“Il segreto dei suoi occhi” di Juan José Campanella

(Argentina/Spagna, 2009)

Ci sono molti modi per raccontare efficacemente un periodo tragico vissuto da un popolo o da una nazione, e quello di descriverlo indirettamente riflesso in un evento drammatico ma – ahimè – fin troppo quotidiano come un omicidio, a volte sembra essere il più efficace.

“Il segreto dei suoi occhi” è uno dei migliori esempi.

L’ufficiale giudiziario del Tribunale di Buenos Aires Benjamìn Esposito, appena raggiunta la pensione decide di scrivere un romanzo.

Il tema è quello di ricostruire l’omicidio di Liliana Coloto Morales, una giovane 23enne che nel 1974 venne picchiata, violentata e poi uccisa da ignoti a casa sua, mentre il marito era al lavoro.

Per farlo non può che confrontarsi con la sua ex capo, Irene Menéndez Hastings che all’inizio tenta di dissuaderlo ma alla fine lo asseconda.

Il viaggio nella memoria che farà Esposito sarà doloroso e straziante, sullo sfondo di un’Argentina che lentamente scivola nel dramma della sanguinaria dittatura del generale Jorge Rafeal Videla (che però non viene mai nominato direttamente).

Guardando questo splendido film, vincitore dell’Oscar come miglior opera straniera nel 2010, è inevitabile ricordare che proprio in quel periodo la FIFA aiutò il regime dittatoriale argentino a rifarsi un’immagine internazionale permettendogli di ospitare e poi vincere i Mondiali di Calcio del 1978, la foto di Videla che consegna la coppa al capitano biancoceleste Passarella è facilmente reperibile in rete.

Un gran bel film per non dimenticare.

“Ieri, oggi, domani” di Vittorio De Sica

(Italia, 1963)

Il 19 dicembre del 1963 usciva nelle sale italiane una delle più grandi pietre miliari del cinema: “Ieri, oggi, domani” di Vittorio De Sica.

Prodotto da Carlo Ponti, il film è diviso in tre episodi: “Adelina” (scritto da Eduardo De Filippo e Isabella Quarantotti), “Anna” (scritto da Alberto Moravia, Cesare Zavattini, Bella Billa, Lorenza Amoruso e Cesare Zavattini) e “Mara” (firmato dal solo Zavattini), tutti interpretati da una delle coppie più famose della celluloide: Marcello Mastroianni e Sophia Loren.

L’episodio che amo meno è “Anna”, mentre “Adelina” e “Mara” sono di fatto pezzi di cinematografia immortali.

Se i bambini che accompagnano il rilascio di Adelina sono una delle più belle fotografie di quella che era una volta Napoli, lo spogliarello di Mara (interpretata da una Loren che definire sensuale è davvero riduttivo) è ancora oggi uno fra i più sexy del cinema, e continua a essere visto, rivisto e imitato in tutti gli angoli del mondo.

Cinquanta e proprio non li dimostra!

“Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca” di Ettore Scola

(ITA/SPA, 1970)

Qui parliamo di uno dei picchi più alti della commedia all’italiana, e quindi della cinematografia mondiale.

Oreste (interpretato da uno strepitoso Marcello Mastroianni), anche se sposato, si innamora di Adelaide (una fantastica Monica Vitti nel film in cui appare al meglio in tutta la sua immortale bellezza).

Quando però lui le presenta il suo compagno di manifestazioni e mille battaglie Nello (un giovane ma già bravissimo Giancarlo Giannini) scoppia il dramma…

Oltre alla maestria dei tre protagonisti, questo gioiello si avvale di una grande sceneggiatura firmata dai giganti Age, Furio Scarpelli e Scola.

Fra gag e battute indimenticabili cito, perché proprio non ne posso fare a meno:

– Orè, chiedimi tutto… – sussurra languida Adelaide.

– Domenica prossima vota Comunista! – risponde senza remore Oreste.

E soprattutto, durante la scenata che Oreste fa una volta scoperta la tresca, la dichiarazione d’amore di Adelaide:

– Amo, riamata, Serafini Nello e LO APPARTENGO!

Film così bisognerebbe farli studiare a scuola!

“Il dormiglione” di Woody Allen

(USA, 1973)

Il 17 dicembre del 1973 usciva nelle sale americane “Il dormiglione” (“Sleeper” in originale), grande parodia dei film di fantascienza firmata da Woody Allen (soprattutto de “L’uomo che fuggì dal futuro” diretto da George Lucas due anni prima) con un palese ammiccamento a “1984” di George Orwell.

Questa pellicola fa parte della prima fase surreale e prettamente comica della cinematografia di Allen – la seconda parte, molti, la fanno iniziare con “Interiors” del 1978 – ma dite tutto quello che vi pare a me continua a far sbellicare.

L’ossessione del sesso e i complessi d’inferiorità che qui hanno risvolti secolari – Miles Monroe rimane ibernato per quasi due secoli – sono resi irresistibili dalla loro visione futuristica e satirica del grande cineasta newyorkese.

E vogliamo parlare poi del ristorante vegetariano “Il Sedano Allegro” o della laurea di Luna (Diane Keaton) presa in …Semantica Prepuziale?

“La vita davanti a sé” di Romain Gary

(Neri Pozza, 2005/1975)

L’infanzia del piccolo Mohammed, che tutti chiamano Momo, è particolare: vive a casa di Madame Rosa, una ex prostituta che finito di battere per limiti d’età campa prendendosi cura dei bambini illegittimi figli delle sue giovani colleghe, che così possono mantenerli “a distanza” pagando una persona di fiducia.

Col passare del tempo Momo diventa il più grande fra i piccoli ospiti, molti infatti vengono adottati o ripresi dalle madri. Così il legame fra lui e Madame Rosa diventa sempre più profondo, fino al drammatico epilogo, che non rivelo.

Romain Gray, una delle figure più complicate e prolifiche della cultura francese del secondo dopoguerra (eroe della Resistenza decorato con la Legion d’Onore, diplomatico, autore di numerosi scritti firmati con quasi altrettanti pseudonimi e morto suicida nel 1980 per motivi legati, così riportano le cronache dell’epoca, al suo “insostenibile invecchiamento”) firma un romanzo – pubblicato la prima volta nel 1975 – struggente e trascinante fino all’ultima parola.

Uno dei romanzi più rilevanti del Novecento con ambienti ed emozioni davvero indimenticabili. Un’opera senza tempo che merita di essere letta e riletta.

Nel 1977 Moshé Mizrahi gira il suo omonimo adattamento cinematografico, con una splendida Simone Signoret nel ruolo di Madame Rosa, che vince l’Oscar come miglior film straniero nel 1978. La pellicola, però, ad oggi nel nostro Paese è praticamente irreperibile.

Nel 2020 Edoardo Ponti dirige sua madre Sophia Loren nell’omonimo adattamento cinematografico ambientato a Bari.

“Sugarland Express” di Steven Spielberg

(USA, 1974)

Lo so che ci sono tanti film molto più famosi di Spielberg ma questo, diretto dal grande regista a 28 anni e suo esordio ufficiale al cinema – “Duel” del 1971 nasce come film per la TV – è davvero da rivedere.

Vero e proprio road-movie, che incarna a pieno lo spirito free degli anni Sessanta e il suo inesorabile naufragio, con delle sequenze spettacolari “Sugarland Express” racconta la triste storia di una coppia di giovani (interpretati da Goldie Hawn e William Atherthon) sbandati che vuole riprendersi il loro piccolo figlio portatogli via dai servizi sociali.

La loro ingenuità, mista all’incapacità di rapportarsi con la dura realtà, trasformerà la loro fuga in un viaggio senza ritorno. “Thelma & Louise” di Ridley Scott, non sarebbe stato lo stesso senza questa pellicola girata quasi vent’anni prima.

“Fight Club” di David Fincher

(USA, 1999)

Tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, sceneggiato da Jim Uhls e diretto dal bravissimo David Fincher, “Fight Club” è uno dei miei film preferiti in assoluto.

Visionario e cattivo, senza esclusioni di colpi – è proprio il caso di dirlo… – questo film ti inchioda davanti allo schermo fino alla fine, con un grande cast e strepitosi duetti fra Edward Norton e Brad Pitt, cui fa da sponda la dark lady Helena Bonham Carter.

Beati quelli che non hanno letto il libro e non hanno visto il film, che posso rimanere storditi per la prima volta da tutta la sua forza narrativa.

Certo, dopo non guarderanno più una candida saponetta come prima …ma il sacrificio vale la candela!

Da vedere.

“Ralph Spaccatutto” di Rich Moore

(USA, 2012)

Parlo di questa deliziosa pellicola d’animazione per due motivi: il primo è che si vede nello stile e nella sceneggiatura lo zampino di John Lasseter (uno dei fondatori della Pixar, che convinse Steve Jobs a investire nel cinema di animazione digitale quando ancora nessuno ci credeva) in qualità di produttore esecutivo e già regista di Toy Story e Toy Story 2, oltre che di numerosi corti sempre Pixar.

Il secondo motivo è che “Ralph Spaccatutto”,  ambientato nel mondo dei videogiochi, oltre ad avere una storia divertente e appassionante è un omaggio a tutti quei vecchi videogiochi anni Ottanta che hanno segnato la mia adolescenza, a partire da “Donkey Kong”, passando per “Pac Man” o “Bubble Bubble”.

Da godere fino all’ultimo, titoli di coda compresi.

A chi arriccia il naso ricordo semplicemente che lo scorso anno il MoMa (Museum of Modern Art) di New York ha acquistato 14 videogiochi che hanno iniziato a far parte della collezione permanente di Architettura e Design.

Tra questi “Donkey King”, “Snake”, “Super Mario Bros” e “Pac Man”, tanto per la fredda cronaca…

Addio al grande Nelson Mandela

Del grande Nelson Mandela Madiba (a cui il New Yorker ha dedicato una splendida copertina) tutti i media del mondo ricordano ogni attimo della sua lunga ed esemplare esistenza che si è conclusa ieri sera.

Io voglio solo ricordare quello che Mandela è stato per la mia generazione, che negli anni Ottanta era adolescente e lo considerava il simbolo della lotta all’ingiustizia, che partecipò a manifestazioni e sit-in davanti all’ambasciata del Sud Africa, e seguì in diretta tv la sua scarcerazione.

Per un giocatore di rugby poi, quello che fece nel 1995 – raccontato a John Carlin ne “Ama il tuo nemico” prima e immortalato da Clint Eastwood in “Invictus” poi – rimane sempre qualcosa di indimenticabile.

Buon viaggio grande Madiba.

Robert Aldrich

Il 5 dicembre del 1983 scompariva Robert Aldrich, uno degli ultimi grandi artigiani della macchina da presa della grande Hollywood.

In realtà Aldrich inizia i suoi studi e la sua carriera come attore, ma la passione per la MDP lo porta ad esordire come regista in alcune serie televisive. Nel 1952 è l’aiuto regista di Chaplin in “Luci della ribalta“.

A soli 36 anni dirige due mostri sacri del grande schermo come Gary Cooper e Burt Lancaster in “Vera Cruz” del 1954. Le sue corde sono quelle del western e del film d’azione/thriller.

L’anno successivo firma “Un bacio e una pistola” tratto dal romanzo di Mickey Spillane, uno dei migliori esempi di noir di quel periodo. Oltre ad altre numerose pellicole western, nel 1962 Aldrich firma “Che fine ha fatto Baby Jane?” con Bette Davis e Joan Crawford, considerato da molti uno dei primi grandi film dell’orrore, e che già contiene un’impietosa fotografia del mondo dello spettacolo, argomento caro al regista.

Nel 1964 torna all’horror con il perfido “Piano …piano dolce Carlotta”, sempre con una bravissima Bette Davis. Nel 1967 gira “Quella sporca dozzina” con, tra gli altri, Lee Marvin, Charles Bronson, John Cassavetes e Telly Savalas. Da molti la pellicola viene vista come un inno alla guerra  – gli USA sono nel pieno del conflitto in Vietnam – ma a guardarlo bene, soprattutto dopo tanto tempo, anche se pieno di scene spettacolari, è tutto meno che uno spot militarista, anzi.

L’anno successivo firma “Quando muore una stella”, graffiate e spietato affresco del mondo del cinema, e dello spettacolo in generale.

Il 1973 è l’anno de “L’imperatore del nord”, con due dei suoi attori preferiti: Ernest Borgnine e Lee Marvin.

L’anno successivo dirige Burt Reynolds in “Quella sporca ultima meta”, film sul football americano – e non sul rugby come hanno scritto decine di critici geniali… – dietro alle sbarre che a me fa impazzire.

Le ultime tre pellicole dirette da Aldrich sarebbero tutte da rivedere alla prima occasione: “I ragazzi del coro” (1977) dedicato all’universo troppo spesso stressato e difficile degli agenti di polizia, il divertentissimo “Scusi, dov’è il West?” (1979) con Gene Wilder nei panni di un rabbino polacco che deve raggiungere la sua nuova comunità di San Francisco e Harrison Ford in quelli di un fuorilegge dal cuore d’oro; e il malinconico “California Dolls” (1981) con una bravissimo Peter Falk nei panni di un triste impresario di donne lottatrici, specchio del lato più squallido e misero del mondo dello spettacolo.

Trentennale o meno, se vi capita di beccare nel palinsesto di qualche tv o in streaming un film diretto da Robert Aldrich, anche se non siete patiti del genere, vi consiglio di farci un pensierino.