“Il club dei suicidi” di Robert Louis Stevenson

(1882/1991)

Sulla grande e prolifica narrativa britannica dell’Ottocento c’è poco da aggiungere, per me poi che sono un fan sfegatato di Sir Arthur Conan Doyle – e non solo del grande Sherlock Holmes – e dell’immenso Charles Dickens.

Ma poco si parla nel recente di un altro colosso made in UK – scozzese di nascita – della letteratura come Robert Louis (Balfour) Stevenson (1850-1894). Le sue opere sconfinano dalla narrativa – per la quale è universalmente famoso – per invadere il teatro e la poesia.

Rimanendo nell’ambito della narrativa, parliamo del racconto “Il club dei suicidi” che fa parte della raccolta “Le nuove Mille e una notte” edito nel 1882.

Stevenson ci porta in un’indimenticabile e fascinosa Londra vittoriana e notturna, fatta di strade buie e vicoli ciechi, ma soprattutto di case con le finestre sbarrate dietro le quali avvengono i più efferati delitti.

Con una destrutturazione temporale che anticipa quella che prenderà sempre più piede nei decenni successivi, “Il club dei suicidi” ci parla – come quasi tutta l’opera di Stevenson – della dicotomia sfumata fra il bene e il male, fra la paura e il coraggio e fra l’ingenuità e l’arroganza.

Godibilissimo.

“L’avventura” di Michelangelo Antonioni

(Italia/Francia, 1960)

Su questo capolavoro della cinematografia mondiale è stato detto e scritto tanto.

E pensare che alla sua prima, al 13esimo Festival del Cinema di Cannes, venne fischiato…

Il 1960 è un anno storico per la nostra cinematografia, basta pensare che allo stesso Festival di Cannes a vincere la Palma d’Oro sarà “La dolce vita” di Fellini; e qualche mese prima, alla Mostra del Cinema di Venezia, aveva trionfato “La grande guerra” di Monicelli.

Ma tornando al capolavoro di Michelangelo Antonioni, basta rivederlo oggi, a distanza di oltre cinquant’anni, per capire – e godere al meglio – la sua forza e la sua innovazione narrativa, sia dal punto di vista della scrittura che da quello visivo.

La sequenza finale, ogni volta che la rivedo, mi lascia sempre più incantato.

“Il club dei bugiardi” di Mary Karr

(BUR, 2008)

La prima volta che ho letto il termine “memoir” mi è sembrato un po’ fighetto, mi sembrava la solita e banale scusa per non usare il termine italiano “autobiografia”.

Ma la differenza è sostanziale invece: l’autobiografia deve rispettare eventi e avvenimenti in maniera cronologica e fedele, mentre il memoir si basa sulla memoria pura che spesso si discosta dalla cronologia dilatando eventi ed emozioni in relazione al momento che sta vivendo chi scrive.

E questo “Il club dei bugiardi” è uno dei migliori esempi degli ultimi tempi.

Mary Karr ripercorre la sua infanzia dura e cruda a Leechfield (che letteralmente vuol dire campo di sanguisughe) nel Texas dei primi anni Sessanta, passata assieme a sua sorella maggiore di due anni Lecia e a una madre e un padre alcolisti, dove il complimento più educato era “Non saresti capace di svuotare uno stivale pieno di piscio neanche leggendo le istruzioni sotto al tacco”.

Oltre alle cicatrici indelebili e ai traumi che il rapporto burrascoso fra i suoi genitori le provocherà, la piccola Mary dovrà fare i conti con altri tipi di violenze…

Ma il suo libro bello e duro (proprio come doveva essere la vita di una bambina spesso abbandonata a se stessa nel Texas di quegli anni), scritto con uno stile limpido e scorrevole, ci dice anche come alla fine Mary abbia imparato a superare e convivere con il proprio dolore.

Tosto, davvero.

“Johan Padan a la discoverta de le Americhe” di Dario Fo e Giulio Cingoli

(Italia, 2002)

L’idea originale che esplode nella testa del genio Dario Fo – come lo stesso premio Nobel ha poi raccontato – per prima cosa viene immortalata su carta sotto forma di disegni.

Ed è da questa sorta di storyboard che Fo trae il monologo teatrale diviso in due atti – nato nel 1991, proprio a ridosso del cinquecentesimo anniversario della scoperta di Cristoforo Colombo – che viene poi tradotto e rappresentato in tutto il mondo, anche in Indios.

Per questa sua genesi visiva l’opera di Fo sembra fatta a posta per essere trasformata in un lungometraggio d’animazione.

E Giulio Cingoli, con la collaborazione dello stesso Fo, ci riesce benissimo, grazie anche alla voce del protagonista che viene data da un bravissimo Rosario Fiorello e alla splendida colonna sonora firmata da Fabrizio Baldoni, Gino De Stefani e Paolo Re.

Se nell’opera originale Johan segue lo stesso Cristoforo Colombo nel suo quarto viaggio nel Nuovo Mondo, nel film di Cingoli invece il giovane Padan ci arriva su una nave al comando del perfido capitano Narvaez, in compagnia di Pedro Hésteban de Reva detto Trentatrippe (doppiato da un ottimo Maurizio Mattioli).

Ma chi è Johan Padan? “E’ un Arlecchino – scrive lo stesso Dario Fo – proiettato suo malgrado da Bergamo nelle Indie, su una nave di Colombo. A forza di far ridere, riesce a rovesciare il mondo. E anziché esser divorato dai cannibali, li guida ad appropriarsi del cavallo e della polvere da sparo. Così potranno «scoprire» l’America da soli, alla faccia dei conquistadores”.

Il mistero – stavolta davvero poco “buffo” – è la totale indifferenza con cui questo bel cartone animato è passato troppo rapido nelle nostre sale alla sua uscita, e la sua totale latitanza dal piccolo schermo.

“Nausicaa della Valle del Vento” di Hayao Miyazaki

(Giappone, 1984)

Tornato nelle nostre sale, dove rimarrà solo fino a domani, “Nausicaa della Valle del Vento” è forse l’unico vero e proprio manga – nell’accezione classica – del geniale maestro dell’animazione che è Hayao Miyazaki, ispirato direttamente dalle sue strisce omonime, pubblicate all’inizio degli anni Ottanta.

Se l’ombra dell’olocausto atomico è presente in molte delle opere del maestro giapponese (per lui che è nato nel 1941 il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki è molto più di un semplice ricordo), “Nausicaa della Valle del Tempo” parte proprio 1000 anni dopo una disastrosa guerra planetaria.

Gli esseri umani sopravvissuti sono costretti a vivere ai margini del grande e incontenibile Mar Marcio, una sorta di foresta fluviale dominata da insetti di ogni dimensione, alcuni dei quali grandi come edifici.

Le piante del Mar Marcio emettono spore ed esalazioni velenose letali per gli esseri umani che, stolti, pensano di poter risolvere le cose ancora una volta con la violenza…

Grande manifesto ambientalista, venne presentato e supportato dal WWF alla sua uscita.

Anche se ufficialmente lo Studio Ghibli nasce solo nel 1985, “Nausicaa della Valle del Vento” è considerata la sua prima grande opera, frutto del genio e della collaborazione di Miyazaki con l’altro grande animatore nipponico Isao Takahata (regista del recente “Storia della principessa splendente”).

Che aspettate? Vi rimane solo fino a domani per vederlo sul grande schermo!

“Moon” di Duncan Jones

(UK, 2009)

Scritto dallo stesso Duncan Jones (figlio del Duca Bianco David Bowie) insieme a Nathan Parker, “Moon” è uno dei migliori film di fantascienza pura degli ultimi anni.

L’elio-3 è diventato la principale fonte energetica della Terra. La potente Lunar Industires lo ottiene dal sottosuolo lunare e lo stocca nella sua base Sarang, per poi inviarlo sulla Terra.

Il sistema di estrazione e stoccaggio è tutto automatizzato, necessita solo di un operaio che supervisioni i vari processi.

E Sam Bell (un bravissimo e alienato Sam Rockwell) è finalmente giunto alla fine del suo solitario triennio sul satellite terrestre. Mancano poche settimane prima del suo rientro a casa, sulla Terra, dove lo aspettano la piccola figlia e la moglie, ma Sam inizia ad avere strane e inquietanti allucinazioni…

Tranquilli, non ci sono mostri o alieni, ma l’allucinante film di Jones ci pone una altrettanto terrificante domanda: a che punto siamo disposti a spingerci per sfruttare le nostre risorse?

Bello e inquietante, proprio come dovrebbero essere i film di fantascienza.

Per la chicca: nella versione originale GERTY, l’intelligenza artificiale che gestisce Sarang, ha la voce morbida e inquietante di Kevin Spacey.