“Submarine” di Richard Ayoade

(USA/UK, 2010)

Questa deliziosa pellicola intimista ci racconta della prima grande battaglia della vita, dura e senza esclusione di colpi, che è l’adolescenza. Così seguiamo l’adolescente Oliver (Craig Roberts) che tenta di diventare popolare a scuola e, soprattutto, farà di tutto per conquistare la sua compagna Jordana.

A complicare le cose, però, ci si mette pure l’ex fidanzato della madre che, casualmente, si trasferisce nella casa accanto alla loro, proprio nel culmine di una profonda crisi fra i suoi genitori Jill (Sally Hawkins) e Lloyd (Noah Taylor). Ad Oliver non rimane che ideare astrusi e “diabolici” piani per raggiungere i suoi scopi…

Con chiarissimi richiami a quel genio visionario di Michel Gondry, “Submarine” ci regala davvero 97 minuti di bel cinema.

Prodotto anche da Ben Stiller (che appare in un piccolo cameo come attore di una soap opera) e diretto da Richard Ayoade (interprete, fra le altre cose, della serie “The IT crowd” e, assieme allo stesso Stiller, del demenziale “Vicini del terzo tipo”) “Submarine” è tratto dall’omonimo romanzo di Joe Dunthorne.

Ho scritto omonimo, ma in realtà solo per noi fortunati lettori italiani non è così: perché il romanzo di Dunthorne nel Belpaese è stato tradotto sagacemente: “Breve indagine sotto il pelo dell’acqua”.

Ma tranquilli, l’edizione cartacea è fuori catalogo e reperibile solo nel mondo dell’usato. E vi prego, non parliamo di edizione digitale …è contro Natura!

“La signora in giallo” di Peter S. Fischer, Richard Levinson e William Link

(USA, dal 1984 al 1996)

Dite quello che vi pare, i delitti educati e senza sangue che si consumano (soprattutto quelli delle prime serie) nella ridente – ma in continuo aggiornamento del numero di abitanti… – Cabot Cove mi stregano sempre.

Ho cercato invano, per anni, una maglietta con il logo dello sceriffo di Cabot Cove, ideale per andare a dormire cullato dai ovattati e innocui sogni. E non facciamo troppo i prevenuti, perché a creare l’arzilla vedova scrittrice di fama internazionale, nonché segugio implacabile, sono stati Peter S. Fischer, Richard Levinson e William Link già autori di serie collaudate e di grande successo come “Il tenente Colombo” o “Ellery Queen”.

Come novità, rispetto alle altre, scelsero una donna come protagonista, e chi meglio di una Miss Marple a stelle e strisce?

Il titolo in originale della serie “Murder, She Wrote” richiama direttamente “Murder, She Said”, titolo orignale del film del 1961 “Assassino sul treno”, tratto dal romanzo di Agatha Christie “Istantanea di un delitto” del 1957.

Nel film a vestire i panni della Marple è la fantastica e indimenticabile Margaret Rutherford, mentre l’altrettanto indimenticabile Angela Lansbury – che nonostante la sua incredibile e decennale carriera cinematografica e teatrale legherà in maniera indelebile il suo viso a quello di Jessica Fletcher, nonostante poi sia un’inglese DOC – la interpreta in “Assassino allo specchio” del 1980 accanto a Liz Taylor e Tony Curtis.

Oltre al rebus legato all’individuazione del colpevole, le avventure della nostra Jessicona non hanno molto in comune con quelle frutto della penna di Agatha Christie.

A Cabot Cove, nonostante una continua e inesorabile strage, si vive un’aria serena e domenicale, e spesso subito dopo l’arresto del colpevole – sempre reo confesso e prodigo di spiegazioni dettagliate – ci si fa tutti una bella risata.

Ma chissenefrega, con quella casa sempre perfetta e con quella carta da parati e quelle passamanerie, sono sempre cinquanta minuti ben spesi davanti alla tv, magari sbracati sul divano!

“Il baco da seta” di Robert Galbraith alias J. K. Rowling

(2014, Salani)

Eccoci alla seconda avventura del detective privato Cormoran Strike, reduce della guerra in Afghanistan e figlio illegittimo della grande rock star Johnny Rockeby, nonché frutto del genio di J. K. Rowling che per lui usa lo pseudonimo di Robert Galbraith.

Forse non avrà la stessa potenza narrativa del primo (“Il richiamo del cuculo”), ma Strike è sempre un eroe tosto e fascinoso che combatte contro le ingiustizie e, soprattutto, contro il feroce dolore che la protesi alla sua gamba (parte della quale è rimasta in Afghanistan) spesso gli procura.

Mettiamoci poi che questo sanguinoso “Baco da seta” è ambientato nel mondo dell’editoria inglese che, come probabilmente tutte le altre editorie planetarie, è pieno di geni ma anche di squali e potenziali assassini.

Parlando di editoria va sottolineato come la Rowling, a differenza di molti famosi autori nostrani per i quali è peccato mortale anche solo pensare al termine “ebook” (accettando però di buon grado che l’edizione digitale del loro ultimo libro abbia vergognosamente lo stesso prezzo, o quasi, di quella cartacea), parli serenamente di edizioni digitali e di auto-pubblicazione on line senza paura di essere fulminata all’istante.

“Le avventure di Lupin III” di Hayao Miyazaki, Isao Takahata e Masaaka Osumi

(Giappone, 1971-1972)

Il debutto dell’inafferrabile Arsenico Lupin III risale al 1967 sulle pagine del settimanale “Futabasha”, frutto del genio del disegnatore Monkey Punch (al secolo Kazuhiko Katō).

Visto il successo del manga, venne deciso di realizzare una serie animata per la televisione in 23 puntate. A dirigerla vennero chiamati Isao Takahata, Masaaka Osumi e il grande Hayao Miyazaki.

Di tutte le successive serie e lungometraggi che vennero prodotti, dedicati al ladro più simpatico della storia, questi 23 episodi sono quelli che preferisco in assoluto. Goemon, Jigen, la prosperosa Fujiko e il grande Zazà Zenigata vivranno mille altre avventure, ma quelle col buon vecchio Arsenico in giacca verde sono le migliori, così come quella del lungometraggio, realizzato sempre dal maestro Miyazaki “Lupin III – Il castello di Cagliostro” del 1979.

Vera e propria storia della televisione.

“The Imitation Game” di Morten Tyldum

(UK/Germania, 2014)

Appena finito di vedere questo splendido film – tratto dal libro di Andrew Hodges, scritto da Graham Moore e diretto dal norvegese Morten Tyldum – non sono riuscito a fare a meno di pensare che nel nostro Paese c’è ancora gente che, dietro atteggiamenti perbenisti, dissimula la propria ottusa e meschina omofobia.

Ma torniamo al film: il carattere singolare di Alan Turing (interpretato da uno straordinario Benedict Cumberbatch che molti dicono essersi già prenotato l’Oscar come migliore attore) e soprattutto la sua incredibile genialità lo hanno portato fin dall’infanzia alla solitudine.

E l’essere di origini ebraiche e soprattutto omosessuale (cosa ai suoi tempi contro la legge) lo porteranno a vivere una vita breve, umiliante e desolante.

Questo nonostante abbia fatto una delle cose più grandi del suo tempo: salvare numerose vite umane (circa 14 milioni!) facendo terminare in anticipo la Seconda Guerra Mondiale.

Da vedere a far vedere a scuola, soprattutto a quegli adolescenti così solerti nel commentare o deridere gli altri sui social.

“L’arte del sogno” di Michel Gondry

(Francia/Italia, 2006)

Dopo lo strepitoso “Se mi lasci ti cancello” (che il cielo abbia pietà di colui che ha scelto il titolo in italiano…) Michel Gondry torna a casa e gira a Parigi questo “L’arte del sogno” con protagoniste due star internazionali come Gael García Bernal e Charlotte Gainsbourg.

Chi, per paura di affrontare una delusione d’amore, non si è rifugiato in un sogno pur sapendo che così, molto probabilmente, il treno sarebbe passato senza più tornare?

Fra i più geniali e visionari registi degli ultimi anni, Michel Gondry ci spiega come affrontare e convivere con queste paure intime e profonde.

Da vedere, soprattutto, quando ci si è innamorati di qualcuno che ancora non ci ricambia.

“Allegro non troppo” di Bruno Bozzetto

(Italia, 1976)

Qui parliamo di circa 85 minuti splendidi e indimenticabili, nati dalla matita di Bruno Bozzetto e scritti insieme a Guido Manuli e il giovane Maurizio Nichetti.

Uno dei dieci film da portare sull’isola deserta, omaggio dichiarato al genio di Walt Disney e al suo “Fantasia”, “Allegro non troppo” ci disegna alcuni grandi brani di musica classica, su tutti – almeno per me – il Bolero di Ravel.

Oltre al genio artistico di Bozzetto e dei suoi collaboratori, spiccano gli intervalli girati oniricamente in bianco e nero dentro un gran teatro vuoto, con l’orchestra composta da arzille musiciste attempate, un feroce e spietato direttore d’orchestra, uno scalcinato presentatore – impersonato da un bravissimo Maurizio Micheli – e un muto disegnatore – interpretato da Nichetti, personaggio molto simile a quello che impersonerà nel suo esordio alla regia “Ratatataplan” del 1979 – che si innamora della bella ragazza delle pulizie.

Un’opera straordinaria, irriverente e geniale.

Da far vedere a scuola.

“Storia di una ladra di libri” di Brian Percival

(USA/Germania, 2013)

Non sono molti i film che parlano della Germania vittima della Germania, ovvero di quella parte della popolazione tedesca che, nel proprio piccolo, cercò in tutti i modi possibili di arginare o limitare la follia sanguinaria del Terzo Reich.

Come questo film diretto da Brian Percival – ispirato al best seller del 2005 “La bambina che salvava i libri” dell’australiano Marcus Zusak – che, grazie anche alle splendide interpretazioni dei protagonisti – fra cui spiccano Geoffrey Rush, Emily Watson e Sophie Nélisse – ci racconta la storia della dodicenne Liesel, abbandonata dalla madre, e adottata da Rosa e Hans Hubermann.

Nella nuova famiglia Liesel imparerà a leggere e ad amare i libri, ma siamo in Germania alle soglie della Seconda Guerra Mondiale…

Davvero un bel film di formazione, che ci ricorda – e non è mai abbastanza – l’orrore della guerra e delle discriminazioni.

“Cattivissimo Me 2” di Pierre Coffin e Chris Renaud

(USA, 2013)

L’era digitale ci sta regalando ottimi film d’animazione oltre a quelli della Pixar.

Fra questi ci metto senza dubbio alcuno “Cativissimo Me” sia il primo, ma soprattutto il secondo per il ruolo più cruciale, rispetto al primo, dei Minions, i goffi pasticcioni e irresistibili assistenti di Gru.

E nel finale del secondo andiamo oltre, con una vera e propria clip nella migliore tradizione delle più “cafone” e virili boyband degli ultimi decenni, i Minions cantano la storia d’amore dei protagonisti.

E sempre nella migliore della tradizioni delle più importanti boyband il testo la fa da padrona, eccolo a beneficio dei più critici:

“Ah… lapo da

Talachi matol lina

Ah…

Labadi hochi

La notaaa

Wu planachii… leh ji

Fuh pa pu seh

Lamaniiii

Smutander…

Lakareh lireywii

Gih leh byaaa

Mah ko rehhh

Smutander..

Lapahkreh lehguari

Teh lah keh

Lah peh leh

Smutander..

Lahcheh pee libeeda

Ee leh guaaa

Lah gua rehhh

Ley show lee leh duuu

Lah keh rey dee zuuu

Bleh ahh boh dee zu re kah

Zohh reh kah al

Smutander…

Ah tu, leh ah mo ti smutander…”

SMUTANDER A TUTTI!

“Gigolò per caso” di John Turturro

(USA, 2013)

Questa elegante e ironica commedia, scritta diretta e interpretata da John Turturro, vanta un cast stellare: Woody Allen, Sharon Stone, Liev Schreiber, Vanessa Paradis e Sofia Vergara.

Parlare con classe ed eleganza di prostituzione non è facile, ma farlo con ironia lo è ancora di più.

Certo, se il “corruttore” del protagonista – il buon Fioravante/Turturro – ha la faccia di Woody Allen (e la voce, merita di essere ricordato, di un bravissimo Leo Gullotta che davvero non ci fa mancare troppo quella dell’indimenticabile Oreste Lionello) la strada è in discesa, ma comunque merito a Turturro che firma una sofisticata commedia dedicata all’amor profano, con sottili e delicati accenni a quello platonico.

Sullo sfondo una crepuscolare New York.