“Il richiamo del cuculo” di Robert Galbraith alias J. K. Rowling

(Salani, 2013)

Alla sua uscita questo bel giallo, esordio dello sconosciuto Robert Galbraith, ha venduto poco più di mille copie.

E il numero sarebbe cresciuto al massimo di un paio d’unità se qualcuno non avesse reso pubblica la vera identità del suo autore: J.K. Rowling, la geniale creatrice di Harry Potter. 

Da quel momento il libro è diventato un best seller. L’episodio la dice lunga su quanto purtroppo, e troppo spesso, la qualità non è direttamente proporzionale alle vendite.

Lo dico soprattutto perché “Il richiamo del cuculo” è davvero un ottimo giallo con un protagonista strepitoso, Cormoran Strike ottimamente costruito, tanto interessante quanto irrisolto nell’animo e che rimane impresso nella mente anche terminata l’ultima pagina.

Senza conoscere la vera identità dell’autore, già dalle prime pagine, emergono subito le sue grandi doti narrative tipiche di uno scrittore di razza: ma nessun “geniale” critico le ha notate.

Senza marketing o apparizioni televisive queste cose davvero non contano?

“Dersu Uzala – Il piccolo uomo delle grandi praterie” di Akira Kurosawa

(URSS/Giappone, 1975)

Ispirato alle vere memorie del capitano russo Vladimir Arseniev che nei primi del Novecento viene inviato a capo di una piccola spedizione geografica ai confini con la Cina.

Lì incontra casualmente Dersu Uzala, un anziano cacciatore della tribù dei Gold, rimasto senza famiglia che decide di fare da guida al gruppo.

Il cacciatore mostrerà al militare russo come la sua gente vive in simbiosi perfetta con la natura che in quelle lande sembra così dura.

Arseniev viene mandato nella zona per una seconda spedizione e ritrova Uzala che anche questa volta lo accompagna. Ma il cacciatore sta diventando cieco e così Arseniev decide di riportarlo con se in città.

Il piccolo uomo delle praterie però è nato per vivere e morire nella sua terra, e così decide di tornarci, ma…

Splendido film, vincitore dell’Oscar e del David di Donatello come migliore opera straniera, con il quale il maestro Kurosawa ripercorre metaforicamente la storia recente del Giappone, che solo a metà dell’Ottocento era fermo al medioevo e che nell’arco di meno di un secolo si è trovato al centro di un devastante e tragico conflitto mondiale che ha stravolto buona parte della sua cultura millenaria.

Da vedere.

“Testimone d’accusa” di Billy Wilder

(USA, 1957)

Questo film, che è uno dei migliori adattamenti cinematografici in assoluto fra tutte le opere di Agatha Christie, per l’intensità e i colpi di scena è stato spesso attribuito ad Alfred Hitchcock, ma a firmarlo invece è uno dei maestri indiscussi della commedia: Billy Wilder, che dimostra ancora una volta tutte le sue doti dietro la MDP.

Se un bravissimo Tyrone Power ci regala uno dei suoi rarissimi personaggi oscuri, Marlene Dietrich incarna una dark lady memorabile.

Ma in questa pellicola ad incastro perfetto spicca a un palmo sopra agli altri il grande e indimenticabile Charles Laughton – primo attore inglese nella storia ad essere ammesso alla Comédie-Française, e uno dei massimi interpreti e conoscitori delle opere di William Shakespeare, con il quale, per esempio, si confrontava anche Vittorio Gassman per le sue regie teatrali – che veste i panni di Sir Wilfred avvocato difensore di Leonard Vole/Tyrone Power.

A Laughton viene assegnato il David di Donatello come miglior attore straniero dell’anno, mentre  ad Elsa Lanchester sua moglie nella vita, nel ruolo della combattiva infermiera che se ne prende cura, il Golden Globe come miglior attrice non protagonista.

Da vedere e rivedere anche se già si conosce il finale!

“Una storia vera” di David Lynch

(Francia/UK/USA, 1999)

Questa bellissima e crepuscolare pellicola è tratta da una storia vera (come dice il banale titolo italiano, mentre quello originale è “The Straight Story”, che gioca sul doppio senso del cognome del suo protagonista Alvin Straight).

L’anziano Alvin appunto (interpretato splendidamente da Richard Fansworth, famoso caratterista di Hollywood qui al suo primo grande ruolo e purtroppo anche alla sua ultima interpretazione), miope al limite dell’ipovisione, vuole rivedere il fratello che vive in un altro stato, con il quale non parla da vent’anni per una lite provocata da un motivo ormai perso nel tempo.

L’unico mezzo di locomozione che può condurre legalmente e in maniera indipendente è il suo tagliaerbe, e con questo coraggiosamente parte per un viaggio alla scoperta di un’America fatta di strade statali e piccole cittadine, che raccontano il Paese da un’angolazione insolita e particolare.

Una struggente e minimalista riflessione sulla vita firmata da un grande regista.

Da vedere e rivedere per riconciliarsi con se stessi.

“La bottega dei suicidi” di Patrice Leconte

(Francia/Canada/Belgio, 2012)

Tratta dal romanzo di Jean Teulé, questa pellicola è l’esordio nel mondo dei cartoni animati del regista francese Patrice Leconte, autore fra gli altri di pellicole come “Il marito della parrucchiera” (1990) e “Confidenze troppo intime” (2004).

In una cupa e mortalmente grigia città sono numerosi i suicidi dei cittadini che preferiscono la morte alla vita. Ma le multe per chi si toglie la vita in pubblico sono salatissime, e anche in caso di ”successo” gli Enti preposti si rifanno sugli eredi.

Il modo più sicuro e garantito così è quello di rivolgersi alla Bottega dei Suicidi, un piccolo negozio artigianale gestito con grande successo dai coniugi Tuvache insieme ai loro due giovani figli.

Il macabro incantesimo si spezza quando nasce il terzo genito Alan, che ancora neonato non può fare a meno di sorridere alla vita…

Insomma, una deliziosa favola nera non adatta ai bambini più piccoli, con toni e umori che richiamano al maestro Tim Burton, e che da noi è stata vietata dalla censura ai minori di 18 anni.

Solo dopo un ricorso, quell’imbarazzante divieto – soprattutto se si considerano le ignobili vaccate, con il massimo rispetto per i veri bovini, che senza problemi hanno il visto di censura per tutti – è stato rimosso.

“Un turco napoletano” di Mario Mattoli

(Italia, 1953)

Questo memorabile adattamento cinematografico tratto dalla farsa “Nu turco napulitano” di Eduardo Scarpetta, viene prodotto e realizzato nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita dello stesso Scarpetta (classe 1853, appunto).

Sempre nello stesso ambito, per fare un esempio, la neonata Televisione Italiana trasmise la sua prima commedia: “Miseria e nobiltà” interpretata e diretta da Eduardo De Filippo.

Ma tornando a questa pellicola, firmata dal maestro Mario Mattoli (oggi fin troppo dimenticato!), il principe Antonio De Curtis in arte Totò ci regala una delle sue più esilaranti interpretazioni, la più vicina possibile a quella originale dello stesso Scarpetta, le cui uniche tracce – oltre a poche immagini che ci mostrano l’incredibile somiglianza che aveva con suo figlio Peppino De Filippo – sono nelle testimonianze del tempo che ce lo dipingono ineguagliabile come carisma, ironia e rapidità di battuta.

Ormai siamo più vicini al bicentenario della sua nascita, ma l’ironia di Scarpetta è più viva e ficcante che mai, per non parlare dell’arte di Totò… “Allora siamo d’accordo: cento lire al mese, alloggio, vitto, lavatura, imbiancatura e …stiratura!”

“Up” di Pete Docter e Bob Peterson

(USA, 2009)

E’ vero, sono un patito dei cartoni animati e un fan sfegatato dei gran geni della Pixar, e parlo forse troppo spesso delle loro opere.

Ma questa pellicola va oltre l’animazione, e sia per la sceneggiatura che per le immagini, resta uno dei capolavori del cinema mondiale.

Vincitore di due Oscar, quello di miglior colonna sonora e quello di miglior film d’animazione – per  i quali aveva vinto anche i rispettivi Golden Globe – “Up” ha uno script fantastico.

I primi minuti ci raccontano in maniera deliziosa ed efficace dall’infanzia alla pensione di Carl Fredricksen che, dopo una vita passata insieme alla sua Ellie, rimane solo con la sua casa.

Ma la vecchiaia può essere vissuta anche con un altro spirito e il signor Fredricksen si ritrova a fare l’avventuriero – che poi è quello che nel salotto fanno virtualmente o dovrebbero fare tutti i nonni – con il piccolo Russell.

Alla fine, suo malgrado, si scontrerà con Charles Muntz, idolo della sua infanzia, che ha deciso di vivere la vita e la vecchiaia in maniera diametralmente opposta alla sua.

Nella nostra versione un grande merito va a Giancarlo Giannini che doppia Fredricksen e all’indimenticabile Arnoldo Foà che doppia Muntz, ma soprattutto a Neri Marcorè che dona la voce al cane Doug: da Oscar!

“Once” di John Carney

(Irlanda, 2006)

Scritta dalla stesso John Carney, questa piccola ma sublime pellicola irlandese ha fatto incetta di premi in tutto il mondo, fra cui quello del pubblico al Sundance Film Festival e l’Oscar per la migliore canzone.

Una delle più belle storie d’amore cinematografiche mai raccontate, la cui trama è superfluo riassumere visto che parla dell’amore vero, profondo e spesso inafferrabile che capita UNA SOLA volta nella vita (e ringraziando il cielo stavolta i nostri distributori illuminati erano occupati a fare altro e hanno lasciato il titolo originale!).

Con una stupenda colonna sonora e con due bravissimi protagonisti (Glen Hansard e Markéta Irglova), “Once” è un film da vedere e rivedere.

John Candy

Il 4 marzo del 1994 se ne andava il grande John Candy.

L’attore canadese era in Messico per girare “Wagon East” quando venne stroncato da un attacco cardiaco. Candy, come molti altri attori della sua generazione, arriva alla notorietà attraverso la televisione con la serie da lui scritta e interpretata “Second City TV”.

Viene così notato dai registi della nuova generazione come John Landis e Steven Spielberg con il quale nel 1979 gira l’esilarante “1941: allarme a Hollywood”, uno dei pochi flop del regista re Mida.

L’anno dopo Landis lo vuole nel suo capolavoro “I Blues Brothers – I fratelli Blues”. L’anno successivo arriva anche al “Saturday Night Live” e, sempre in TV,  interpreta e scrive “SCTV Network 90”, per la quale vince due Primetime Emmy Awards.

Ma è al cinema che è sempre più richiesto diventando uno degli attori simboli della commedia americana anni Ottanta. Partecipa a film come “Splash: una sirena a Manhattan” di Ron Howard del 1984, “La piccola bottega degli orrori” di Frank Oz del 1986, “Balle spaziali” di Mel Brooks (1987), e “Un biglietto in due” di John Hughes sempre del 1987 nel quale divide la scena insieme a Steve Martin.

Nel 1989 arrivano finalmente i ruoli da protagonista e la definitiva consacrazione con “Io e zio Buck” diretto sempre da Hughes e “Chi è Harry Crumb?” di Paul Flaherty.

Nel 1990 partecipa al blockbuster “Mamma ho perso l’aereo” di Chris Columbus, mentre l’anno successivo lascia la commedia e interpreta Dean Andrews in “JFK: un caso ancora aperto” di Oliver Stone.

Nel ’92 torna alla commedia con “Sette criminali e un bassotto” di Eugene Levy (lo scienziato cattivo di “Splash: una sirena a Manhattan”) remake poco felice a stelle e strisce di “Crimen” diretto da Mario Camerini nel 1960.

Nel 1993 impersona l’allenatore della prima squadra di bob a quattro della Giamaica nel divertente “Cool Runnings – Quattro sottozero” di Jon Turteltaub.

Prima di andarsene partecipa anche al film Michael Moore “Operazione Canadian Bacon” che  però uscirà nel 1995.

Insomma, vent’anni fa se ne andava un grande attore che è riuscito a uscire dai ruoli che il suo fisico gli imponeva, spaziando dalla TV al cinema, e che ha segnato un momento di entrambi.