“Cronache di poveri amanti” di Carlo Lizzani

(Italia, 1954)

Il 6 febbraio 1954 usciva nelle sale italiane “Cronache di poveri amanti” diretto da Carlo Lizzani e tratto dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini, alla cui sceneggiatura partecipa anche Sergio Amidei.

In un vicolo della Firenze del 1925 si consumano drammi, amori, gioie e dolori di uno spaccato degli italiani più umili, su cui incombe l’ombra del regime fascista che ogni giorno diventa più forte, prepotente e violento…

Lizzani firma una bella pellicola corale a cui partecipano molti di quelli che saranno i protagonisti del nostro cinema negli anni successivi.

Oltre al grande Marcello Mastroianni, ci sono Anna Maria Ferrero, Antonella Lualdi, Cosetta Greco, Wanda Capodaglio (grandissima insegnate dell’Accademia d’Arte Drammatica) e Giuliano Montaldo che poi passerà alla regia.

Il film partecipa al Festival di Cannes diventando un caso: favorito per la Palma d’Oro, vincerà “solo” – e l’ho messo fra virgolette – il Premio Speciale della Giuria per un presunto intervento – dicono alcune cronache di allora – del Governo Italiano dato il tema affrontato e l’iscrizione al Partito Comunista Italiano del regista.

“Hobson il tiranno” di David Lean

(UK, 1954)

Del maestro David Lean si ricordano quasi sempre le solite pellicole – e intendo solite nel senso di stupende ma arci note – pochi infatti parlano di quelle realizzate nella sua prima parte della carriera – le cui sceneggiature erano spesso adattamenti di opere teatrali come questa che è l’adattamento di una pièce di Harold Brighouse – ma che hanno reso grande e immortale il cinema britannico.

Oltre a riferirmi a “Breve incontro” (che è stato il primo post che ho scritto) mi riferisco a questa divertente commedia ambientata in un’Inghilterra dickensiana in cui, come spesso succede nella cinematografia di Lean, le donne hanno un ruolo focale.

Salford, nei pressi di Manchester. Henry Horatio Hobson (un grandissimo Charles Laughton) è un dispotico padre vedovo, che tiranneggia le sue tre figlie, che devono occuparsi di tutto, soprattutto dell’antica bottega di scarpe di famiglia.

Se Maggie (Brenda de Banzie) la maggiore ormai è considerata troppo “vecchia” per trovare marito, le altre due Alice e Vicky – ancora ufficialmente in età – scalpitano sospirando ogni giorno pensando ai loro pretendenti.

Per il vecchio Horatio però nessuna delle sue figlie può sposarsi: devono tutte badare alla bottega, alla case e a lui, che torna tutte le sere sbronzo dal pub, oltre al fatto che egli stesso non ha la minima intenzione di cacciare un penny come dote.

Ma il vecchio tiranno sottovaluta la sua Maggie che, con l’aiuto del giovane lavorante dalle mani d’oro Willie Mossop (John Mills) ha in mente un piano…

Deliziosa commedia in costume da godere fino all’ultimo fotogramma, grazie anche al cast fatto tutto di grandi attori del teatro inglese, e a una storia che anticipa quelle lotte sociali – soprattutto quelle legate all’emancipazione della donna – che esploderanno nel decennio successivo.

“La migliore offerta” di Giuseppe Tornatore

(Italia, 2013)

Qui parliamo di grande cinema, di un grande regista che riesce a fare anche l’ottimo sceneggiatore. Il tema del film si potrebbe sintetizzare in una sola domanda: che cos’è l’amore?

E Tornatore ce lo dice con uno stratosferico Geoffrey Rush nei panni di un caparbio e scaltro battitore d’asta e antiquario, che incontra sulla sua strada una ragazza molto particolare …

Della storia non aggiungo altro perché chi ancora non l’ha visto non si perda nulla, ma si goda al meglio storia e dialoghi, con sullo sfondo opere d’arte riprese e inquadrate superbamente. E soprattutto si interroghi alla fine sul senso di possesso che porta una persona a spendere un capitale solo per acquistare pochi centimetri quadrati di tela dipinta, per poi tenerli blindati e ammirarli in piena solitudine.

Alla presentazione del film a Rush hanno chiesto come è stato lavorare col regista italiano, e lui ha risposto: “Tornatore è un perfezionista maniacale, ma che film!”.

Questo sì che è il grande cinema italiano.

Philip Seymour Hoffman

Il corpo dell’attore Philip Seymour Hoffman è stato rivenuto nel bagno di casa sua, ieri a New York, con una siringa nel braccio: un’overdose di eroina.

Su una tragedia del genere c’è poco da aggiungere. Sia chiaro: Hoffman era un uomo fortunato, nel pieno del successo e che a 40 anni aveva vinto già un Oscar e, richiestissimo, poteva permettersi di scegliere il film in cui lavorare. Aveva tutto, ma evidentemente quel tutto non bastava.

Il suo gesto è stato soprattutto quello di un uomo debole e fragile che preferiva evaporare piuttosto che affrontare la realtà. Ma se ne è andato comunque un grande artista, che ci ha regalato splendide emozioni.

Oltre al suo Truman Capote, nell’omonimo film che gli è valso l’Oscar, Philip Seymour Hoffman va ricordato per molti alti ruoli, come quello di Brandt ne “Il grande Lebowski”, che quello del solitario e vile Allen in “Happiness” diretto da Todd Solondz nel 1996, e ancora ingiustamente sottovalutato.

Poi c’è la collaborazione con Paul Thomas Anderson che inizia in “Boogie Nights”, passa per il grande “Magnolia” e “Ubriaco d’amore”, per concludersi con “The Master”. E ci sono altri ruoli, fra i tanti, che meritano di essere ricordati come quello in “I Love Radio Rock“, quello dell’agente “deviato” della C.I.A. Gust Avrakotos nel bellissimo “La guerra di Charlie Wilson” dell’intramontabile Mike Nichols (per il quale Hoffman è stato candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista) e soprattutto quello di Andy, il fratello maggiore ne “Onora il padre e la madre” ultima opera dell’indimenticabile Sidney Lumet.

Cavolo se ci mancherai Philip!