“Cercando la Garbo” di Sidney Lumet

(USA, 1984)

Estelle Rolfe (una grande Anne Bancroft) è una signora volitiva, pronta a combattere ogni tipo di ingiustizia nel mondo.

Questo suo carattere le è costato molte cose nella vita, fra cui il marito che da un decennio si è risposato, ma non l’amore del suo unico figlio Gilbert (Ron Silver), mite contabile in una grande società, e sposato con la viziata ed egocentrica Lisa (un’antipatica quanto brava Carrie Fisher).

L’equilibrio nella vita di Gilbert viene però travolto da una tremenda scoperta: la madre ha un cancro al cervello non operabile, e le rimangono pochi mesi di vita. Arrabbiata, ma non disperata, Estelle ha un solo desiderio prima di morire: conoscere Greta Garbo, il mito della sua vita.

Per accontentarla Gilbert sarà costretto a fare un viaggio, soprattutto dentro se stesso, che lo cambierà per sempre.

Il maestro Sidney Lumet firma questa deliziosa e malinconica pellicola sull’amore materno, sul senso della vita e suoi sogni che ognuno coltiva nell’intimo, ma anche su uno dei più grandi miti del Novecento: la divina Greta Garbo.

Sono passati più di settant’anni dall’uscita dell’ultimo film interpretato dalla diva svedese, ma il suo fascino da dea è ancora intatto.

Provate a rivedere la scena delle risate in “Ninotchka” senza alzare involontariamente il sopracciglio, e ne riparliamo…

“Marty – Vita di un timido” di Delbert Mann

(USA, 1954)

Cominciamo col dire che questo è uno dei 100 film che porterei su un’isola deserta.

Marty (uno straordinario Ernest Borgnine) ha 34 anni, vive con la madre vedova e fa il macellaio, lavoro che dieci anni prima ha dovuto accettare per mantenere i suoi numerosi fratelli che adesso sono tutti sposati e sistemati.

La sua età e, soprattutto, il suo aspetto da orso lo rendono impacciato con le donne, e ogni giorno che passa la cosa diventa sempre più pesante visto anche che nessuno – a partire dalla madre – evita di ricordagli che uno dei primi doveri sociali di un uomo è quello di sposarsi.

Una sera, in un dancing, assiste per caso all’umiliante scaricamento di una ragazza “racchia” da parte di un arrogante cavaliere occasionale.

Per solidarietà fra “piombi” (così vengono definitivi nello slang del momento i pesi morti che nessuno vuole frequentare) Marty le si avvicina consolandola.

I due passeranno una serata indimenticabile, confrontandosi nell’intimo per la prima volta con un altro essere vivente che finalmente comprende le proprie più profonde debolezze.

Marty, prima di congedarsi, promette a Clara (una bravissima Betsy Blair) di richiamarla il giorno seguente per andare poi la sera al cinema.

Ma la mattina, già in chiesa e poi al bar, tutti lo prendono in giro per essersi fatto vedere accanto a una “racchia” del genere. Anche sua madre, per paura di essere relegata al ruolo scomodo di suocera invadente, lo convince a non richiamarla.

La purezza d’animo di Marty però riuscirà a salvarlo …il tutto raccontato in un magico bianco e nero d’epoca.

Da vedere e rivedere!

Questa bellissima pellicola, scritta da Paddy Chayefsky – che merita di essere vista ogni volta che si presenta l’occasione – ha fatto incetta di premi in tutto il mondo, a partire da 4 Oscar (fra cui uno meritatissimo a Borgnine e un altro a Chayefsky) e la Palma d’Oro a Cannes.

E aggiungo pure che secondo me Terrence McNally si è ispirato a questo film per scrivere la sua struggente commedia teatrale “Frankie and Johnny in the Clair de Lune”, che nel 1987 divenne uno dei maggiori successi off-Broadway, e che nel 1991 Garry Marshall portò sul grande schermo col titolo “Paura d’amare” con Al Pacino e Michelle Pfeiffer.

Da vedere.

“Falso tracciato” di Mike Newell

(USA, 1999)

Mike Newell, regista inglese di grande esperienza – autore, fra gli altri, di film come “Ballando con uno sconosciuto”, “Quattro matrimoni e un funerale” e ”Donnie Brasco” – firma una sfiziosa e insolita commedia ambientata nel mondo dell’aeronautica civile, con un cast che poco tempo dopo sarebbe diventato stellare.

Nick Falzone (John Cusack) è uno dei migliori controllori di volo del centro di controllo aereo di New York che gestisce il traffico di tre aeroporti: il “J.F.K:”, il “La Guardia” e il “Newark”, praticamente uno dei centri nevralgici aerei degli USA.

Anche se il suo è uno dei lavori più alienanti al mondo – per cui molti colleghi diventano preda di gravi e devastanti esaurimenti nervosi – Nick conduce una vita tranquilla e appagante.

E’ felicemente sposato con Connie, sua fidanzata del liceo – interpretata da una splendida Cate Blanchett che come bravura forse batte tutti in questo film – ha due figli e qualche serena storia extraconiugale.

Ma a rompere il candido equilibrio arriva l’enigmatico quanto affascinante collega Russell Bell (Billy Bob Thornton), un controllore forse ancora più bravo di lui, con una moglie tanto giovane quanto sensuale, “incarnata” – è proprio il caso di dirlo… – da una straripante Angelina Jolie, ma…

Davvero una pellicola avvincente, da vedere, anche se possiede una sorta di “maledizione” visto che spesso – suo malgrado – riporta alla mente immagini funeste.

Su tutte l’inquadratura finale, nella quale appare la scritta “The End” in cui un grande jet di linea passa accanto alle Torri Gemelle.

L’11 settembre 2001 ha cambiato il mondo, a partire dal nostro immaginario.

“In nome del popolo italiano” di Dino Risi

(Italia, 1971)

Oggi, 23 maggio, desidero ricordare l’infame attentato di Capaci di ventidue anni fa parlando di uno dei più belli e controversi giudici mai rappresentati sul grande schermo: Mariano Bonifazi, interpretato da uno stratosferico Ugo Tognazzi che, in questa pellicola diretta da Risi – e scritta da Age e Furio Scarpelli – vince ai punti contro un altrettanto cosmico Vittorio Gassman, che invece dona vita all’industriale corrotto e corruttore Lorenzo Santenocito.

Chi appartiene alla mia generazione e non ha visto questo film, forse non può comprendere a pieno la vera storia della nostra società e della nostra politica di questi ultimi cinquant’anni.

Fra poche settimane inizieranno i Mondiali di Calcio in Brasile, e la scena finale ce la dice lunga su quanto – e sé – gli italiani sono cambiati e sul perché delle loro scelte sociali e politiche.

Questo film è di fatto un documento storico e civile sul nostro Paese che andrebbe studiato a scuola!

“La ‘parte’ degli angeli” di Ken Loach

(UK/Francia/Belgio/Italia, 2012)

Ogni volta che vedo un film di Ken Loach non posso fare a meno di pensare alle opere immortali di Pier Paolo Pasolini e Fabrizio De André dedicate agli ultimi della società.

Questo commovente film, ambientato nella fredda Glasgow, ci racconta la storia di Robbie (un bravissimo Paul Brannigan), figlio irrequieto della periferia che, ancora giovanissimo, ha già fatto la sua esperienza di carcere per avere massacrato di botte – sotto l’effetto della cocaina – un coetaneo per futili motivi.

Il suo destino sembra segnato dall’ambiente senza speranza in cui vive ma Leonie, la sua compagna, sta per partorire e Robbie cerca in ogni maniera di cambiare vita.

A dargli un’ultima possibilità sarà – involontariamente – l’assistente sociale Harry che lo sorveglia durante i suoi lavori socialmente utili, avvicinandolo casualmente al mondo degli estimatori dei whisky pregiati…

Una bellissima commedia della speranza nella grande tradizione del Free Cinema inglese di cui Loach è ancora e sempre il più grande e rappresentativo autore. Ogni opera del regista inglese è una grande ode civile.

E pensare che anche noi una volta facevamo film così …sob!

“Il maestro di violino” di Giovanni Fago

(Italia, 1976)

Nel prestigioso Conservatorio “Morlacchi” di Perugia spicca l’insegnante di violino Giovanni Russo (Domenico Modugno), sia per la sua bravura che per la sua riservatezza.

La giovane allieva Laura (una carina quanto totalmente inespressiva Rena Niehaus), figlia della Contessa di Sansevero (principale sovvenzionatrice del Conservatorio), si invaghisce dell’uomo che però nasconde un triste segreto…

Un vero polpettone doc con tutti i crismi, fazzolettoni bianchi per le lacrime finali compresi (nonostante il titolo che sembra quello classico di un pecoreccio tanto di moda all’epoca).

Il grande Mimmo Modugno, che sul palcoscenico – sia per cantare che per recitare – non aveva rivali (o quasi), davanti alla macchina da presa invece rimane sempre un po’ impacciato.

Ma anche questo fa parte del fascino trash di questa pellicola realizzata comunque da ottimi artigiani cinematografici (come era nella nostra grande tradizione ormai andata).

Due chicchette: i titoli di testa con scorci da cartolina di Perugia, e i dialoghi da fotoromanzo fra Russo e la volitiva e glaciale Contessa di Sansevero.

“Kiki consegne a domicilio” di Hayao Miyazaki

(Giappone, 1989)

Grazie alla Mikado di Andrea Occhipinti finalmente possiamo rivedere questo splendido film del maestro Miyazaki realizzato nel lontano 1989, quando da noi era considerato “solo” uno degli autori di “Le avventure di Lupin III” e “Heidi”.

Tratta dal romanzo di Eiko Kadono, quest’opera di Miyazaki ci racconta la formazione della giovane strega Kiki che a 13 anni, come da tradizione, lascia i genitori per passare un anno da sola in un’altra città.

Ma, come in ogni pellicola del grande regista, non è solo la storia che conta, ma anche le atmosfere e la poesia delle immagini, che sono sublimi.

Da vedere, come ogni altro frutto dell’ingegno del maestro giapponese.

“Il curioso caso di Benjamin Button” di Francis Scott Fitzgerald

(Feltrinelli, 2013)

Ho acquistato e letto questo breve racconto del grande Francis Scott Fitzgerald perché sono innamorato del film “Il curioso caso di Benjamin Button” che David Fincher ha realizzato nel 2008.

Non sono poche le differenze fra le due opere, sia al livello strutturale che per molti altri particolari secondari, come per esempio l’adattamento cinematografico slitta temporalmente di più di mezzo secolo rispetto al racconto.

E’ inutile che mi chiedete quale preferisca, dopo averlo letto, amo anche questo racconto, che è un atto d’amore per chi è diverso, zeppo di ironia e satira per chi ne ha ottusamente paura o disagio, e al tempo stesso è una bellissima riflessione sul tempo che passa e sulla voglia di vivere che accompagna pochi eletti fino alla morte.

Da leggere.

“Eloisa” di Dario Fo

(Corriere della Sera, 2007)

Nell’iniziativa che ha lanciato qualche anno fa il Corriere della Sera “I corti di carta”, spicca questo delizioso racconto d’amore di Dario Fo, ambientato nella Parigi che vede la costruzione della sua Notre Dame, in cui la giovane Eloisa si innamora perdutamente del suo precettore Abelardo, ma che alla fine sarà preda delle grette tradizioni che umiliavano e bistrattavano il suo sesso in quegli anni oscuri.

Con l’arguzia e l’ironia del Nobel per la Letteratura Dario Fo, ripercorriamo la vita e riviviamo i sentimenti di una donna che ne rappresenta tantissime altre alle quali, per secoli e millenni, in troppo pochi hanno dato la voce.

“Eloisa” è un’altra delle dimostrazioni di come il formato racconto sia funzionale e fondamentale nell’ambito della letteratura di un paese, ma che da noi invece viene continuamente trascurato e bistrattato …proprio come la povera Eloisa!

“Hollywoodland” di Allen Coulter

(USA, 2006)

Allen Coulter – esperto regista televisivo di serie come “Millemiun”, “Sex & the City”, “I Soprano” e “Broadwalk Empire” – firma questa bella pellicola dedicata al mondo del classico cinema hollywodiano.

Il corpo di George Reeves (un bravissimo Ben Affleck che vince la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia), noto in tutti gli Stati Uniti per impersonare Superman in televisione, viene ritrovato senza vita nella sua camera da letto.

Per la polizia il suicidio è indubbio, mentre per la madre dell’attore no, e così incarica l’investigatore privato Louis Simo (Adrien Brody) di confutare la tesi ufficiale. Simo sarà costretto a infilarsi negli angoli più torbidi della mecca del cinema, scoprendo ipocrisie, favoreggiamenti e alla fine la triste e squallida verità.

Un bel noir nella più classica tradizione hollywoodiana, ispirato alla vera storia di George Reeves – che da una piccola parte in “Via col vento” aveva tentato di scalare l’olimpo del cinema ma rimase pateticamente imprigionato nel ruolo di Superman televisivo – che ritrae le immagini più squallide e dure del mondo del cinema.

Grande interpretazione anche di Diane Lane che si invecchia per dare vita a Toni Mannix, moglie di Eddie Mannix, boss della MGM interpretato dall’indimenticabile Bob Hoskins.

Per gli amanti del cinema in bianco e nero e non solo.