Eduardo

Il 31 Ottobre del 1984 scompariva uno dei più grandi drammaturghi del Novecento, il secondo italiano tradotto nel mondo dopo Luigi Pirandello.

E proprio da Pirandello parte il mio ricordo del grande Eduardo De Filippo, che fu uno dei primi, insieme ai fratelli Titina e Peppino, a portare sul palcoscenico le opere del grande autore siciliano, che di alcune versioni interpretate dai tre fratelli curò anche la regia.

Anche da questo stretto contatto Eduardo, figlio naturale del grande Eduardo Scarpetta, acquisisce la voglia di scrivere oltre che di recitare. Le sue opere, come quelle del suo maestro, spaccano gli schemi e, raccontando vicende di semplici e comuni mortali, ci narrano la nostra società e la nostra anima.

E’ inutile chiedermi quale commedia eduardiana io preferisca: tutte, in relazione poi al momento in cui fluttua la mia vita. Non posso non considerare “Questi fantasmi” o “Napoli milionaria”, ma mi sentirei drammaticamente in colpa a non portare sull’isola deserta “Il sindaco del Rione Sanità” o “La grande magia”.

Una cosa è certa però, a rivederle tutte comincerei senz’altro da “Natale in casa Cupiello “ e “Filumena Marturano”, che sono fra le due più grandi e struggenti metafore del nostro Paese.

E pensare che alla prima di “Filumena Marturano” lo stesso Eduardo fu costretto a lasciare precipitosamente il teatro perché inseguito e minacciato dai paladini del pubblico pudore indignati con lui per aver portato sulle scene una così “insulsa e vergognosa storia”, evidentemente piccati dalla grande somiglianza ed empatia che nutrivano per Domenico Soriano, aggiungerei io.

Una sorte simile toccata pure al suo maestro Pirandello, che dovette fuggire dal teatro la sera della prima di “Sei personaggi in cerca d’autore”.

Ma possiamo stare tranquilli ormai: al momento nel nostro Paese nessun autore rischia di essere inseguito per l’attuale drammaticità della sua opera  …che tristezza!

“I Love Movies” di Paul Soter

(USA, 2007)

Bisogna ricordare, prima di tutto, che questa deliziosa quanto singolare commedia è del 2007, anno in cui le videocassette ancora giravano nel mercato dell’home video.

Oggi, che anche i dvd sono morti, sembra davvero anacronistico ambientare un film in una videoteca ma, a parte ciò, questa strana ma divertente storia d’amore merita di essere vista fino all’ultimo fotogramma (lo so che oggi ci sono i frame! Lo so, ma vista l’ambientazione va bene cosi…).

Neil, un bravo Cillian Murphy, possiede un piccola videoteca specializzata in film classici e d’autore. La sua vita, fatta di VHS e divano su cui vederli, viene stravolta da Violet, una misteriosa quanto affascinante cliente (una sensuale e davvero attraente Lucy Liu).

L’amore ha mille strade per arrivare al cuore di una persona, anche di quello che stenta a fidarsi degli altri…

Un gran bell’esempio di cinema indipendente americano, per chi ama le commedie sentimentali e i vecchi film.

Francois Truffaut

Il 21 ottobre del 1984 se ne andava per un rapido quanto implacabile tumore al cervello uno dei più grandi cineasti del Novecento, l’indimenticabile Francois Truffaut.

In molti, in questi, giorni lo stanno ricordando. Ma la prima cosa che farei per omaggiarlo è andare a Parigi e vedere la mostra a lui dedicata promossa dalla Cinematheque Francaise, in cui oltre a brani di suoi film rieditati, fotografie e manifesti c’è la ricostruzione del suo studio privato con tanto di scrivania e libreria.

La seconda – che è logisticamente ed economicamente molto più fattibile per le mie attuali finanze – è rivedere tutti i suoi film.

Anche se qualcuno lo conosco quasi a memoria, ogni volta che li rivedo scopro un angolo struggente che prima avevo ignorato.

Ricordare una morte è comunque triste, ma ogni volta che penso che quel cavolo di tumore che ci ha privato delle opere che avrebbe realizzato nel corso degli anni, divento ancora più triste.

E poi lui era l’unico che poteva parlare con gli extraterrestri, anche secondo Spielberg!

“Gravity” di Alfonso Cuarón

(USA/UK, 2013)

Scritto da Alfonso e Jonàs Cuarón, con la collaborazione ufficiosa dello stesso George Clooney, questo film ci racconta come il viaggio dentro noi stessi sia quello in realtà più difficile e pericoloso.

Con una brava Sandra Bullock e un gaiardo Clooney, il messicano Cuarón – già regista de “Y tu mamá también – Anche tua madre”, “I figli degli uomini” e “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban” (il mio preferito della saga) – firma un viaggio claustrofobico nello spazio aperto, con delle scene indimenticabili e mozzafiato, anche se il vero abisso è quello dentro di noi…

Finito il film ho aperto la finestra e respirato a pieni polmoni, che sudata!

“L’oro di Roma” di Carlo Lizzani

(Italia/Francia, 1961)

All’alba del 16 Ottobre del 1943 gli appartenenti alla Comunità Ebraica del ghetto di Roma vennero barbaramente deportati nei campi di sterminio dalle truppe nazi-fasciste che governavano la città, nonostante la stessa Comunità avesse pagato ai tedeschi un riscatto di oltre 50 chili d’oro.

Il nostro cinema – e quindi anche il nostro Paese – impiegò quasi vent’anni per raccontare pubblicamente per la prima volta l’ignobile tragedia che si consumò in uno degli angoli più antichi della nostra Capitale.

Anche se possiede delle scene davvero toccanti, a livello di sceneggiatura forse questo film non è l’opera migliore di Carlo Lizzani, ma ha il merito comunque di essere stata la prima a raccontare la deportazione degli ebrei romani.

Da far vedere a scuola, per non dimenticare. Mai.

“Hollywood Party” di Blake Edwards

(USA, 1968)

Che Blake Edwards sia stato uno dei maestri indiscussi della più esilarante commedia americana è un dato di fatto.

Che fosse un mago, poi, a costruire nei suoi film scene di feste caotiche, surreali e irresistibili non lo si scopre oggi, quella di “Colazione da Tiffany” fa ancora storia.

E se Edwards decide di fare un intero film su una festa il cui protagonista è quel genio istrionico di Peter Sellers – che per l’occasione creerà un personaggio nuovo e strepitoso come fu per Clouseau – il risultato rimarrà negli annali del cinema e del costume planetario.

Hrundi Bakshi, l’indiano ottimista gentile e catastrofico, è ancora oggi un’icona comica potente ed efficace, basta pensare al Raj di “The Big Bang Theory” o anche a Mr. Bean, suo figlio diretto anche se non indiano.

Anche se lo conosci a memoria non riesci a non ridere rivedendolo la centesima volta, a partire dalla prima scena in cui suona la tromba… scommetto che anche adesso hai sorriso ripensandoci!

“Boxtrolls – Le scatole magiche” di Graham Annable e Anthony Stacchi

(USA, 2014)

Tratta dal romanzo di Alan Snow “Arrivano i mostri!”, questa pellicola, interamente girata con la tecnica raffinata e certosina dello stop motion, è davvero una delle più belle e delicate degli ultimi tempi.

Ci sono molti modi per parlare ai più piccoli di pregiudizi e preconcetti, di apparenze e falsi perbenismi, ma difficilmente lo si riesce a fare come in questo film.

Per questo lo reputo adatto anche per tutti quegli adulti che continuano ad aggrapparsi a gretti fanatismi e all’obsoleta, quanto ottusa, paura del diverso; anche se certamente questi ameni adulti non hanno ormai più un briciolo della fantasia e della sensibilità dei bambini …poveretti.

Se nella versione originale Ben Kingsley è stato osannato per la sua bravura nel donare la voce all’infido Archibald Snatcher, nella nostra edizione merita un altrettanto grande plauso Massimo Lopez.

“Alif l’invisibile” di G. Willow Wilson

(Il Saggiatore, 2013)

Vincitore del World Fantasy Award 2013 come miglior romanzo, “Alif l’invisibile” ci porta in un mondo fatto di cose visibili e, soprattutto, di cose invisibili che da secoli accompagnano gli uomini nei loro sogni e nei loro incubi, sullo sfondo di quell’evento che ha segnato la storia mondiale nel recentissimo passato: la primavera araba.

Alif – lettera dell’alfabeto arabo e allo stesso tempo nickname dietro quale si nasconde un ragazzo – è un bravissimo e geniale hacker che clandestinamente combatte e argina la pesante censura di un emirato arabo che tenta violentemente di controllare la rete e i suoi utenti.

Ma la Mano delle censura è sulle sue tracce, e Alif sarà costretto ad avventurarsi in un incredibile, doloroso e allo stesso tempo fantastico viaggio nel mondo del surreale dove le cose visibili vengono oscurate da quelle invisibili, che da secoli l’uomo venera e teme.

Ma di fatto il web, in cui ormai sempre più persone passano il loro tempo, non ci permettere di diventare invisibili?

Da leggere.

“Nikita” di Luc Besson

(Italia/Francia, 1990)

Non ho resisto! Dopo aver visto al cinema “Lucy”, ieri sera mi sono rivisto in “Nikita”.

La prima volta lo ammirai al cinema nel lontano 1990, e mi rimase talmente impresso che ancora oggi ricordo la sala in cui lo vidi.

Besson si era già fatto conoscere con “Subway”, ma con “Nikita” ruppe gli schemi e divenne un regista ambito anche da Hollywood.

Con delle scene d’azione mozzafiato e una sublime colonna sonora, Besson ci racconta la storia di una ragazza, neanche vent’enne, “fuori” e ormai senza speranza che lo Stato – sapientemente cinico – decide di “educare” ai proprio loschi e indicibili scopi. Ma Nikita alla fine riscoprirà la sua anima…

Una splendida e indimenticabile interpretazione della bellissima Anne Parillaud (che rimarrà fatalmente legata a questo personaggio) e un’altrettanta strepitosa regia fanno di “Nikita” un cult degli anni Novanta, che ancora oggi si continua a copiare (la lunga lista dei remake e degli spin-off televisivi la dice lunga), dal quale nascerà un nuovo tipo di donna-eroina cinematografica che troverà uno dei suoi culmini in “Kill Bill”, realizzato oltre 12 anni dopo.

Per la chicca: non ci scordiamo la piccola ma indimenticabile interpretazione di Jean Reno nei panni inquietanti dell’implacabile “eliminatore”.

“Il gigante di ferro” di Brad Bird

(USA, 1999)

Prima di approdare alla Pixar per dirigere “Gli Incredibili” e “Ratatouille”, Brad Bird firma questo stupendo cartone animato nel formato tradizionale, tratto dal noto libro per ragazzi “L’uomo di ferro” dell’inglese Ted Hughes.

Nella provincia americana di fine anni Cinquanta, in piena guerra fredda e con l’incubo dell’invasione sovietica, il piccolo Hogarth fa amicizia con un gigante di ferro, probabilmente venuto da un altro pianeta.

Al suo nuovo amico Hogarth insegnerà a parlare la nostra lingua e, soprattutto, a giocare. Ma, come sempre, i problemi li creeranno gli adulti…

Davvero un bella pellicola d’animazione contro ogni tipo di guerra, piaga della quale, noi esseri umani, non sembriamo proprio poter fare a meno.