“Le donne vere hanno le curve” di Patricia Cardoso

(USA, 2002)

Tratto dall’omonima opera teatrale di Josefina Lopez, questo delizioso film ci racconta le difficoltà che la diciottenne Ana Garcia (interpretata magistralmente da America Ferrera che poi diverrà famosa a livello internazionale come protagonista della serie “Ugly Betty”) incontra nel crescere e nel diventare donna in una famiglia messicana che vive nei sobborghi di Los Angeles, visti soprattutto i suoi chili in più e le sue speciali doti scolastiche, che per la madre Carmen (una bravissima Lupe Ontiveros) sono davvero gravi e insopportabili difetti.

Patricia Cardoso firma un film tutto al femminile, dove gli uomini hanno ruoli secondari inversamente proporzionali ai doveri che invece hanno le donne all’interno di una classica famiglia latino americana, che poi è molto più latino che americana.

Ma, fortunatamente per lei, la giovane Ana sa quello che vuole…

Bello e istruttivo sul ruolo delle donne nella famiglia e nella società, e per questo poco conosciuto e apprezzato nel nostro Paese, fatto di tante veline e relativi calendari.

Da far vedere a scuola.

“Una e una notte” di Ennio Flaiano

(Adelphi, 1959-2006)

Leggere Ennio Flaiano è un dovere morale per ogni cittadino del mondo e per ogni italiano in particolare.

Con la sua malinconica e spietata ironia ha illuminato la nostra società sia dalle pagine scritte che dal grande schermo.

Questi due racconti ci parlano di altrettanti protagonisti diversi ma che sono “le facce della stessa medaglia”, come ha detto lo stesso Flaiano, divise fra dramma e farsa tipiche del nostro Paese.

E poi sullo sfondo del secondo c’è – non dichiarato – il set de “Le notti di Cabiria” di Federico Fellini che per molti anni fu amico intimo dello scrittore.

C’è bisogno di aggiungere altro?

“Sette uomini d’oro” di Marco Vicario

(Italia, 1965)

Questo spettacolare action è stato per molto tempo il film italiano più costoso e allo stesso tempo più esportato della nostra storia (e pensare che oggi è quasi impossibile trovarlo in DVD, soprattutto nella versione originale).

Con una sceneggiatura a orologeria, e bravissimi attori caratteristi (oltre a Rossana Podestà, Philippe Leroy e Gastone Moschin) all’uscita del film nelle sale ancora non troppo famosi, “Sette uomini d’oro” è l’ennesima dimostrazione della bravura e della versatilità del nostro grande cinema che sapeva fare tutto, e pure molto bene.

Girato fra l’Italia e la Svizzera, nella quale però allora era vietato anche solo riprendere gli esterni degli istituti di credito, “Sette uomini d’oro” paga lo scotto della morale dei tempi che voleva che il crimine non pagasse.

Ma nonostante ciò, rimane un gioiello cinematografico che stupisce e diverte anche oggi.

“Inside Out” di Pete Docter e Ronaldo Del Carmen

(USA, 2015)

La Pixar realizza un altro capolavoro.

Peter Docter e Ronaldo Del Carmen firmano un grande film che, come altri capolavori della casa cinematografica creata da John Lasseter, oltre a stupirci dal punto di vista visivo, ci incanta con la sua storia.

La fine dell’infanzia e l’inizio della pubertà sono indiscutibilmente un momento difficile, se poi ci mettiamo pure che i genitori dell’undicenne Riley decidono di trasferirsi dal Minnesota in California, sradicandola dalle sue amicizie e del suo ambiente, la cosa diventa ancora più complicata.

Ma le emozioni che gestiscono l’animo di Riley faranno di tutto per aiutarla. E non aggiungo altro, perché questo straordinario film deve essere visto e basta.

Fra i migliori film d’animazioni di tutti i tempi “Inside Out” ci regala fantastiche, incredibili e impensabili …EMOZIONI!

“La tela animata” di Jean-François Laguionie

(Francia/Belgio, 2011)

Già mi è capitato di ricordare che la Francia è il terzo paese al mondo, dopo Stati Uniti e Giappone, come produttore di cartoni animati.

E questo splendido “La tela animata” è indiscutibilmente il frutto di una grande tradizione visiva e artistica, degna da podio mondiale.

Attraverso la pellicola entriamo dentro un quadro i cui soggetti non riescono a vivere in simbiosi gli uni con gli altri. I personaggi Compiuti si sentono superiori per diritto agli Incompiuti (quelli che il pittore non ha terminato di rifinire) e soprattutto agli Schizzi, veri paria del quadro, di cui nessuno ha rispetto.

Ma l’amore fra Ramo (un Compiuto) e Claire (un’Incompiuta) avrà conseguenze imprevedibili che supereranno anche la cornice del quadro stesso…

Splendido cartone animato, con una bella sceneggiatura (scritta dallo stesso Laguionie insieme a Anik Le Ray), ma soprattutto con delle immagini indimenticabili grazie anche all’uso della tecnica mista che fonde immagini bidimensionali, tridimensionali e girato dal vero.

Tecnica complicata che ha protratto la lavorazione del film a quasi cinque anni. Fantastici anche i richiami a Picasso, De Chirico, Modigliani e De Pisis, solo per citarne alcuni.

“A che punto è la notte” di Nanni Loy

(Italia, 1994)

Cominciamo dal fatto che sono un fan di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, e che il loro omonimo romanzo è fra i miei preferiti in generale.

Aggiungiamoci pure che ad adattarlo per la televisione ci lavora Nanni Loy (coadiuvato da Laura Toscano e Franco Marotta post “Pompieri” e pre “Commesse”) e che da dietro la macchina da presa Loy dirige un grande e crepuscolare Marcello Mastroianni (già minato dalla malattia che pochi mesi dopo lo vincerà) attorniato da un cast di prim’ordine: Max von Sydow, Angela Finocchiaro, Leo Gullotta, Carlo Monni, Ennio Fantastichini, Sergio Fantoni e Alessandro Haber solo per citarne alcuni.

Il commissario Salvatore Santamaria (che Mastroianni aveva già interpretato vent’anni prima nello splendido “La donna della domenica” di Luigi Comencini, tratto sempre dal romanzo di Fruttero & Lucentini) si trova a dover risolvere lo strano caso dell’omicidio di Don Pezza (Carpentieri), prete fuori gli schemi e in odore di eresia, che viene fatto saltare in aria durante una predica.

Questo “A che punto è la notte” è forse l’ultima grande produzione Rai, prima che la parola sceneggiato venga definitivamente sostituita con quella più asettica e commerciale di “fiction”.

E’ un piacere vedere la mano di Loy (destinato anch’egli a scomparire pochi mesi dopo la messa in onda di questa sua ultima opera) che caratterizza il racconto visivo, e che è capace di attingere direttamente da quello che fu il nostro splendido cinema.

Per veri intenditori.

“Zazie nel metrò” di Louis Malle

(Francia/Italia, 1960)

In piena Nouvelle Vogue, Louis Malle porta sul grande schermo il geniale romanzo di Raymond Queneau “Zazie nel metrò”, sceneggiandolo insieme a Jean-Paul Rappeneau (che nel 1990 dirigerà lo splendido “Cyrano de Bergerac” con Gerard Depardieu).

Il risultato è uno spettacolare film visionario che anticipa di decenni nuovi linguaggi e metafore che verranno riprese da fior di registi e cineasti, fra cui Michel Gondry su tutti.

Per passare del tempo col suo nuovo amante, una madre vedova porta sua figlia Zazie, di dieci anni a Parigi, affidandola allo zio Gabriel (un sornione e strambo Philippe Noiret) che di mestiere fa la drag queen.

Incontrando e canzonando personaggi strani e inquietanti, come il satiro (che oggi chiameremmo giustamente pedofilo) interpretato da un bravo Vittorio Caprioli, Zazie sogna di andare in metropolitana, ma un improvviso sciopero glielo impedisce.

Quando, alla fine della sua vacanza parigina, la madre la riporta a casa, Zazie finalmente salirà sul metrò, ma sarà troppo stanca e finirà per addormentarsi proprio sul più bello.

Spettacolare!

“Django Unchained” di Quentin Tarantino

(USA, 2012)

Il grande, geniale e folle Quentin Tarantino ci regala un’altra stupenda pellicola da godere fotogramma per fotogramma.

E, come sempre, nei fiotti splatter di sangue, Tarantino ci mette un tema duro e spietato come il razzismo e le atroci persecuzioni che hanno subito i neri nell’America della prima metà dell’Ottocento.

Come accade spesso nella storia i più spietati non sono solo i padroni viziati e arroganti come Calvin J. Candie (un bravissimo, come sempre, Leonardo DiCaprio), ma i kapò come il “negro Stephen” (uno stratosferico Samuel L. Jackson da triplo Oscar), vera mente oscura di Candyland.

Ma con l’arrivo del dottor King Schultz (un affabile e implacabile Christoph Waltz che si aggiudica la sua seconda statuetta come miglior attore non protagonista) e dell’uomo libero Django (Jamie Foxx) le cose cambieranno per sempre.

Oscar (ovviamente) anche come miglior sceneggiatura originale, “Django Unchianed” è l’ennesimo omaggio del cineasta statunitense al grande cinema italiano (almeno c’è lui che si ricorda chi siamo stati…) che ha il suo apice nella scena con Franco Nero e lo stesso Foxx, che gli dice il suo nome:

– Django …la D è muta – dice Foxx.

– Lo so! – risponde stizzito Franco Nero.

EDDAJE (stavolta la D non è muta!)

“L’abbraccio” di David Grossman

(Mondadori, 2010)

Se avete passato una pessima giornata e volete riconciliarvi col mondo, potete leggere questo breve racconto di David Grossman, illustrato da Michal Rovner, e molto di quel maledetto stress svanirà.

Nei pochi minuti che impiegherete per leggerlo tutto, Grossman vi racconterà come una madre può spiegare al piccolo figlio che sta crescendo il motivo per cui gli esseri umani hanno inventato gli abbracci, e perché ne hanno così tanto bisogno lungo la loro strada.

Meno di dieci minuti per fare pace con il mondo.