“I Simpson” di Matt Groening

(USA, dal 1989)

Non credo esista un programma che abbia rivoluzionato la televisione come la serie ideata da Matt Groening nel lontanissimo 1989. Tanto di cappello ai produttori che allora gli credettero e che continuano a farlo ancora oggi.

Sull’immenso Homer Simpson c’è poco da aggiungere, visto che ormai è parte integrante dell’immaginario collettivo dell’intero Occidente, e non solo.

Anche in quest’occasione non si può fare a meno di ricordare che se il successo del personaggio in USA è dovuto anche al doppiatore Dan Castellaneta, qui da noi lo stesso merito va attribuito all’indimenticabile Tonino Accolla.

La stessa cosa vale per Bart, Lisa (che nessuno mi toglie dalla testa essere una fra le ispiratrici del personaggio di Hermione Granger) e Marge (che recentemente ha posato alla grande per il paginone centrare di Playboy) su cui si possono scrivere pagine e pagine, ma il succo è sempre lo stesso: passano gli anni ma la famiglia di Springfield non invecchia di un giorno!

Nino Taranto

Il 28 agosto 1907 nasceva a Napoli Nino Taranto, uno dei più grandi attori e caratteristi del Novecento.

Taranto salì sul palcoscenico a 12 anni e praticamente non ne scese più, se non pochi anni prima della sua morte, avvenuta il 23 febbraio 1986 a Napoli. E’ stato uno dei pochi attori napoletani, infatti, a non lasciare mai la sua città natale.

Dal teatro macchiettistico la sua carriera ha spaziato nella rivista, alla radio, al cinema e poi anche in televisione. E’ vero che “Ciccio Formaggio” e “Agata” sono considerati i suoi cavalli di battaglia, ma io amo tanto le sue interpretazioni cinematografiche accanto a Totò (trovo limitante chiamarli semplicemente ruoli da spalla).

Soprattutto in “Tototruffa ‘62” (1961, di Camillo Mastrocinque) e ne “Il monaco di Monza” (1963, di Sergio Corbucci) i loro duetti hanno qualcosa di straordinario e irripetibile che non stanca mai, e sono paragonabili solo a quelli con Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi e Vittorio De Sica.

In un’intervista degli anni Settanta, Taranto ha raccontato del grande stress che pativa nel lavorare con Totò: una volta battuto il ciak sudava fisicamente “sette camicie” per stare dietro alle gag e alle battute esilaranti che il Principe si inventava su due piedi, ogni volta diverse dalla precedenti.

Insomma, un grande attore a tutti gli effetti.

“Vacanze romane” di William Wyler

(USA, 1953)

Il 27 agosto del 1953, a New York, si consumava la prima mondiale del film cha avrebbe consacrato definitivamente a star del cinema quella splendida diva, dagli occhi di cerbiatto, che era Audrey Hepburn.

Il personaggio della principessa Anna, ispirato all’allora giovane regina Elisabetta II d’Inghilterra – anche se all’inizio, riportano alcune cronache del tempo, è più simile alla sorella “viziata” e “capricciosa” Margaret – è uno dei più romantici e riusciti del grande schermo.

Sullo sfondo una Roma solare e spensierata che aderisce perfettamente alla visione che gli americani avevano – o volevano avere – di un Paese che, solo pochi anni prima avevano combattuto, invaso e poi liberato, e che nel 1953 soffriva ancora la fame (“Guardie e ladri” di Steno e Monicelli è solo di due anni prima) e che stentava a rialzarsi.

Fra le citazioni e i numerosi remake, spicca il blockbuster “Notthing Hill” (1999) con la bella Julia Roberts che, invece di una regina impersona una diva di Hollywood, dal nome – guarda caso… – Anna Scott.

La sceneggiatura di questo film – premiata agli Oscar – venne scritta, sotto falso nome, anche da Dalton Trumbo che in quel periodo era all’indice per le sue dichiarate simpatie comuniste.

“Vedovo, aitante, bisognoso d’affetto, offresi… anche babysitter” di Jack Lemmon

(USA, 1971)

Sì, il regista è proprio lui, Jack Lemmon, il grande interprete delle più importanti commedie hollywoodiane della seconda parte del Novecento.

Questa deliziosa – e sottolineo deliziosa – commedia è l’unica pellicola, purtroppo, firmata dal grande attore. E non poteva che essere interpretata dal suo amico e partner di lavoro Walter Matthau che, invecchiato appositamente per il film, impersona Joseph P. Kotcher un anziano vedovo che vive col figlio e la nuora, e si occupa più che efficientemente del nipotino Duncan.

Ma sua nuora lo trova invadente e obsoleto, e soprattutto non si fida di lui. Gli toglie così la cura del figlio, affidandola alla giovane adolescente Erica. Poco dopo impone al marito di chiudere il suocero in una casa di riposo. Ma “Kotch” proprio non ci sta, e per non mettere in crisi il matrimonio del figlio decide di allontanarsi.

Intanto, la giovane Erica rimane incinta e viene allontana dalla città. L’anziano, venuto a conoscenza della notizia, la rintraccia e sarà lui l’unico sostegno, materiale e morale, alla grande prova che dovrà affrontare la giovane.

Davvero un affresco dolce e delicato sulla terza età e sul ruolo di questa nella società, terza età che già allora veniva emarginata.

E adesso la domanda delle cento pistole: “ma che cavolo c’entra il titolo in italiano?”

E infatti non c’entra una mitica mazza!

E’ evidente che dietro a queste fantasmagoriche traduzioni ci deve essere qualcosa, tipo un premio occulto in denaro per il titolo più fuorviante e demente in italiano… Tanto per la cronaca il titolo originale era “Kotch”.

Non vorrei essere polemico, ma vogliamo parlare pure della locandina italiana? …Degna del fatidico “La nipotina” de “Il comune senso del pudore” di Alberto Sordi.

“I mostri” di Dino Risi

(Italia, 1963)

Che il film diretto da Dino Risi – anche a distanza di 50 anni – sia una delle pietre miliari della cinematografia italiana – e non solo – è un dato di fatto. Scegliere fra i vari episodi è davvero difficile, ma visto che qui si parla anche di scrittura, stavolta mi soffermo su quello intitolato “La Musa”.

Uno stratosferico Vittorio Gassman “En Travesti” – come dicevano all’epoca dell’uscita della pellicola per non dire travestito – impersona una volitiva critica letteraria toscana che presiede la giuria di un noto premio di scrittura.

Nonostante le resistenze alla fine, con la sua parlantina e le sue punzecchiate personali, riesce a far votare tutti gli altri giurati a favore dell’opera prima di un giovane sconosciuto, considerata banale e grossolana.

L’episodio si chiude con il giovane vincitore che, nella sua camera d’albergo, viene sedotto dalla sua nuova Musa.

Ma non scherziamo! Figurati se negli anni Sessanta i premi letterari erano lottizzati e pilotati! …Ridicolo!

Si diceva in giro all’epoca – in maniera del tutto infondata, naturalmente… – che Gassman e Risi avessero intenzione di prendere in giro Maria Bellonci, la “madre” del Premio Strega… cattiverie gratuite e immotivate!

“Agora” di Alejandro Amenàbar

(Spagna, 2009)

Firmato dal regista di “Apri gli occhi” (poi rifatto in USA col titolo “Vanilla Sky” con Tom Cruise e diretto da Cameron Crowe) e di “The Others”, “Agora” è uno splendido film sulla storia, sulla religione, sulla scienza, ma soprattutto sul ruolo della donna nella società e nella cultura.

391 d.c., Alessandria d’Egitto è sotto l’Impero Romano, e nella sua leggendaria Biblioteca insegna scienza e astronomia la dotta Ipazia (una bravissima Rachel Weisz).

Ma l’Impero – almeno quello d’Occidente – è prossimo al collasso e l’avvento della nuova religione monoteista – il Cristianesimo – sconvolge ogni cosa, soprattutto finirà con l’umiliare e penalizzare atrocemente la considerazione della donna nella società. E Ipazia – simbolo della cultura libera che il paganesimo riconosceva come diritto anche alle donne – ne subirà tutte le conseguenze.

Un lontano passato? …Allora mi è venuto da pensare a mia nonna, classe 1920, che solo alla soglia dei trent’anni ha acquisito il diritto al voto.

E anche al film “We Want Sex” di Nigel Cole, che racconta come solo negli anni Settanta le donne hanno ottenuto il diritto di avere lo stipendio pari a quello degli uomini.

E chiudo con una battuta fra Mirs. Collins (Michelle Pfeiffer) e la giovane Victoria (Belle Heathcote) tratta da “Dark Shadow” (2012) del grande Tim Burton che si svolge nel 1972:

– Lei crede nella parità dei sessi?

– Assolutamente no! …Gli uomini sarebbero ingestibili!