nello stesso anno si accende nel nostro Paese la televisione che per fare spettacolo non può che rivolgersi agli artisti della radio. E i Cetra saranno nuovamente pionieri, questa volta dell’intrattenimento del piccolo schermo. Negli anni Sessanta la loro “Biblioteca di Studio Uno” diventa un punto di fondamentale della nostra cultura televisiva.

Arrivano anche il doppiaggio di numerosi film di Walt Disney (fra cui lo splendido “Lo scrigno delle sette perle”) e la pubblicità con Carosello.

Con il Sessantotto (pace all’anima sua…) arriva al contestazione e i Cetra potrebbero perdere terreno. Ma grazie soprattutto a Savona – che in quegli anni collaborerà con artisti come Giorgio Gaber, solo per fare un nome – il Quartetto incide “Angela” dedicato all’attivista afroamericana Angela Davis in prigione negli Stati Uniti per le sue idee, il colore della sua pelle e il suo sesso.

Savona poi inciderà alcuni album da solo fra cui deve essere ricordato “E’ lunga la strada” che contiene i brani “Il testamento del parroco Meslier” e “La merda”. Forse anche per questo la collaborazione con la RAI si interrompe bruscamente e il Quartetto lavora con la TV Svizzera e poi con Antenna 3 Lombardia.

In casa Rai i quattro tornano nel 1985 come ospiti fissi in “Al Paradise” di Antonello Falqui (già regista de “La Biblioteca di Studio Uno”). Per comprendere al meglio la loro genialità musicale basta andare su YouTube e cercare “La pioggia di marzo” cantata dalla grande Mina a cui loro, nello spettacolo di Falqui, fanno uno splendido contrappunto scritto per l’occasione dallo stesso Savona.

L’ultimo concerto del Quartetto Cetra è del liuglio 1988 a Bologna. A dicembre dello stesso anno Giacobetti – autore di quasi tutti i testi del gruppo – muore dopo una lunga agonia dovuta a un ictus. Si chiude così, definitivamente, la storia quarantennale del Quartetto Cetra.

Ripercorrendo le loro vicende, Virgilio Savona ci racconta un pezzo di fondamentale della storia del nostro Paese. Un documento davvero unico.

“Golden Time” di Takuya Inaba

(Giappone, 2013)

Della cinematografia d’animazione giapponese ne ho parlato molto, soprattutto grazie ai capolavori del maestro Hayao Miyazaki. Ma, ovviamente, nel Paese del Sol Levante non c’è solo lui a creare bellissime emozioni filmate.

Questo mediometraggio scritto e diretto da Takuya Inaba racconta la storia di un vecchio televisore che viene portato dal suo proprietario in una discarica. Si tratta di un televisore con mobile annesso, uno di quei vecchi catafalchi che negli anni Cinquanta e Sessanta erano il nuovo focolare e fulcro sociale delle case. Proprio per questo, fra i mille oggetti rotti e abbandonati, l’anziano televisore si sente un pesce fuor d’acqua e cerca di mantenere le distanze dagli altri. Soprattutto da un gattino nero, un pupazzo meccanico, che vorrebbe aiutarlo.

Quando le cose sembrano finalmente prendere una piacevole piega, un riparatore di tv nota il catafalco e lo priva del suo schermo. Il mobile, umiliato, vorrebbe fuggire e nascondersi per sempre, ma un altro frequentatore della discarica gli donerà nuova vita, portandolo nuovamente a essere fissato e ammirato da alcuni bambini…

E sapete quale è la cosa più incredibile? …Che è una storia vera!